La quarantena tra arte, Google meet e noia

Suona la sveglia. Mi rigiro tra le coperte. Sbuffo. La sveglia continua a suonare. Sbuffo di nuovo. Ho fatto le tre guardando The Leftovers. Mi faccio coraggio. Spengo la sveglia. Sono le 9.55. Butto i piedi fuori dal letto. Il sole batte contro la mia finestra e invade la stanza quando apro le tapparelle. Sbuffo ancora. Un altro giorno di quarantena.

Se dovessi fare un elenco delle cose che mi mancano della mia vita di prima ai primi posti, probabilmente, ci sarebbero quelle serate, passate in compagnia degli amici di sempre, piene di abbracci e di distanze decisamente minori a un metro e mezzo, quelle serate che cominciano con una cena in una trattoria romana e finiscono a girare per Roma, per la nostra città, che ci ha visto, e fatto, crescere. Poi ci sarebbero le ore al sole sul pratone della Sapienza, tra una lezione e l’altra, i caffè che “senza quattro cucchiai di zucchero non mi sveglierò mai”.

Forse per noi, e per noi intendo gli appartenenti a quella fascia di età che va dai sedici ai venticinque anni, è stata più dura rispetto agli adulti o ai bambini più piccoli. Noi siamo abituati a passare pochissimo tempo dentro casa(basti pensare che anche studiare diventa un momento di socializzazione nel momento in cui quasi tutti studiano all’università, circondati da amici e compagni di corso); siamo abituati ad avere un rapporto molto più intenso e stretto con gli amici piuttosto che con la famiglia, amici con cui condividiamo tutto dalle lezioni alle serate Netflix and chill, dallo sport alle serate nei pub. Ritrovarsi dentro casa h24 è stato traumatico. Noia, frustrazione, ansia, impotenza, forse un po’ di paura. Spazi di libertà limitata, genitori a casa, che per primi forse non sanno più relazionarsi a tempo pieno con i figli, fratelli più piccoli che invadono la privacy, fratelli più grandi che scaricano la tensione. In generale, comunque, ci sono stati per tutti grandi e drastici cambiamenti nello stile di vita.

Però, devo ammettere, che questa quarantena ha avuto i suoi effetti positivi. Tutti noi viviamo una vita frenetica, scandita da orari fissi e per niente flessibili. E’ tutto un insieme di spostamenti, impegni, lezioni, sport, lavoro, riunioni, impregni sociali. Siamo soliti ad andare veloci, a non sostare, spesso a riempirci di impegni per non pensare alle nostre fragilità. Questo periodo ci ha dato la possibilità di fermarci, di riprendere fiato, di ritrovarci su un letto con un buon libro o di fare una chiacchiera in più con la propria famiglia, di riflettere sui nostri obiettivi. Ci ha ridato un tempo da dedicare a noi. La didattica a distanza, per quanto possa assolutamente risultare poco stimolante, soprattutto per chi è abituato a vivere al pieno la vita universitaria, ha permesso ai pendolari di non doversi alzare all’alba e di non rientrare tardi; ha permesso di organizzare meglio lo studio, di ritagliare in modo un po’ più produttivo il tempo tra una lezione e l’altra.

Personalmente ho seguito, quanto più mi fosse possibile, i consigli della dottoressa Lisa Damour sul New York Times. Per prima cosa, bisogna ricordare che qualsiasi ansia collegata al covid è assolutamente normale, dato soprattutto il bombardamento mediatico a cui siamo sottoposti costantemente, date le numerose fake news che fuoriescono da ogni parte. Per cercare di restare il più possibile sereni è necessario accertarsi di far riferimento a fonti attendibili, per esempio il sito dell’OMS, per evitare di crearsi preoccupazioni inutili che potrebbero essere evitate. In secondo luogo, trovarsi delle occupazioni che fungano da distrazioni, come leggere, studiare, guardare dei film o delle serie. In ogni caso è necessario trovare dei ritmi fissi in modo da ottenere una parvenza di equilibrio e normalità. Inoltre, come segnalato al terzo punto della dottoressa Damour, trovare nuovi canali per rimanere in contatto con amici e parenti. Google Meet, Zoom, House Party, le videochiamate di Whatsapp e Instangram sono ottimi modi per farsi piacevole chiacchierate davanti a una cioccolata o a un bicchiere di vino. Come quarto consiglio, penso sia importante concentrarsi su stessi, sui propri interessi, sui propri obiettivi per il futuro. Abbiamo la possibilità di riflettere seriamente sulle nostre fragilità, sulle nostre paure.

In questi due mesi ho rivisitato il Louvre, riscoprendo una grandissima passione per l’arte; passione per la quale mi sono ritrovata a leggere libri sull’argomento ( consiglio “Lo potevo fare anch’io. Perché l’arte contemporanea è davvero arte” di Francesco Bonami), ho visto documentari ( consiglio su Youtube “Il caffe dell’arte”, diviso in 17 brevi puntate). Ho finalmente imparato a cucinare e mi sono divertita a cimentarmi tra torte, risotti, muffin e sughi (più grazie al Bimby che a qualche mio talento). Tra l’altro ho finito di leggere tutti i libri che avevo nella mia lista desideri da secoli, mi sono messa in pari con quasi tutte le serie che ho cominciato. Sono stata anche fortunata, devo dire, perché sto trascorrendo questo periodo in campagna, motivo per cui ho sempre avuto la possibilità di fare varie passeggiate nella proprietà, di andare in bici o semplicemente di stare all’aperto.

Il problema di questo periodo è che non tutti ci ritroviamo a viverlo allo stesso modo. C’è chi ha perso un persona cara, chi ha perso il lavoro, chi vive in cinque in una casa di quaranta metri quadrati. Ci sono donne che vivono con i mariti violenti, genitori che si sono ritrovati in casa con figli con problemi psicologici senza gli aiuti a ci sono solitamente abituati.  Alla stazione Tiburtina i richiedenti asilo, anche se seguiti dai volontari, vivono in condizione disagiate.

Nonostante questo, nonostante le morti, la sofferenza quello che possiamo e dobbiamo fare è guardare alle cose positive e soprattutto, alla fin, ricordare. Ricordare la solidarietà che si è sviluppata, i sacrifici che sono stati fatti da medici, infermieri, biologi, virologhi, psicologici. Dovremmo ricordarci di come siamo arrivati ad apprezzare le piccole cose che prima ritenevamo quasi banali. Soprattutto, adesso, dobbiamo pensare che prima o poi ritorneremo ad abbracciarci, a ridere insieme, ad andare a cena, a viaggiare, a fare le gite fuori porta con gli amici o con la famiglia. Stilate una lista delle dieci cose che vorrete fare quando tutto questo sarà finito, vi darà speranza, che credo sia un sentimento fondamentale adesso. Il trucco per superare il momento, secondo me, sta nel seguire la varie iniziative che sono state create online, nello sdrammatizzare e alleggerire le giornate, nel cercare di sentirsi più vicini in un momento dove è facile sentirci soli. Questo è il momento di condividere e di essere uniti, di farsi forza a vicenda.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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