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Questo è il tempo che  Silvia Romano, cooperante internazionale, ha trascorso come ostaggio dei jihadisti somali di al-Shabaab. Nel 2018 si trovava in Kenya per partecipare a un progetto organizzato e tenuto dalla onlus Africa Milele, era un’educatrice per i bambini del villaggio di Chakama, nella contea di Kilifi. Qui il 20 novembre dello stesso anno è stata rapita. Da qui, insieme ai suoi rapitori, ha affrontato un duro e lungo viaggio, durato alcune settimane, per raggiungere il confine e recarsi in Somalia, dove il gruppo terroristico, legato ad Al Quaeda, controlla alcune parti del territorio. L’obiettivo del rapimento era ottenere un riscatto in soldi o armi, in ogni caso ottenere “finanziamenti” per le azioni militari di al-Shabaab.

Silvia ha venticinque anni, è di Milano. Si è laureata nel febbraio del 2018 come mediatrice linguistica per la sicurezza e la difesa sociale con una tesi sulla tratta degli esseri umani. Andava in palestra, aveva tenuto un campus estivo per i bambini. In Africa è andata come volontaria, per aiutare, per dare una mano. Chi parte per questo tipo di viaggi, soprattutto se in posti in cui già in passato ci sono stati attacchi contro stranieri, mette in conto eventuali problemi, eventuali rischi. Non sono irresponsabili, non sono dei kamikaze, anzi. Sono persone con una grandissima umanità che mettono in pericolo se stessi per un bene più grande. Forse chi dovrebbe a maggior ragione apprezzare e non screditare, come se fosse una colpa essere rapiti, è chi ripete da una vita “aiutiamoli a casa loro”.

Invece le è stato detto di tutto. C’è chi si è lamentato perché è tornata convertita, chi ha dichiarato che “ci siamo portati il nemico a casa”, chi ha criticato il governo italiano per i quattro milioni spesi per riportare a casa “una che sta benissimo”. Però direi di procedere con ordine.

  • Uno dei tasti più toccati da coloro che, per motivi sconosciuti ai più, si oppongono alla liberazione di una ventitreenne è la questione economica. Per liberare Silvia Romano sono stati versati come riscatto 4 milioni di euro. “Stiamo finanziando un attività terroristica” scrivono su facebook gli ex virologi ora esperti di relazioni internazionali. Citando Enrico Mentana, sicuramente sono stati spesi molti soldi ma sicuramente sono soldi meglio investiti rispetto a quelli usati per l’istruzione di questi soggetti. Comunque, tanto per fare chiarezza,solo nel 2018 l’esportazione delle armi ha fruttato all’Italia 2,5 miliardi di euro. Nella top ten dei paesi destinatari oltre a nazioni alleate della Ue e della Nato, troviamo anche stati problematici o con situazioni di tensione come Pakistan (207 milioni), Turchia (162 milioni), Arabia Saudita (108 milioni), Emirati Arabi Uniti (80 milioni), India (54 milioni) e Egitto (31 milioni). Non mi pare che nessuno abbia urlato allo scandalo nonostante non si sappia come, in paese dubbiamente democratici, vengano utilizzate queste armi. Però finché sono entrate “è giusto mandare avanti l’economia del nostro paese”.
  • “Perché lei è stata liberata e tanti altri no”. Nell’ultimo anno e mezzo, l’Italia ha liberato tre ostaggi: Alessandro Sandrini, Luca Tacchetto e Sergio Zanotti. Dal momento in cui nessuno sembra ricordarsi i nomi, dubito che qualcuno si ricordi la cifra del riscatto, cosa indossassero quando sono rientrati in Italia. Alessandro Sandrini, condannato in Italia per rapina a mano armata, era in Turchia per un viaggio di piacere. E’ stato rapito, come Silvia. E’ stato liberato, come Silvia. Si è convertito all’Islam, come Silvia. Luca Tacchetto fu rapito e sequestrato durante un viaggio in Burkina Faso. E’ stato liberato dopo un anno e mezzo di prigionia, è arrivato in Italia con una folta barba e con indumenti non proprio tipici di un cristiano cattolico. Sergio Zanotti è stato sequestrato per tre anni da Al Qaeda, è stato liberato tramite un negoziato, come Silvia.  Non risulta che per questi tre uomini siano state fatte tutte le polemiche che Silvia Romano, in meno di dieci giorni, si è trovata ad affrontare. Che la differenza sia che  lei è una donna?
  • “Abbiamo fatto entrare una terrorista islamica sul suolo nazionale”. Viviamo in un epoca islamofobica, dove si confonde l’integralismo esaltato dei terroristi con la fede islamica. Bisogma chiedersi quale Islam ha conosciuto Silvia Romano durante la prigionia. Maryan Ismail: “Quello pseudo religioso che viene utilizzato per tagliarci la testa? Quello dell’attentato di Mogadiscio che ha provocato 600 morti innocenti? Quello che violenta le nostre donne e bambine? Che obbliga i giovani ad arruolarsi con i jihadisti? Quello che ha provocato  a Garissa 148 morti di giovani studenti kenioti solo perché cristiani? Quello che provoca da anni esodi di un’intera generazione che preferisce morire nel deserto, nelle carceri libiche o nel Mediterraneo pur di sfuggire a quell’orrore? Quello che ha decimato politici, intellettuali, dirigenti, diplomatici e giornalisti?”. Non sono chiari i motivi per cui ha deciso di convertirsi, forse aiutata dagli psicologi le sarà più chiaro, ma questo non deve essere oggetto di interesse. Da una parte, comunque, pare chiaro che in una situazione del genere chiunque si sarebbe convertito se costretto con la forza, o peggio, con una violenza psicologica. Lei, comunque, non deve rendere conto a nessuno né dei suoi abiti né della sua conversione. E il fatto che ci si concentri su dettagli futili e superflui come questo, invece che gioire del ritorno di una ventenne, dimostra molto sul nostro paese.

C’è da dire che in questa vicenda sono stati commessi alcuni errori.

Innanzitutto le ONG dovrebbero prendere maggiori precauzioni. Forse quando si tratta di giovani inesperti e senza formazioni particolari, non è il caso di mandarli in luoghi sperduti e completamente isolati, specie se luoghi teatro di violenze terroristiche. Il sentimento che muove giovani come Silva è puro e riempie il cuore di orgoglio, ma dovrebbe esserci maggior protezione. “La solidarietà necessita professionalità” dice Francesco Petrelli di Oxfam Italia. Nel 2015 le ONG promossero una discussione sulla sicurezza per i cooperanti nei Paesi in via di sviluppo con il ministro degli Esteri Gentiloni. Negli ultimi anni molte ONG hanno scelto la via di tenere dei corsi di formazione specifica sulla sicurezza dedicata a tutti, volontari inclusi, con la selezione oculata del personale per le operazioni nei paesi a rischio. Nei paesi in via di sviluppo non operano solo ONG consolidate e professionalmente valide, ma anche associazioni di piccole dimensione che, anche se animate dalle migliori intenzioni, non hanno i mezzi per proteggere i volontari.

Inoltre al suo arrivo in Italia, Silvia è stata sottoposta a una pressione mediatica incredibile. E’ stata data in pasto all’opinione pubblica. In un paese come il nostro dove il web è pieno di haters, di leoni da tastiera, di xenofobi era qualcosa che andava evitato. Silvia andava protetta. Fa ribrezzo, in ogni caso, che una giovane donna di venticinque anni, dopo mesi e mesi di sequestro, si sia ritrovata nel suo paese che non l’ha accolta con la gioia di rivedere quella che potrebbe essere una figlia, una sorella, una nipote, ma tutt’altro. Perché? Perché lei, come anche Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, rapite in Siria nel 2014, non corrisponde all’idea di donna e ai corrispondenti canoni che una società maschilista vuole vedere.

La verità è che noi non possiamo sapere nulla con certezza, ma possiamo solo provare a immaginare cosa possa aver provato una ragazza giovane, piena di vita, con grandi speranza, a vivere diciotto mesi di prigionia. Possiamo provare a immaginare la paura, l’angoscia, il senso di solitudine. Possiamo provare a immaginare quali sono stati i trattamenti che avrà ricevuto. Possiamo provare a immaginare, ma niente più di questo.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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