Se pensiamo al termine Politica, intendendolo come categoria concettuale e quindi in qualche modo sradicandolo dal <<fare politica>>, le immagini che affiorano alla mente hanno a che fare con concetti che sembrano quasi astratti. Pensiamo ad uguaglianza, diritti, gestione della res publicae, pari opportunità, sicurezza, democrazia… ma cosa accade se spostiamo il pensiero all’attuale ordinamento democratico, alle forze politiche che governano oggi il nostro sistema, al <<fare politica>>? Le attuali sfide della politica Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Probabilmente, nella società in cui attualmente viviamo, tutto ciò che è collegato alla politica assume una connotazione negativa identificabile in populismo, inettitudine e incompetenza. Siamo ormai abituati ad assistere ad una gestione malsana e controproducente di un’Italia in balia del caos che tenta, inesorabilmente, di uscire dall’annosa crisi che la attanaglia e che fin ad ora non sembrerebbe aver trovato una buona guida a cui potersi affidare. Vero è che il benessere di un paese viene calibrato e, spesso, direttamente associato alla crescita o meno dell’economia e che questa possa intendersi dunque come proporzionale ad una distribuzione equa delle ricchezze, delle opportunità e del benessere generale. Il 2008 in questa prospettiva è l’anno di riferimento dell’inizio di una profonda crisi economica che ha travolto senza indugi ogni aspetto della vita sociale, politica, psicologica ed anche culturale, collegandosi con ulteriori macro-eventi a livello internazionale dati dal cambiamento climatico, dalla minaccia del terrorismo e dal processo di immigrazione.
“La lotta per la poltrona”
Davanti allo scenario fin qui presentato ciò che deve, o che dovrebbe, fare la differenza in un paese come l’Italia, in quanto Repubblica democratica, è una gestione a livello politico che sia in grado di fare i conti con gli errori passati, ma soprattutto offrire prospettive migliori del futuro. La storia italiana ha subito in questo senso una profonda trasformazione che pone le proprie radici nel processo costituente con cui il primo gennaio del 1948 venne fondato il potere pubblico costituito. Quest’ultimo fa riferimento ai più grandi valori costituzionali, frutto di un duro lavoro di partiti che, al tempo, nonostante ideologie molto distanti tra di loro, portarono avanti un obiettivo comune: dare una Costituzione all’Italia. Quel momento ha probabilmente toccato l’apice di collaborazione tra forze politiche che hanno anteposto il bene del proprio paese a tutto il resto. La Costituzione abbraccia l’Italia dal nord al sud e rende tutti noi, indistintamente, destinatari di diritti e di doveri finalizzati al perseguimento di una vita dignitosa, prevedendo inoltre una divisione dei poteri tramite un sistema di freni e contrappesi volti ad evitarne l’abuso.
Settant’anni dopo i nostri partiti politici sembrano aver disilluso le aspettative dei padri costituenti. La destra e la sinistra mostrerebbero così di utilizzare la politica come canale per perseguire i propri interessi personali senza avere un programma preciso da rispettare, un’idea chiara di come aiutare la popolazione italiana ad uscire dalla crisi e recuperare le politiche pubbliche, dare spazio ai giovani, restituire dignità al lavoro. Il dibattito nelle aule del Parlamento ha perso la caratteristica naturale della critica costruttiva, poiché l’opposizione non avrebbe in mano alternative valide su cui costruire compromessi, ma semplice e gratuito sciacallaggio di circostanza il quale non avrebbe condotto, finora, a risultati pratici; piuttosto qualche consenso volatile.
Onde evitare, come indica la frase idiomatica, del “fare di tutta l’erba un fascio”, è bene ricordare che a prescindere da chi è o meno alla guida del governo quel che continua a mancare è una linea di riferimento ed il recupero di un necessario rapporto sano con l’elettorato. Si sente dire spesso che “destra e sinistra non esistono più” come se avessero perso quella luce ideologica che i loro leader portarono avanti credendoci fino al punto di dare la loro stessa vita per il valore che essa assumeva ai loro occhi, quella passione al giorno d’oggi è piena di ombre, di corruzione, caratterizzata dalla così detta “lotta alle poltrone” obiettivo di pochi a scapito dei più. La passione si è trasformata in propaganda mediatica dove vince chi sa compiacere, perlomeno a parole, le esigenze dei cittadini proponendosi come “paladino della patria” e promettendo riforme, cambiamento, tempi migliori, frasi fatte che di fronte alla disperazione possono avere un grande impatto.
I partiti della coalizione giallo-verde nata dalle elezioni del 2018 con il primo governo Conte, e che tutt’ora governano la scena politica italiana, sono sostanzialmente anti-sistema ma caratterizzati da ideali e prospettive del tutto differenti. Da qui, prevedibilmente, la gestione governativa non ha fatto altro che far emergere le fragilità e le difficoltà di conciliazione tra i due poli (che poi diminuiranno con la successiva coalizione giallo-rossa ma senza scomparire del tutto) dimostrando come a far da padrona sembrerebbe non essere più la politica quanto l’anti-politica. Emerge dunque la necessità di rinstaurare quel meccanismo di responsabilità politica e di rappresentanza propri degli ordinamenti democratici ma che pian piano si son sbiaditi.
I giovani e la politica a confronto
Il risultato di quest’insieme di elementi è stato un progressivo e sempre più marcato allontanamento dell’interesse delle nuove generazioni dal sistema politico ed una sostanziale sfiducia nei confronti delle istituzioni. Ci si potrebbe chiedere se una parte della colpa non sia attribuibile proprio alla società civile che ha lasciato scorrere invece d’intervenire su una situazione critica oramai radicata e far valere le proprie opinioni.
Quel che è certo è che questo tipo di atteggiamento di apatia e disinteresse pone in essere due problemi di non poco conto: il primo riguarda una diminuzione della partecipazione alle elezioni, il che di conseguenza da vita a governi meno legittimi, ed il secondo fa riferimento alla volatilità del voto, ovvero al fatto che si creino in continuazione consensi repentini per questa o quella parte. Le trasformazioni in atto date dalla globalizzazione e la pandemia mondiale da Covid-19 hanno reso ancora più evidenti le debolezze di un sistema che cammina sul filo del rasoio mentre aumentano sempre più i sentimenti di rabbia, di disorientamento ed inadeguatezza da parte soprattutto delle nuove generazioni che si vedono portar via le opportunità per poter crescere, realizzarsi e diventare finalmente autonomi.
L’art.1 della Costituzione afferma “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.” E’ da qui che bisognerebbe ripartire per costruire una solida collaborazione tra società politica e istituzioni alla luce della correttezza, dell’informazione e della trasparenza atti a garantire il principio di autodeterminazione del singolo che sia in grado di riconoscersi nelle scelte politiche.
Non è la normalità
Come scrisse Euripide con parole che potremmo utilizzare nella modernità “Quando un uom soave di parole, e tristo di cuor, la folla persuade, è grave il mal della città.” Perché la politica attuale non si basa sulla reale competenza ma su ciò che è vincente sul piano comunicativo, su ciò che può far leva sulla rabbia e l’insoddisfazione di cittadini schiacciati dall’insicurezza economica. La soluzione diventa puntare il dito contro il presunto nemico, ad esempio l’immigrato, ma non ci aiuta ad indagare sulla vera origine del problema. Questa non dovrebbe rappresentare la normalità; oltre che essere consapevole dei propri diritti ogni individuo dovrebbe avere la facoltà e la libertà di utilizzarli, la libertà di scegliere, di esprimersi nel rispetto degli altri e di non perdere mai né la curiosità né la voglia di ricercare sempre la verità nell’affrontare le sfide del futuro.