Le scuole ritorneranno alla normalità?
Il forte incremento dei contagi da coronavirus ha costretto le autorità mondiali a proibire gli assembramenti, tra essi quelli tra i banchi di scuola. In Italia, infatti, il 4 marzo di quest’anno la Presidenza del Consiglio ha sancito la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado e ha istituito la modalità di didattica a distanza (D.A.D.) attraverso piattaforme digitali come unica procedura adatta per svolgere le lezioni. L’iniziativa ha prodotto grande scalpore tra studenti e insegnanti che anche se familiarizzati con l’informatica e dotati di un’avanzata esperienza con le lavagne multimediali e il registro elettronico non erano abituati ad attività educative mediate unicamente da connessioni internet e dispositivi elettronici. Le famiglie peraltro già sconvolte dalle divergenze economiche e sociali causate dall’epidemia non hanno visto di buon occhio che gli insegnamenti e gli esami si impostassero obbligatoriamente online.
La convinzione che le disposizioni governative minacciassero il diritto universale allo studio e che le nuove metodologie non garantissero l’adeguato apprendimento ha fatto molto discutere. L’anno scolastico, ormai è finito ma l’incertezza è ancora viva, la tipica ansia da esame questa volta sarà molto più ardua ma come sarà il nuovo inizio a settembre?
Alla base della società
Democrazia, salute e benessere sociale, sembrano parole comuni nell’attualità, ma sono il frutto di anni di approfondimento e ricerca che non sarebbero stati possibili senza un’accurata diffusione del sapere. In Italia i comma 3 e 4 dell’articolo 34 della Costituzione italiana assicurano un educazione primaria e superiore gratuita per tutti, e i più alti livelli di studio agli alunni meritevoli; ma non è sempre stato così. In epoca romana il concetto di educazione si limitava alle usanze tramandate dagli antenati ed fu grazie all’affluenza greca che si sviluppò un percorso più ampio dello studio che preparava il cittadino alla vita pubblica anche se ristretta all’aristocrazia. Durante il medioevo l’istruzione venne assunta esclusivamente dalla Chiesa e si dovette aspettare al Rinascimento per la nascita delle prime scuole laiche pur sempre limitate ai ceti sociali più alti.
Nella seconda metà dell’ottocento l’unificazione d’Italia portò ad un’alfabetizzazione massiva del popolo con la “Legge Casati” che impose l’obbligo di seguire la scuola elementare. Da allora il sistema scolastico e universitario italiano è stato in continuo mutamento alla ricerca di un’istruzione rinnovata ed efficace alla pari con l’industrializzazione e le scoperte scientifiche. Alla fine del 2006 il Governo Prodi dispose che l’obbligo scolastico fosse finalizzato al conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o una qualifica professionale entro il diciottesimo anno di età.
Ma è il 2007 il punto di svolta, il Ministero dell’Istruzione fa partire il “Piano Nazionale Scuola Digitale” lanciato con l’investimento di 120 milioni di euro per le prime Classi 2.0 dotate da proiettori, portatili, stampanti, lavagne interattive, laboratori d’informatica e biblioteche con connessione a internet insieme alla gestione digitale dei contenuti didattici e del registro elettronico delle identità degli studenti. Da allora l’espansione tecnologica affiancò l’insegnamento convenzionale con software applicativi all’insegnamento portando ad una vera propria rivoluzione della didattica. Il piano venne ripreso e rifinanziato dall’emanazione della legge 107/2015 “Buona scuola” del Governo Renzi nel 2015 per contribuire a “catalizzare” l’impiego di più fonti di risorse a favore dell’innovazione digitale. L’intenzione era di estendere il concetto di scuola e delle attività orientate alla formazione fuori dal luogo fisico verso tutti gli ambienti possibili attraverso l’uso dell’innovazione.
Gli effetti del lockdown negli studenti
In Italia e in altre parti del mondo la quarantena totale costrinse la popolazione a restare a casa. L’impossibilità di svolgere le lezioni in aula diede a docenti ed alunni l’opportunità di sperimentare la realtà virtuale dell’insegnamento. Come sempre la precarietà causa effetti devastanti tra le famiglie di minor reddito, privandole da un bene che dovrebbe essere ricevuto gratuitamente in quanto diritto, come lo è l’istruzione. La didattica a distanza infatti dimostrò come la carenza di una banale apparecchiatura elettronica o di una normalissima connessione possano essere decisive per far fronte ad eventi simili. Tale fenomeno purtroppo non ha coinvolto solo luoghi come il Sud America, l’Africa o alcune nazioni asiatiche, ma anche il nostro paese. Famiglie indecise tra pagare le bollette internet e consentire ai propri figli di studiare o magari utilizzare quei soldi per del cibo o altri beni di prima necessità.
Per il resto della popolazione la situazione è stata diversa e l’opinione pubblica è stata abbastanza variegata. Da un campione di trenta alunni universitari la maggioranza ha affermato di aver avuto la possibilità di svolgere le lezioni online, di approvare il grado di valutazione degli esami online e che si possono paragonare alle normali sessioni in presenza:“le procedure per valutare gli studenti sono sempre quelli dell’esame”. Addirittura per alcuni studenti questo metodo ha agevolato le loro prestazioni reputandolo “comodo, pratico ma anche rilassante” per lo studio.
Nonostante questa prima percezione positiva, solo un quarto degli intervistati dichiara di sentirsi pienamente soddisfatto dall’esperienza didattica della lezione a distanza:
” Il rapporto umano e la concentrazione che c’è in classe, non c’è di fronte a uno schermo del computer”. Infatti in alcuni istituti italiani le problematiche incentrate sulla difficoltà a seguire le videoconferenze determinarono un’assistenza del solo 33% degli studenti o in altri casi in cui il numero di aderenti fu maggiore non ci fu sufficiente partecipazione nell’interazione.
Per quanto riguarda la riapertura a settembre l’opinione è abbastanza divisa tra chi si aspetta un anno scolastico in presenza o nella continuazione a distanza, ma tutti concordano nella necessità di riaprire in sicurezza:
“È necessaria, ma bisogna riflettere sulle condizioni dell’edilizia scolastica e sull’assetto delle classi”
Ma è proprio questa l’incognita, che preoccupa anche agli insegnanti, se le autorità riusciranno ad assicurare aule adatte, evitando situazioni come le solite “aule di pollaio” che diventerebbero non solo insostenibili per il regolare studio delle discipline ma soprattutto a livello di prevenzione del contagio.
I docenti delle scuole primarie e secondarie hanno ritenuto che il lavoro telematico non è stato soddisfacente a colpire l’attenzione degli alunni, già disorientati dal resto delle circostanze preesistenti, e che queste strategie non sono adatte all’effettiva funzione pedagogica:
“la didattica ha bisogno di rapporti vivi,interpersonali,di comunicazione reale di un peripato aristotelico di un esempio forte che si vive con la pratica…”
La speranza dietro al blocco
Il lockdown, al di là dell’emergenza sanitaria, mise in pausa un mondo dipendente dalla frenesia. Le conseguenze si sono presentate nei diversi ambiti e a diversi livelli. Nonostante i rischi e le difficoltà che l’Italia dovette attraversare, studenti e docenti, sono riusciti a mandare avanti il motore della conoscenza, non senza sacrifici, o momenti di incertezza generale. Il sistema scolastico e universitario italiano non è stato bloccato dall’epidemia; anche in quarantena ha continuato ad offrire il proprio servizio pubblico. Tranne in alcuni casi eccezionali di mancanze di apparecchiature.
Riempire le lacune nel programma scolastico non è mai stato compito facile e sicuramente non lo sarà in questi particolari contesti ma si rivelerà vantaggioso nella ricerca di soluzioni più veloci alle difficoltà nell’acquisire nuove conoscenze e dare origine a un tipo di studio più autonomo ed efficiente.
Tutto sta tornando lentamente alla normalità, i diversi negozi tra cui parrucchieri e barbieri stanno aprendo, tra un po’ anche i cinema e i teatri; e possibilmente a settembre ci saranno le condizioni per far riaprire il resto delle strutture e di conseguenza anche le scuole, certamente con misure sanitarie adatte alla circostanza. In altri paesi come Cina e Taiwan le istituzioni scolastiche sono già aperte; adottarono scrivanie con divisori in plastica trasparente per gli alunni, il distanziamento sociale in tutte le aree e l’obbligo dell’utilizzo di mascherine. Norvegia e Singapore invece, richiedono la pulizia frequente di tutti gli ambienti utilizzati durante la giornata, inoltre alla ininterrotta ventilazione artificiale degli spazi e l’apertura di tutte le finestre degli stabilimenti.
Le diverse esperienze dei nostri concittadini e le loro impressioni su questa nuova realtà contribuiscono a migliorarne l’utilizzo, creare procedimenti alternativi in caso di contesti analoghi in futuro o magari semplicemente potenziare altri aspetti dell’apprendimento convenzionale e le capacità intellettuali di ognuno, oltre a eliminare alcune mancanze nel precariato e riuscire ancora a contribuire all’innovazione. Più che crisi della scuola si dovrebbe parlare di rinascita o sopravvivenza di un sistema educativo che continua ad evolversi e crescere coinvolgendo tutti e risolvendo i problemi.
Direttore responsabile: Claudio Palazzi