Stato d’emergenza in Ecuador dopo la riforma economica del governo. Il presidente Moreno annuncia: «la decisione di dichiarare lo stato d’emergenza è stata presa per proteggere l’ordine e la sicurezza dei cittadini». Aggiunge che il governo è aperto al dialogo con i manifestanti ma non cederà ai loro ricatti. L’Ecuador torna alla ribalta. Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Sempre più accesi, infatti, gli scontri tra agenti e manifestanti. Numerose le proteste che si susseguono dal tre ottobre. La decisione del presidente Lenin Moreno di eliminare i sussidi statali, che finora sono serviti a mantenere bassi i prezzi del carburante, ha scatenato il malcontento generale. I primi a protestare sarebbero stati tassisti e autotrasportatori, ai quali si sono in seguito aggiunti studenti e soprattutto gruppi che rappresentano la popolazione indigena del paese.

Già in passato, ricordiamo, sarebbero state proprio queste ultime a portare la caduta di ben tre presidenti. Non è un popolo con cui si scherza dunque, quello Ecuadoriano. Pare che, poche ore prima delle proteste, il presidente abbia deciso di spostare, temporaneamente, la sede del governo. Dalla capitale Quito, infatti, questa si sarebbe spostata al secondo centro del paese, Guayaquil, colpita dalla protesta in misura minore.

Un passo indietro

Ma quella dell’Ecuador è una storia lunga e turbolenta, che già negli anni precedenti si è spesso fatta risentire. Facciamo un passo indietro, dunque, per capire come siamo arrivati fin qui.

Dal 2013, ovvero verso la fine dell’esperienza correista, la situazione economica dell’Ecuador è bloccata. Principalmente col crollo del prezzo del petrolio, fonte di ricchezza per l’economia e motivo di continui scontri con la popolazione nelle zone di trivellazione.

Tra il 1997 e il 2007, in Ecuador si sono succeduti nove presidenti. Nessuno di loro è riuscito a completare il proprio mandato. Come successo con Jamil Mahuad, che sarebbe stato destituito nel 2000 dopo la dollarizzazione dell’economia ecuadoriana, che gli ha permesso di rimanere al governo per soli 2 anni. Il tutto in seguito a rivolte sociali, scioperi generali e colpi di stato. Tutto quello che sta accadendo in Ecuador, in linea di massima, risponde alla fragilità storica del suo sistema politico.

Le proteste in Ecuador hanno dimostrato la posizione in estrema difficoltà in cui si trova il ruolo di Moreno, che è al governo da due anni e mezzo. La sua popolarità è in calo da mesi. Moreno ha dichiarato che le istituzioni hanno aiutato a «difendere il sistema democratico del paese» aggiungendo che non si dimetterà perché è certo di essere nel giusto. Ha potuto, dunque, attuare la sua controffensiva mediatica.

La controffensiva di Moreno

Moreno avrebbe accusato i suoi oppositori, sostenuti dal presidente del Venezuela Nicolas Maduro, di stare organizzando un colpo di stato. Per il presidente, infatti, i diretti responsabile degli scontri sarebbero il suo predecessore Rafael Correa e il presidente del Venezuela Nicolás Maduro: gli unici che, insieme al presidente della Bolivia Evo Morales, avrebbero difeso gli appelli dei manifestanti. Si è difeso dalle accuse di questi ultimi affermando l’importanza di aumentare e liberalizzare il costo del carburante, per contrastare i gruppi criminali attivi nel contrabbando. Secondo il presidente, questo atto ha l’utilità di aumentare le entrate nelle casse dello Stato. Le aspettative sono quelle che, in futuro, ci siano più soldi a disposizione per le fasce più povere della popolazione.

È difficile prevedere l’evoluzione delle proteste nei prossimi giorni. Il ritorno del movimento indigeno nelle piazze viene percepito come un messaggio di combattività a oltranza.

Tuttavia, tra Conaie e i seguaci di Correa non corre buon sangue e più in generale non sembra esserci ancora uno sbocco politico elettorale chiaro. Nel 2021 sono previste le nuove votazioni. Intanto, un primo passo potrebbe essere il blocco del decreto 883.

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