AMAre Roma e abbandonare la periferia

“A Piazza Bologna io ce vivo bbene, è il quartiere mio, ce so cresciuto. Ma noi romani c’avemo un difetto: semo pigri.” Mi parla così Luciano, il portiere di uno dei tanti palazzi storici di Roma vicino Piazza Bologna (quartiere Nomentano).

Sono le 8 di mattina di un normalissimo e piovoso mercoledì ma Luciano il buongiorno non me lo rivolge più da un po’ di tempo e, precisamente, da quando ho cominciato anch’io a lamentarmi per la prima delle battaglie quotidiane: buttare la spazzatura.

A Piazza Bologna “ce vivo bbene” pure io, sono sincera. È una zona fornita di tutto: farmacie, supermercati, uffici postali, fermata della metro. Si vede che è un quartiere sviluppatosi, sin dall’inizio del Novecento, su un’area destinata alla medio-alta borghesia: i palazzi più antichi sono tutti in stile liberty, gli altri sono di più recente costruzione. Qui, oltre ai numerosi studenti universitari, vive anche una delle più grandi comunità ebraiche della Capitale. Tutto sommato, mi dico, da quando mi sono trasferita a Roma circa un anno fa, abito in un quartiere benestante.

Ma la spazzatura non ha classe sociale e, nella logica della Città Eterna, rimane da vedere se la sporcizia, la decadenza, l’abbandono sono questioni di pigrizia, di inadempienza o di strategia politica. O di decoro che poi, alla fine, è strategia politica.

Il mio tour nell’abbandono della Capitale inizia da qui: dal quartiere in cui vivo, da Piazza Bologna, una zona a metà strada tra la Roma alto-borghese dei Parioli e quella universitaria e più spiccatamente popolare di San Lorenzo.

Ogni mattina, scendendo da Piazza Bologna verso la Città universitaria de La Sapienza, lo scenario è sempre il solito: cassonetti stracolmi e cumuli di spazzatura ai lati, che spesso arrivano ad intralciare la strada dei pedoni sul marciapiede. Una situazione immancabilmente condannata a replicarsi per la grande quantità di studenti che, ogni giorno, attraversano Viale Ippocrate e si fermano nei numerosi bar, pizzerie, gelaterie, caffetterie a mangiare e bere. In pratica: a produrre rifiuti.

Una volta arrivati a La Sapienza, la routine dello studente vuole che, dopo lezione, ci si conceda una birra. E quale posto migliore di San Lorenzo, con le sue birrette a tre euro? Ma in Piazza dell’Immacolata e nelle strade adiacenti (Via dei Sabelli, Via dei Volsci) lo scenario cambia solo qualitativamente: al posto dei cartoni di pizza, ci sono i bicchieri di plastica dei drink e delle birre della sera prima. Ed è cosi ogni giorno. Perché i bidoni non ci sono e, se ci sono, sono già pieni.

Se poi dalla movida del quartiere universitario ci spostiamo in direzione Stazione Termini, e percorriamo Viale dello Scalo San Lorenzo, la situazione si aggrava. Qui la raccolta differenziata porta a porta è stata attiva per due anni ma semplicemente non ha mai funzionato, mi dicono alcuni condomini. I cittadini, esasperati, sono stati costretti ad accumulare l’immondizia sul marciapiede per non averla all’interno dei portoni.

Da settembre di quest’anno la raccolta porta a porta non è più in vigore e spetta ai condomini stessi, una volta differenziati i rifiuti, gettarli negli appositi bidoni. Ma qui, alla pari del quartiere Nomentano in cui vivo, vige il caos assoluto. Bottiglie di plastica nella campana del vetro, carta e cartone nel cassonetto dell’indifferenziata e sacchetti con dentro qualsiasi cosa (umido, plastica, carta) sparsi ovunque, a testimoniare che il camion per la raccolta rifiuti non passa da un po’ e che la raccolta differenziata non è una questione a cui gli abitanti del quartiere sono particolarmente sensibili.

In zona Stazione Termini la mole di rifiuti aumenta perché aumentano le persone, sale il numero di gente che aspetta qualcosa, qualcuno o è lì solo di passaggio e immancabilmente consuma. Come soluzione all’evidente problema, non sono stati installati cassonetti destinati alla raccolta differenziata, bensì è aumentato il numero di bidoni dell’indifferenziata, provocando un incremento vertiginoso della quantità d’immondizia che, in poco tempo e tutta insieme, si imputridisce e puzza.

Arrabbiata e nauseata dallo scenario visto fin’ora, decido di dirigermi nella zona Est della Capitale. Secondo dati dell’Istituto Superiore di Sanità, infatti, a Roma est si muore praticamente tre anni prima rispetto a Roma centro a causa di patologie tumorali e problemi alla tiroide. Nell’immensa e popolatissima area del VI Municipio, che da Tor sapienza si estende verso Torre Angela e Tor Bella Monaca fino a Rocca Cencia, c’è un panorama che, insieme al disgusto legato all’abbandono dei rifiuti, inquieta: la cosiddetta “terra dei fuochi romana.” Qui i cittadini sono esasperati dalle condizioni di vita e basta camminare ( o almeno tentare di farlo) lungo Via Puccinelli per capirne il motivo.

La strada è una vera e propria discarica a cielo aperto da ormai due anni. In particolare, tra i rifiuti non c’è solo l’immondizia dei cittadini ma anche il materiale di scarto o invenduto delle aziende e degli esercizi commerciali. L’impianto AMA di Via Roccia Cencia è un immenso punto di raccolta in cui arrivano tutti i rifiuti di Roma che, nel trattamento meccanico-biologico dei rifiuti indifferenziati, appesta l’intero municipio, con conseguenza serie sulla salute. Come per l’ex TMB Salario (ormai verso la dismissione completa, dopo l’incendio del dicembre scorso che l’ha reso inutilizzabile), l’AMA, l’assessorato comunale ai rifiuti e la sindaca Virginia Raggi negano che ci sia un problema.

In realtà, basta semplicemente camminare tra le strade adiacenti all’impianto per capire che si tratta di un evidente e grave problema ambientale e sanitario. La situazione è senza dubbio un’emergenza sotto tutti i punti di vista e, per avere la conferma di ciò che in cuor mio già so, decido di avvicinarmi di nuovo al centro della Capitale, verso l’eccezione che conferma la regola.

Nelle zone centrali e semicentrali di San Saba, Aventino, Monti, Monteverde vecchio, Trastevere, San Paolo, così come nel quartiere Testaccio (storico quartiere popolare di Roma, oggi riqualificato e rimodernato) la spazzatura, come immaginavo, quasi non si vede né si sente. Anche se non si può dire che manchino cittadini, turisti o esercizi commerciali. Passeggiare per i vicoletti di Trastevere la sera è un piacere e, a parte qualche bottiglia di vino lasciata in giro da gruppi di ragazzi, la situazione non è poi così indecorosa. Perfino la piazza di Campo de’ Fiori, dopo aver ospitato tutto il giorno il famoso, vivace e pittoresco mercato, la sera viene ripulita come si deve.

Non ci sono cassonetti per l’indifferenziata, certo, semplicemente qui i bidoni vengono svuotati e lo sporco portato via, senza criterio. Non c’è niente di virtuoso, è solo una questione di decoro. Sembra che le tasse dei cittadini romani vengano spese solo là dove economicamente conveniente, senza nessun impegno nel sensibilizzare i cittadini alla raccolta differenziata. Nel frattempo la periferia, ciò che non attrae il turismo, non merita di essere curato e cade nel dimenticatoio. L’amministrazione capitolina tende così a ignorare un problema che ha e continuerà ad avere, nel tempo, gravi conseguenze a livello ambientale, sanitario e sociale.

Ecco, alla fine di una giornata in giro per Roma, ciò che rimane è solo molta rabbia, tante domande e una sola risposta: sapere dove vive quel  9% degli abitanti della Capitale che, in base al sondaggio Eurostat sul livello di pulizia delle città europee, “ha trovato abbastanza pulita la propria città”. Il resto, il 91%, la schiacciante maggioranza, fa posizionare la Città Eterna all’ultimo posto. Eurostat certifica così, in modo ufficiale, ciò che è sotto gli occhi di tutti: a Roma la raccolta rifiuti non vuole funzionare.

Dove sta tutta la colpa? Nei romani che non fanno la differenziata? Nella pigrizia di cui mi parla Luciano? O nell’azienda AMA che da anni, ormai, ha perso credibilità e non gode più della fiducia da parte dei cittadini? Di sicuro, impegno e sfiducia non vanno d’accordo.

AMAre Roma e abbandonare la periferiaAll’ormai vecchia storia del problema della gestione dei rifiuti, infatti, nell’ultimo periodo si sono aggiunti avvenimenti e inchieste che hanno aumentato il senso di generale scetticismo, rabbia, pessimismo che governa la routine quotidiana di tutti i romani. Prima l’inchiesta dell’aprile di quest’anno, che ha visto coinvolta la sindaca Raggi, attraverso la quale si è scoperto che lei stessa avrebbe fatto pressioni per spingere i vertici dell’AMA a cambiare il bilancio, con l’obiettivo di portare i conti dell’azienda in rosso.  Poi, a ottobre, le dimissioni del Consiglio di Amministrazione dell’AMA (con Luisa Melara presidente, Paolo Longoni amministratore delegato e Massimo Ranieri consigliere d’amministrazione), durato poco più di 3 mesi, che di certo non hanno contribuito a creare una situazione stabile per la gestione del problema.

A questo generale stato di confusione, si aggiungono le più recenti inchieste sui furbetti dei rifiuti e sulla finta differenziata di AMA, che esaspera i cittadini romani togliendo forza a qualsiasi volontà d’ impegno a livello ambientale.

Insomma, i romani, scoraggiati, si assuefanno al tanfo e all’idea di dover vivere e morire accanto ai rifiuti e a causa di questi.  E Roma va avanti così, in un non-tempo in cui tutto è già accaduto , tutto dovrebbe accadere e nulla, in realtà, accade. Si muove facendo un girotondo sul grande raccordo anulare progettato dall’ingegnere Eugenio Gra nel 1951: 68 km che collegano le varie borgate abbandonate mentre il centro rimane bello, affascinante, eterno perché, come diceva Jep Gambardella ne La grande bellezza: “Sono belli i trenini che facciamo alle feste, vero? Sono i più belli del mondo perché non vanno da nessuna parte.”

AMAre Roma e abbandonare la periferia

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