L’incontro del mondo sulle cicatrici di Beirut

4 agosto, ore 18:08. Beirut cambia volto.
Il boato causato dalla deflagrazione in un magazzino del porto di quasi 3.000 tonnellate di nitrato di ammonio fa avvertire la propria eco fino a Cipro, a circa 240 km di distanza.
Lo scenario è apocalittico: macerie, scheletri delle abitazioni disintegrate, vetri in frantumi nei quartieri colpiti. I dati ancora più raccapriccianti: 300.000 persone sfollate, 7.000 feriti, più di 200 morti.
OMS riporta che oltre il 50% delle strutture sanitarie si trovano attualmente fuori uso, mentre le uniche tre rimaste operative sono profondamente in sofferenza.

L’esplosione ha avuto origine dal quantitativo di nitrato di ammonio stoccato nei magazzini portuali, confiscato nel 2014 dal governo libanese alla nave russa M/N Rhosus, fermatasi l’anno precedente nel porto di Beirut per dei problemi al motore. Mentre sui social media hanno cominciato rapidamente a circolare fake-news e teorie cospiratorie – da ipotesi su fuochi artificiali, attacchi missilistici, bombe atomiche –  restano ancora da accertare le reali cause dell’esplosione al porto.

Il disastro si inserisce in una cornice già tragica per il Paese, in default economico e provato dai contagi di Covid-19, ulteriormente aumentati ad una settimana dalle esplosioni del 4 agosto.
Essenziali gli aiuti umanitari forniti al Libano dalle organizzazioni internazionali, dalle non profit e dai volontari di tutto il mondo, che si è raccolto attorno alla comunità libanese, fornendo tutto il supporto possibile.

IL PAESE DEI CEDRI

Confinante per 2/3 con la Siria, per la restante parte con Israele, il Libano è stato da sempre coinvolto nelle questioni e nei conflitti mediorientali: la guerra con Israele del 2006, la diaspora palestinese, le guerre del Golfo, la guerra civile siriana, il terrorismo di matrice islamica.
Un tempo ritenuta la Parigi del Medio Oriente, dopo 15 anni di guerra civile (conclusasi nel 1990), ha perso il proprio ruolo egemonico, mentre il potere nazionale è stato suddiviso in 17 confessioni diverse. Nel mondo arabo, il Libano è l’unico paese a mantenere una forma di democrazia.
Da 8 mesi è attraversato da una profonda crisi economica, legata a doppio filo alla svalutazione della moneta locale, alla dilagante disoccupazione, all’instabilità politica.

A marzo è giunto l’annuncio del default, punta dell’iceberg di una crisi derivante da decenni di scelte politiche ed economiche legate alla faziosità e corruzione delle élite al potere.
Inevitabile l’aumento del 60% dei prezzi di beni di prima necessità, la nuova tassazione su tabacco, carburante, servizi telefonici, nella totale assenza di supporto alla popolazione da parte dell’autorità statale.
Il popolo di un Paese sul lastrico si è riversato in strada a manifestare contro le caste locali e non si è fatto fermare neppure dal lock-down imposto dal governo per l’emergenza Covid-19. Recentemente sono state prese di mira le banche e le proteste hanno avuto sbocchi violenti, con risposte dure dall’esercito e decine di feriti. Il 10 agosto 2020 le dimissioni del primo ministro libanese Hassan Diab non sono state seguite da quelle del presidente Michel Aoun, determinato a non rinunciare al proprio ruolo. Alla richiesta di dimissioni del governo, di riforme economiche e sociali per un Paese che sta colando a picco si sono mostrate sorde le autorità politiche e governative, che spesso hanno tentato di canalizzare il malcontento su capri espiatori esterni, quali Israele.

Un piano di riforme trasparente con tagli alle spese nel settore pubblico e una riforma del settore elettrico – profondamente compromesso – è proprio la condizione posta dal Fondo Monetario Internazionale per sbloccare un importante sostegno finanziario, l’unica e rapida soluzione alla crisi libanese. Intanto, la sola forma di assistenza per le aree più povere del Libano deriva dall’azione congiunta di associazioni umanitarie e Ong, mobilitatesi anche a seguito delle recenti esplosioni di Beirut.

UN PONTE DI ASSISTENZA UMANITARIA

Davanti alla tragedia del 4 agosto le maggiori potenze internazionali si sono prontamente mobilitate per sostenere il popolo libanese, intervenendo a più livelli, dal primo soccorso medico al supporto sanitario e psicologico, da integrazioni finanziarie all’assistenza umanitaria con forniture di beni di prima necessità e vestiario, fino alle operazioni di rimozione delle macerie e riassestamento dei quartieri colpiti. Sul fronte economico, a pochi giorni dalle esplosioni, trenta leader di istituzioni internazionali si sono raccolti in videoconferenza – organizzata dal presidente francese Macron in cooperazione con l’ONU – decretando lo stanziamento di 250 milioni di euro a sostegno di Beirut.
Gli aiuti finanziari verranno gestiti dall’ONU in completa trasparenza e saranno consegnati “direttamente” al popolo libanese.

L’Italia, che è il secondo partner commerciale del Libano dopo la Cina, è di nuovo presente a fianco del Paese, come dopo il conflitto del 2006 da cui era uscito prostrato.
Dall’Italia sono giunte 8 tonnellate di materiale sanitario, squadre dei Vigili del Fuoco ed esperti CBRN (chimici, biologici, radiologici, nucleari), mentre il 12 agosto 2020 il Governo italiano ha erogato un finanziamento di 720.000 euro attraverso l’Agenzia italiana per la Cooperazione, destinato alla Croce Rossa libanese.
La Cooperazione italiana in Libano è già impegnata in opere che riguardano le infrastrutture idriche, l’agricoltura (collaborazione con la FAO per rafforzare il settore caseario), la cultura, lo sviluppo locale, i diritti umani; ha inoltre collaborato con il Ministero dell’Ambiente libanese per la gestione dei rifiuti, le energie rinnovabili e il risparmio energetico. Il legame con il Paese dei cedri appare ancora più stretto, se si considera il numero di aziende nazionali sul territorio libanese e l’impegno militare dell’Italia nella missione di addestramento Mibil.

Legame ancora più forte risulta quello con la Francia, che ha esercitato fino al ventesimo secolo un potere diretto sul Libano, in cui rimane tuttora cospicua la presenza di una comunità franco-libanese.
Il presidente Macron si è recato a Beirut a 48 ore dal disastro per manifestare la vicinanza della nazione francese in un momento così drammatico. La priorità rimane il soccorso, ha affermato Macron, ma la visita sembra avere un sapore anche politico: è stata ribadita l’importanza di future riforme politiche per il Libano, dipendente in parte dagli aiuti francesi.

LE NECESSITA’ PRIMARIE

Con la distruzione del porto di Beirut è crollato il punto nevralgico per le importazioni alimentari del Libano (circa l’85% del fabbisogno), ma sono andate anche perdute circa 120.000 tonnellate di cereali stipati nell’area.
Si stima che le riserve disponibili potranno soddisfare le necessità primarie della popolazione per una durata massima di sei settimane, molto al di sotto del livello minimo per garantire la sicurezza alimentare (considerato 3 mesi).

Per questo WFP (World Food Programme) principale organizzazione umanitaria e agenzia delle Nazioni Unite per l’assistenza alimentare nelle emergenze e per miglioramento della nutrizione delle comunità – si è attivata per consegnare 150.000 pacchi alimentari con riso, pasta, bulgur, ceci, olio, sale, zucchero e ha fornito insieme alla Caritas Libano dei pasti caldi alle mense.
In programma vi è un ampliamento dell’azione assistenziale per arrivare ad aiutare fino a 1 milione di persone in tutto il paese.

Sul fronte dell’impatto ambientale causato dalle esplosioni e delle protezioni da adottare contro le emissioni tossiche dall’area colpita, l’American University di Beirut sta conducendo una ricerca con il supporto dell’Organizzazione Mondiale della Salute (World Health Organization).
Nelle 24 ore seguenti il disastro del porto, WHO ha distribuito forniture chirurgiche per 2.000 pazienti e inviato successivamente 25 tonnellate di PPE (dispositivi di protezione individuale) per l’emergenza Covid-19, in sostituzione delle scorte distrutte.
In collaborazione con il Ministero della Salute, WHO sta già assicurando che tutti i bisogni umanitari vengano soddisfatti – nel rispetto delle misure di sicurezza per l’emergenza Covid – stabilendo una cellula di coordinazione per i paramedici, così da facilitare le operazioni dei team internazionali in maniera efficiente, e stabilendo un sostegno psicologico per pazienti con disturbi psichiatrici pregressi, medici e paramedici in prima linea, operatori mediatici.

LO SCHELETRO DELLA SANITÀ

L’Organizzazione mondiale della Sanità ha lanciato un appello per la raccolta di 15 milioni di dollari in donazioni per gli ospedali libanesi, di cui i più vicini al porto di Beirut sono andati distrutti nelle esplosioni, mentre altri più distanti hanno subito dei danni a vetri e soffitti.
Uno degli edifici più danneggiati risulta essere l’ospedale Saint George, per l’80% demolito dalla deflagrazione che ha causato la morte di 11 persone e il ferimento di oltre 150.
Per sopperire alla mancanza di strutture idonee, sono stati forniti ospedali da campo da Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iran; immediata anche la risposta del Qatar nello spedire brandine di soccorso.

Un appello per la solidarietà verso il Libano è stato lanciato dal MECC (Middle East Council of Churches), che evidenzia la difficoltà delle chiese locali a sopperire alle esigenze della popolazione e ai processi di ricostruzione urbana. Si richiama l’attenzione sulla distruzione di 3 ospedali cristiani, essenziali per il ricovero e il trattamento dei pazienti – sia cristiani che musulmani – affetti da Covid-19. E un pensiero particolare è rivolto anche alle numerose scuole, distrutte proprio alla soglia del nuovo anno scolastico.

BAMBINI, DONNE E FAMIGLIE

Ted Chaiban, direttore regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, al 17 agosto 2020
riporta dati agghiaccianti: più di 100.000 bambini sono stati colpiti direttamente dalle esplosioni.
I bambini sono stati ricongiunti con i familiari, dopo un’iniziale separazione, ma dalle stime dell’UNICEF fino a 100.000 potrebbero aver perso le loro case nelle esplosioni; a molti è stato impedito di uscire per evitare l’inalazione di gas tossici, costretti a rimanere in abitazioni disastrate: numerose le famiglie che  ad esempio non hanno accesso all’acqua corrente.

I team di
Save The Children stanno distribuendo materiali impermeabilizzati per edifici privi di porte e finestre; vi è il progetto di consegnare cibo e scorte urgenti, contributi per famiglie in difficoltà e quello di supportare l’istruzione domiciliare dei bambini. Rimane attivo il supporto psicologico offerto a bambini e familiari, per lo stress e i traumi subiti.

Oltre che nella distribuzione di acqua potabile, UNICEF è impegnata insieme ai suoi partner per rifornire le scorte di vaccini e nelle operazioni di rimozione di detriti e riparazioni. Il 7 agosto in Libano sono arrivati vaccini per l’antitetanica, effettuati in via precauzionale su tutti i feriti; per l’emergenza Covid-19 sono state invece predisposte 3,5 milioni di mascherine chirurgiche, 17.370 filtranti e poi visiere, tute, camici, guanti sterili.
Bambini e famiglie possono trovare soccorso nella maxi tenda allestita al centro di Beirut, dedicata a sostegno psicologico e informazioni per chi necessita di altri servizi, mentre altre tre analoghe sono in preparazione.

La salute mentale del popolo libanese, già incrinatasi a seguito della crisi politica e finanziaria, dai tassi di disoccupazione e dallo scoppio della pandemia, è al centro dell’intervento di Medici Senza Frontiere, che hanno prestato un primo soccorso psicologico e si adoperano per una risposta a lungo termine. Già dal 4 agosto, hanno donato alla città kit di primo soccorso, mentre in due quartieri devastati dalla deflagrazione – Mar Mikhael e Karantina – sono stati installati punti medici fissi, distribuiti kit igienici ai pazienti e predisposti serbatoi d’acqua. Un team mobile visita porta a porta gli abitanti.

Fondamentale l’azione di UN WOMEN che ha attiva una linea telefonica dedicata a donne e ragazze a rischio o vittime di violenza nelle aree colpite. Più di 70 chiamate ricevute e 100 sessioni di supporto psicologico sono state effettuate a favore delle famiglie colpite.

Le esplosioni di Beirut hanno comportato notevoli danni anche per il patrimonio artistico-culturale della capitale; danni che gravano sul settore turistico, un possibile punto di ripartenza per il futuro dell’economia del Libano.
Secondo le stime di Sarkis Khoury, direttore generale delle antichità presso il Ministero della Cultura libanese, tra gli 8.000 edifici colpiti dalle esplosioni circa 640 sono di interesse storico; rovinati anche alcuni dei quartieri più antichi della città. L’UNESCO si è già impegnata a guidare una mobilitazione internazionale con altri partner per attivarne una ricostruzione.

L’auspicio è di poter garantire, grazie al sostegno fornito dalle organizzazioni politiche e associazioni internazionali, insieme ai volontari delle Ong, una ripresa per il Paese, sia sul piano socio-sanitario sia su quello economico, richiesta a gran voce dal popolo libanese. Un popolo che è noto per la propria resistenza, per la grande determinazione che lo anima e che lo lega ad uno dei maggiori miti del mondo arabo: la fenice che risorge dalle proprie ceneri.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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