Panico nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro: l’epidemia di scioperi in Italia

La paura per il Coronavirus ha letteralmente travolto il nostro paese da ormai diverse settimane, portando alla chiusura temporanea ormai di tutti i luoghi di assembramento e di socialità, allo scopo di mitigare il più possibile la diffusione del virus. Il governo, progressivamente, ha emanato una serie di decreti per limitare la diffusione di contagi sull’intero territorio nazionale.

Il presidente Conte, l’11 Marzo, ha firmato l’ultimo provvedimento con il quale ha disposto la chiusura di tutte le attività ritenute non essenziali (vendita al dettaglio, ristorazione, servizi alla persona), garantendo, tuttavia, il proseguimento delle attività più strettamente necessarie, pur nel rispetto delle norme igienico-sanitarie. Quest’ultimo aspetto ha però causato un’ondata di proteste in tutta Italia, che si è concretizzata in un moltiplicarsi degli scioperi da Nord a Sud.

Scioperi dal Nord…

Le proteste sono partite, com’era prevedibile, dai luoghi di quella che fino a poco fa era la famigerata “Zona Rossa“, cioè il Nord Italia (Lombardia, Emilia Romagna, ma anche Liguria e Piemonte).

In Piemonte, finora, hanno scioperato all’Ikk di Vercelli, alla Mtm di Cuneo, alla Trivium di Asti, oltre che alla Dierre, dove però i lavoratori sono stati fermati. A Venezia, invece, alcuni carpentieri della Fincantieri di Marghera spiegano la difficoltà di svolgere le attività in accordo con la distanza stabilita dalla nuova disciplina: “Impossibile rispettare le regole, non si può fare questo lavoro stando a distanza di un metro l’uno dall’altro sarebbe meglio chiudere tutto. Questo virus è un casino e non ci sentiamo protetti”.

In Lombardia, una delle regioni più critiche, ha visto le proteste, tra le tante, degli operai della Iveco di Suzzara, della Bitron di Milano e della Belelli di Mantova. Anche alcuni operai che lavoravano nelle fabbriche del Bresciano hanno dato vita ad uno sciopero per maggiori tutele dal punto di vista sanitario.

Anche all’Hitachi di Pistoia, la situazione è precipitata velocemente, a causa della difficoltà per le aziende di adeguare la produzione (come è normale che sia per l’industria) alla normativa messa in campo dal Governo.

Fino al Sud

Ma persino al Sud, oramai, i lavoratori ancora attivi hanno deciso di far sentire la propria voce per denunciare il mancato rispetto delle disposizioni. A Pomigliano d’Arco, ad esempio, diverse decine di operai hanno deciso di incrociare le braccia qualche giorno fa, dopo un primo caso di positività nello stabilimento di Avio Aero. In totale, ci sono stati due casi di contagio, almeno quelli rilevati: uno proprio ad Avio Aero e l’altro all’Hitachi di Napoli. Alla fine, tuttavia, anche FCA ha deciso di chiudere lo stabilimento.

In quella stessa occasione, Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil aveva dichiarato: “È un passo importante visto che è la prima multinazionale a farlo. Riteniamo indispensabile che queste scelte di fermata, riorganizzazione, rallentamento per permettere la ripartenza, siano estese anche alle altre aziende metalmeccaniche”.

Drammatica anche la situazione a Taranto, dove Arcelor-Mittal non sembra in grado di poter garantire il rispetto delle richieste avanzata dalle organizzazioni sindacali. In particolare, si contesta la mancata riduzione del personale presente all’interno dello stabilimento e l’assenza di strumenti di protezione individuale come le mascherine. In risposta alla negligenza dell’azienda, le sigle sindacali Fim-Cisl e Usb hanno proclamato uno sciopero dalle 7 di venerdì fino al 22 Marzo.

Vecchie e nuove emergenze

In Italia, la sicurezza sui luoghi di lavoro è un tema di urgenza fondamentale, come ricordano i rapport Inail del 2018 e del 2019. In particolare, nei primi 11 mesi del 2019 le morti hanno sfiorato soglia 1.000, mentre 590 mila sono state le denunce di infortunio presentate.

Questo chiaramente, non può non avere conseguenze in un periodo di emergenza sanitaria, in un tempo in cui gli appelli alla “responsabilità” fanno passare temi come questo in secondo piano. Inoltre, come spesso accade, questioni sociali e questioni giuridiche (pur se giustificate in una fase come questa) rischiano di entrare in rotta di collisione, dando vita a fenomeni a dir poco paradossali (e anche molto pericolosi).

Un esempio, di queste criticità, lo possiamo trovare nella recentissima denuncia degli 8 operai della Si-Cobas, in seguito alle proteste per la morte di un loro collega 41enne.
Il decreto anti-contagio che vieta gli assembramenti è andato a ritorcersi contro una protesta legata proprio alla sicurezza sui luoghi di lavoro.

Un dialogo difficile

Le rappresentanze dei lavoratori, in diverse occasioni, non hanno mandato giù l’equiparazione di molti impianti produttivi a presidi insostituibili per il paese, costringendo il Presidente Conte alla convocazione di una videoconferenza da Palazzo Chigi venerdì 13 Marzo alle 11, per incentivare un dialogo tra le parti sociali. Dialogo che però pare assai complicato fin dalle sue premesse.

Il Presidente di Confindustria, Marco Bonometti, a tal proposito aveva definito “non responsabili” gli scioperi odierni. Aggiungendo poi: “Le aziende che possono chiudere chiudono subito, quelle che non possono chiudere devono limitare la produzione mettendo però in sicurezza i propri lavoratori”.

La Fiom-CGIL, dal canto suo, in un recente comunicato, ha ribadito che “In una situazione di emergenza come questa non si possono usare due pesi e due misure: da una parte i cittadini, cui viene giustamente chiesto di ‘restare a casa’, dall’altra i lavoratori, in maggioranza operai (quelli che non possono utilizzare lo smart working) obbligati a recarsi e restare in azienda, spesso in assenza delle condizioni di sicurezza previste dai decreti”. Insieme ad altre sigle sindacali, ritiene necessario uno stop di tutte le attività del settore metalmeccanico fino al 22 Marzo.

Dure anche le parole del Segretario Generale Fim-Cisl, Marco Bentivogli: “Lo ribadiamo per l’ultima volta: le aziende che non sono in grado di garantire la sicurezza dei lavoratori vanno immediatamente fermate. Non ci si lamenti se i lavoratori restano a casa perché non si sentono al sicuro o meglio che proclamino sciopero nelle aziende che dimostrano, anche in quest’occasione, di non rispettare i lavoratori e la loro sicurezza. Lo sciopero è il minimo che si possa fare in situazioni di questo tipo”.

La strategia dell’esecutivo

Conte ha finora improntato la sua strategia cercando di mettere in risalto come i lavoratori siano in questo momento impegnati in un “atto di grande responsabilità verso l’intera comunità nazionale”. Proprio perché si tratta dunque di uno sforzo verso l’intera nazione, che vada oltre le semplici “prestazioni lavorative secondo lo schema di scambio lavoro-retribuzione”, è necessario garantire ai lavoratori tutti la massima sicurezza.

A parte le imprese che lavorano nella filiera agroalimentare o in quella medico/sanitaria, quelle che non saranno in grado di ottemperare opportunamente agli obblighi previsti dovranno chiudere. Le nuove, ed ulteriori norme, saranno contenute all’interno di un nuovo protocollo da concordarsi insieme alle parti sociali. A testimonianza di questo impegno, il governo afferma di star concordando con la Protezione Civile la distribuzione, a titolo gratuito, di mascherine e guanti, oltre che di altri strumenti per la protezione individuale.

L’esecutivo si trova, in sostanza, schiacciato tra l’incudine ed il martello. Da un lato, c’è la necessità di mantenere attive almeno le filiere più importanti ed essenziali, dal momento che, a differenza che a Wuhan, non è possibile completamente interrompere la produzione. Dall’altro, c’è quella di proteggere la salute ed i diritti dei lavoratori che, mai come in questo momento, sono a rischio. Trovare una sintesi a queste due esigenze non sarà affatto facile, ma è di vitale importanza per la vita del Paese.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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