In un momento molto drammatico per il paese, mentre una nuova ondata del virus si sta per abbattere sull’Europa tutta, in Italia si consuma la crisi di governo. Il partito renziano Italia Viva ha infatti deciso di ritirare due sue ministre dal governo Conte provocandone la crisi. Qualche appunto sulla crisi di governo in Italia al tempo del Recovery Fund e sul Piano Marshall Direttore responsabile: Claudio Palazzi
L’agenda di governo
A provocare il diffuso sconcerto per la scelta renziana è soprattutto il delicatissimo momento che l’Italia e il governo sta attraversando. Certo ci troviamo nel pieno di una pandemia globale e questo basterebbe di per sé a capire la gravità della situazione, ma si aggiunga che in questi giorni il governo Conte avrebbe dovuto occuparsi di alcune questioni fondamentali. Vediamo insieme le più importanti:
- il consiglio dei ministri deve licenziare una bozza del Recovery Fund per poi scriverne una versione definitiva che deve essere portata al Parlamento europeo insieme con le parti sociali dopo essere stata approvata dal Parlamento italiano – cosa che quindi richiede un governo nel pieno possesso delle sue funzioni.
- vanno decise le nuove misure Covid dato che il virus tra tornando ad esplodere in tutta Europa.
- bisogna considerare la proroga dello stato di emergenza che scade alla fine del mese e che riguarda i poteri di strutture fondamentali come ad esempio la struttura commissariale di Arcuri che sta comprando i vaccini e ne deve organizzare la distribuzione.
- il consiglio dei ministri deve farsi autorizzare un nuovo decreto ristori. Si tratta di una manovra da circa 30 miliari per dare ossigeno alle categorie colpite dalle nuove misure restrittive e dalle nuove chiusure.
Tutto ciò ha bisogno di un governo nei suoi pieni poteri, non certo un governo dimissionario che può occuparsi solo della regolare amministrazione del paese e non di questioni e decisioni così importanti.
Qual è quindi la posizione di Renzi, cosa spinge il Italia Viva a provocare una crisi di governo in un momento simile?
Secondo quanto affermato dai renziani, la gestione della pandemia e dei fondi europei da parte del governo Conte non rispecchiano gli ideali e gli obiettivi del partito e gli impongono di ritirarsi dalla coalizione di maggioranza nella speranza che la crisi di governo possa portare a “qualcosa di diverso e migliore”. Renzi difende quindi la legittimità democratica della sua scelta di opporsi all’indirizzo di governo; “not in my name” cita in conferenza stampa. Tra le richieste promosse da Italia Viva più fondi destinati alla sanità e ai giovani. Un altro punto è il MES, ma sulla questione il Ministro del Tesoro rassicura che non ci sono problemi di conto; ma soprattutto nel governo non c’è una maggioranza che voglia approvarlo, per cui il MES non rappresenta in questo momento un reale problema su cui discutere.
Quando tuttavia è stato chiesto dal partito Italia Viva di spostare alcune voci e alcune poste del Recovery Plan, di cui si occupano due ministri PD Gualtieri e Amendola, immediatamente si è cercato di introdurre e modificare il piano tenendo conto (non certo di tutte ma) di alcune delle 60 + 30 richieste di Italia Viva. All’interno di un governo si fa così, vengono presentate delle proposte dai vari partiti, se ne tiene conto anche considerando il peso politico dei singoli partiti e si cerca di tenerle insieme. Il peso di un piccolo partito come Italia Viva inevitabilmente pesa meno di quanto non valga quello dei principali partiti di governo.
Interessi in Parlamento
Le ultime elezioni del 2018 vedevano ancora Renzi leader del PD e ciò gli ha permesso di avere un grosso ruolo nella scelta dei parlamentari e quando è avvenuta la scissione dal PD che ha portato alla nascita di Italia Viva molti di questi parlamentari lo hanno seguito. Attualmente muove quindi una forza parlamentare enormemente maggiore (48 parlamentari) rispetto a quella che gli attribuiscono i sondaggi elettorali. In caso di elezioni infatti Italia Viva, in base alle proiezioni, guadagnerebbe oggi appena circa 5 deputati.
Sembra quindi piuttosto un altro il punto della questione e riguarda solo marginalmente le richieste sul Recovery Fund. Accade cioè che in una coalizione di governo, un partito vede che la partecipazione gli toglie consensi, e più la coalizione va bene più il partito perde voti, allora il partito reagisce prima che sia troppo tardi, causando la crisi di governo. In questi giorni Renzi ha anche detto molte cose condivisibili ma ogni proposta di mediazione reale è stata rifiutata; per ogni proposta accettata Renzi alzava l’asticella.
In ogni caso, qualsiasi sia la reale motivazione delle richieste renziane, con tutti gli appuntamenti previsti dall’agenda governativa, è in qualche misura comprensibile e apprezzabile la scelta di aprire una crisi di governo? Non sapendo per altro neppure a cosa porti questa crisi. “Vedere cosa accadrà” non sembra un’opzione ragionevole in un momento così delicato che non può aspettare le tempistiche di una crisi di governo, perché di questi provvedimenti l’Italia ha bisogno ora e non tra due, tre mesi. Nel caso in cui la crisi di governo portasse solo a un rimpasto, quindi alla sostituzione di alcuni ministri, la cosa potrebbe essere più rapida e richiedere una decina di giorni circa, ma ove così non fosse i tempi sarebbero ben più lunghi.
Recovery Fund e Piano Marshall
Il Recovery Fund ammonta per l’Italia a 209 miliardi stanziati dall’UE; l’Italia sarà il maggiore destinatario dei fondi europei, seguita dalla Spagna che ne riceverà 104, Polonia 64, Francia 39 e così via a scendere. Una manovra di dimensioni senza precedenti.
Parlando del Recovery Fund si è spesso fatto riferimento al Piano Marshall, ma cos’è stato effettivamente il Piano Marshall?
È il 1947 quando il segretario di Stato americano Marshall propone ad Harvard un piano di ricostruzione e sviluppo con aiuti economici da indirizzare all’Europa. Si tratta di 12,7 miliardi di dollari con i quali l’Europa deve ricostruire sé stessa e la sua economia dopo la distruzione causata dalla Seconda Guerra Mondiale. L’intento principale degli Stati Uniti è quello di rilanciare l’economia europea in modo da garantire ai prodotti americani un ampio mercato internazionale e allontanare contemporaneamente lo spettro comunista grazie alla diffusione del benessere.
Sta di fatto che senza questi aiuti i tempi di ripresa per l’Europa si sarebbero enormemente dilatati e la popolazione sarebbe stata costretta a condizioni di vita difficilissime ancora per lungo tempo.
Già dopo la Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti avevano elargito danaro agli stati europei, tuttavia questi fondi erano stati concessi sotto forma di prestiti con alti tassi di interesse. Quando scoppiò la crisi finanziaria in America nel ‘29, i creditori americani li chiesero indietro tutti in un colpo solo e l’Europa sprofondò in una pesantissima depressione economica.
Gli aiuti del Piano Marshall furono pensati quindi in modo diametralmente diverso. L’Economic Cooperation Administration (ECA), ossia l’ente che gestiva da parte americana l’applicazione del piano in ogni Stato membro, prevedeva di utilizzare le difficoltà ricostruttive del vecchio continente per trasformare l’economia europea in base alle modalità di crescita economica e di stabilità sociale sperimentate con successo negli Stati Uniti: libero commercio e facilità di investimento.
Il meccanismo degli aiuti prevedeva che i governi europei collocassero sul mercato sovvenzioni americane, costituendo con il ricavato un fondo che le amministrazioni nazionali e missioni dell’Eca avrebbero dovuto gestire per promuovere lo sviluppo.
La procedura per ricevere i fondi era quindi molto complessa e sopposta a un rigido controllo da parte delle autorità statunitensi affinché i fondi venissero impiegati in modo consono e nel rispetto degli accordi. Non bisogna quindi lasciarsi trascinare da racconti un po’ troppo sognanti sulle modalità di finanziamento da parte americana. Se il grande progetto statunitense portò a grossi e duraturi risultati per l’economia europea, ciò è dovuto all’attenzione meticolosa e alla sistematicità con cui fu pensato e realizzato in ogni sua parte e nel suo complesso.
Quando nel 1950 vennero stanziati i primi contributi maturati con i fondi di contropartita il governo discusse febbrilmente una serie di progetti che puntavano a migliorare la situazione occupazionale.
In quel caso il governo centrista, presieduto da De Gasperi, riuscì a promuovere alcune riforme, tra cui le più importanti: il piano di abitazioni popolari Ina-Casa messo a punto dal ministero del Lavoro Fanfani, il progetto di riforma agraria presentati dal ministro dell’Agricoltura Segni, con la creazione della Cassa del Mezzogiorno, il piano Vanoni che imponeva per la prima volta l’obbligo della dichiarazione dei redditi annuale.