UN NUOVO PATTO TRA SPECIE UMANA E AMBIENTE
“Le generazioni seguenti dovranno prendere le nuove misure e scrivere un nuovo patto di alleanza tra specie umana e ambiente. Come dopo il diluvio che cancellò la terra, segno e firma del nuovo contratto sarà l’arcobaleno”. Così Erri de Luca si è rivolto poche settimane fa alle nuove generazioni.
DI FRONTE A UN BIVIO
In questi mesi di pandemia tante sono le difficoltà e le incertezze sorte. Il Covid-19 sta rivelando vulnerabilità di vario tipo, prodotte nel tempo dalle società stesse. I giorni che stiamo vivendo verranno ricordati come uno spartiacque nella storia del nostro secolo, così come le due guerre mondiali, la crisi finanziaria del 1929 e la crisi petrolifera del 1973 lo sono state per quello passato. Da una cesura così profonda non si può tornare indietro, non è l’aspirazione di un ritorno alla normalità la bussola che ci deve condurre fuori dalla tempesta.
Dobbiamo bensì immaginare il mondo che verrà e combattere alacremente per realizzarlo. Ma per farlo dovremmo porci le giuste domande: Che errori abbiamo commesso? In quale direzione stavamo andando? Cosa fare per cambiare la rotta di una nave alla deriva? Quali saranno le priorità da mettere al centro di un nuovo progetto? Da chi e da cosa dovremo ripartire? Due cose sono chiare.
La prima è che siamo di fronte ad un bivio: la ripresa di un capitalismo sfrenato, delle vecchie disuguaglianze, di un’avidità istituzionalizzata, dell’individualismo, da una parte; l’aspirazione a raggiungere un nuovo modello di sviluppo sostenibile, una maggiore giustizia sociale, uno spirito comunitario solidale e un ideale di bene comune, dall’altra. La seconda è che negli ultimi mesi e anni le nuove generazioni hanno preso posizione: le piazze si sono riempite ovunque di giovani liceali, universitari e lavoratori, a testimonianza di un movimento mondiale florido, voglioso di far sentire la propria voce, al fine di determinare il futuro e non subirlo passivamente.
I millennial hanno basi morali solide, più di quanto non si creda. È con loro e per loro che bisogna guardare al futuro. La generazione di chi detiene il potere avrebbe potuto lasciare un’eredità migliore, ma se questo virus diventerà il catalizzatore di un cambiamento, almeno avrà offerto un bagliore di speranza in questi tempi così oscuri.
LEZIONI DALLA STORIA
Mi rendo conto che sembra illusorio fare considerazioni di questo tipo ora che le ombre e gli errori del passato sembrano addensarsi nuovamente su di noi. La grande crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti nel 1929 e arrivata in Europa all’inizio degli anni Trenta, accelerò l’esperimento totalitario fascista in Italia e spalancò in Germania – già insofferente per le riparazioni dovute dopo la Prima guerra mondiale – l’ascesa del nazionalsocialismo. Più recentemente, la crisi economica del 2007-2008, della quale ancora oggi paghiamo le conseguenze, ha dato una spinta propulsiva alla nascita o al consolidamento di partiti e movimenti politici antisistema, populisti e nazionalisti.
Oggi la crisi sanitaria, divenuta presto crisi economica, determinata dal Covid-19, rischia di autorizzare – oltre alle necessarie misure di contenimento – svolte antidemocratiche e illiberali permanenti (come sta già avvenendo in Ungheria), o alimentare il fascino dell’autoritario governo cinese. Non è questa la sede per tentare parallelismi forzati; tuttavia, da ognuna di queste crisi emerge un minimo comune denominatore: l’assenza di una leadership in grado di assumere un ruolo-guida (così come furono gli Stati Uniti all’indomani della Seconda guerra mondiale), istituzioni comunitarie poco inclini alla condivisione e alla solidarietà e, di conseguenza, la tendenza all’isolazionismo nazionalista. Come evitare che la storia si ripeta?
UNA SPERANZA NEL FUTURO
Forse è utopia, ma l’auspicio è che venga data voce e che si ascoltino i giovani, non solo nelle piazze ma anche nelle istituzioni. Mi sembra di poter dire che i millennial abbiano compiuto la loro scelta, quella di incidere pacificamente sul loro futuro e sulle sorti del pianeta. Essi non hanno un potere, una poltrona o privilegi precostituiti da difendere, sono scevri da interessi personalistici. Tutto ciò che chiedono è la speranza di poter credere nel futuro. La stessa che ebbero i loro nonni o bisnonni alla fine della guerra.
Eppure, tale speranza è oggi flebile: dalla crisi finanziaria del 2008 “la generazione della crisi” ha dovuto fare i conti con salari molto più bassi di quelli che aveva la precedente, meno opportunità di carriera e un lavoro meno sicuro. Le conseguenze che sta creando la pandemia potrebbero rivelarsi ancora peggiori. Dunque, se vogliamo cogliere l’occasione di reinventare la società, tutti i piani di ripresa dovranno essere organizzati in modo che le nuove generazioni non vengano lasciate ulteriormente indietro, costruendo un’economia stimolante, che abbia a cuore più i nostri bisogni che quelli del mercato, e adottando strumenti di tutela ove necessario. Da dove partire?
TRANSIZIONE ECOLOGICA
I giovani hanno indicato la stella polare che intendono seguire: coniugare un nuovo modello di sviluppo con la tutela dell’ambiente. Milioni di ragazzi hanno partecipato negli ultimi mesi al movimento internazionale di protesta Fridays for Future, chiedendo e rivendicando azioni atte a prevenire il riscaldamento globale e il cambiamento climatico. “Voglio che andiate nel panico”, ha detto l’attivista Greta Thunberg parlando alle Nazioni Unite lo scorso anno. Ora che abbiamo provato panico per il Covid-19, si rischia di dimenticare che il riscaldamento globale è una crisi ancora più grande.
La differenza è che il collasso climatico avviene gradualmente, mentre il virus si diffonde a una velocità relativa maggiore. Eppure, per un numero crescente di scienziati, sembra evidente che tra lo sviluppo della pandemia e i danni causati all’ambiente esista una correlazione. Brevemente, la tesi – sostenuta già dal giornalista scientifico statunitense David Quammen nel libro Spillover. L’evoluzione delle pandemie (Adelphi, 2014) – è che l’impatto umano sugli ecosistemi, attraverso deforestazioni massicce, agricoltura intensiva, emissioni di C02, ci ha avvicinato troppo alla fauna selvatica, dalla quale i virus patogeni “saltano” verso un nuovo ospite, l’uomo. Solo un nuovo modello di sviluppo, che metta al centro una transizione ecologica, può costituire un argine alle prossime pandemie e, in ultima analisi, salvare il nostro pianeta. È questo ciò che chiedono le nuove generazioni.
Ma il virus è arrivato proprio quando il movimento ambientalista sembrava in forte crescita. L’Europa muoveva i primi passi in questa direzione: la nuova presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha indicato il green deal e l’obiettivo di azzerare le emissioni nette di gas serra entro il 2050 come priorità assolute. Il rischio è che la pandemia, nonostante il calo delle emissioni a breve termine dovute al lockdown, finisca per eclissare qualsiasi preoccupazione legata all’ambiente. Sintomo di questo timore è il rinvio delle nuove iniziative e negoziati sul clima. D’altra parte, la storia insegna come le emissioni di gas serra siano calate anche durante la crisi finanziaria del 2008 e gli shock petroliferi degli anni Settanta, per poi risalire a ritmi elevati una volta superata l’emergenza.
Attenuato il disastro sanitario, l’attenzione dei governi si sposterà progressivamente sulla ripresa economica. Che tipo di provvedimenti saranno presi per stimolare l’economia? Il primo scenario prevede una corsa alla crescita economica che metterà da parte il dibattito sul clima, prediligendo attività ad alto consumo di energia e un aumento delle emissioni. Il secondo prevede, invece, che l’urgenza del momento, nella quale i governi sono disposti a spendere grandi somme di denaro, possa spingere i politici a dare la priorità alla costruzione di una società più verde, con il duplice obiettivo di favorire la transizione energetica e stimolare l’economia in difficoltà. Secondo un recente rapporto dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), accelerare gli investimenti nell’energia pulita potrebbe far aumentare la crescita globale di 98mila miliardi di dollari entro il 2050.
Il rendimento sarebbe compreso fra i tre e gli otto dollari per ogni dollaro investito. I posti di lavoro nel settore potrebbero quadruplicare, arrivando a 42 milioni e le emissioni di anidride carbonica dovute alla produzione di energia potrebbero calare del 70 per cento. In questa dicotomia di scenari, e nel disperato bisogno di posti di lavoro, di attività economica e di energia pulita, i giovani si sono schierati. Le scelte che verranno prese oggi si ripercuoteranno sul loro futuro e su quello del nostro pianeta. Non resta che ascoltarli, con coraggio e lungimiranza, nella speranza che segno e firma del nuovo contratto tra specie umana e ambiente sia l’arcobaleno.
Direttore responsabile: Claudio Palazzi