Sicilia, la tradizione non è mai stata così global

Parafrasando Peter Pan è possibile affermare: “l’isola che c’era già”. Il trionfo del centrodestra riconsegna l’isola a chi da sempre asseconda tendenze e paure conservatrici, ma che ora sono diventate internazionali. E se il M5s sa come approfittarne, è buio pesto per il Pd. Mentre l’arresto del neoeletto De Luca mantiene un’altra tradizione siciliana.

Il già ribattezzato “Patto dell’arancino”, quindi, apre i battenti incoronando Nello Musumeci nell’Ars e il M5s, dopo aver accarezzato a lungo sogni di gloria, si risveglia il lunedì mattina con quasi il doppio dei voti del 2012. Risveglio sicuramente più dolce rispetto quello del Pd, che affianca a Micari (il proprio candidato) soltanto 12 seggi (sui 63 disponibili).

Tutto secondo copione, dunque, con la vecchia Sicilia che, nel più classico dei ritorni di fiamma, si ributta tra le braccia di chi l’ha governata per più di cinquant’anni. Viene dimostrata però in questo una tendenza tutt’altro che isolazionista, ma in perfetta sintonia con le correnti conservator-populiste che spirano dall’Occidente “trumpiano” e dall’Est europeo.

E se è strano vedere il segretario della Lega Nord esultare per una vittoria nel profondo Sud del paese, è altrettanto singolare vedere come la campagna elettorale dei vincitori, improntata su temi cari ai siciliani, come la regolazione dell’immigrazione e la restaurazione di un’ipotetica età dell’oro passata, abbia più di una peculiarità con la campagna che un anno fa ha portato Trump alla Casa Bianca.

Come a dire che se la globalizzazione ha reso tutto il mondo paese, non c’è più differenza neanche tra gli sconfitti di questo processo, tra un operaio del Wisconsin e un contadino del Trapanese.
Come a dire che quelle inquietudini tipiche dell’isolitudine siciliana siano ad un tratto diventate le paure di chi si è perso nel caos del postmodernismo.

Se il centrodestra può facilmente cavalcare l’onda e prepararsi alle elezioni primaverili con la forza di un ritrovato triumvirato, non se la passano male neanche quei giovani rampanti pentastellati che, nonostante non siano riusciti a fare bottino pieno, si piazzano al 34,5%, risultando il partito più votato della regione.
È proprio dai Cinque Stelle che arriva un’altra volta l’onda della nausea anti-sistema, che permette al Movimento di compiere un altro balzo in avanti di 16 punti ripetto alla tornata elettorale del 2012.

Ma quanto pesano i recenti scandali scoppiati nelle città amministrate dal Movimento, da Torino a Roma? Sarebbe riuscito il movimento di Grillo a fare il colpaccio senza questi pasticci?
Sono domande che qualcuno all’interno dovrebbe porsi, nonostante la vena per il dibattito e l’autocritica sia così spiccata.

Chi fa la parte del pugile suonato, però, è sicuramente il Pd che, dopo aver litigato per buona parte della scorsa legislatura col governatore uscente appoggiato, si presenta ai nastri di partenza con le solite fratture interne, ma con il sostegno degli “alfaniani”, che proprio qui hanno la maggiore riserva di voti.

Il risultato è che, come dice un meme che gira in queste ore sul web, Alfano ha più ministeri che voti e il Pd subisce un esodo di proporzioni bibliche di elettori che scommettono in chi dello sconforto popolare ne ha fatto una bandiera.

Per rendere il segnale ancora più chiaro, nello stesso giorno a Ostia, il cui municipio è commissariato da due anni per infiltrazioni mafiose, vince la Meloni, idolo di casa, e va al ballottaggio con M5s, con CasaPound che sfiora il 10% e si porta a soli 4 punti dal Pd. Con tanto di ombra lunga della malavita ostiense, sospetta di aver dato più che una mano alla destra estrema, e con Roberto Spada, fratello del boss Romoletto, che dispensa “capocciate” al reporter che domanda di una sua eventuale affiliazione al movimento neofascista. Giusto per rendere più appetibile mediaticamente il tutto.

Mentre, nelle stesse ore, a Messina il GIP dispone gli arresti domiciliari per Cateno De Luca, deputato eletto da appena 48 ore nelle file dell’UdC, per evasione fiscale di un milione e 750.000 euro in quanto presidente del Caf Fenapi, associazione di piccoli imprenditori costituita da una fitta rete di aziende.

Lo stesso neo-deputato ci tiene a offrire a tutti un “caffè del galeotto”, con tanto di foto, su Facebook, precisando di essere già venuto a conoscenza dell’imminente arresto da “certi ambienti”. 

Né De Luca, né la Sicilia, comunque, sono nuovi a questi episodi: il primo già si era reso protagonista tempo fa di un bizzarro sfogo teatrale in cui si presentò davanti l’Assemblea regionale a torso nudo con una coppola, un burattino di Pinocchio e una Bibbia (al lettore il compito di captare il fine gioco allegorico); mentre la seconda annovera solo un altro nome nella lista.

Nella scorsa legislatura sono stati due i deputati sospesi per un’ordinanza di custodia cautelare, entrambi per voti di scambio; nella legislatura precedente si era arrivati addirittura a sei, con il solito De Luca ad aprire le danze e non si contano gli indagati.
Certamente, la soglia delle 48 ore è un record finora mai raggiunto, reso ancora più grandioso dal fatto che De Luca è il voto necessario per la maggioranza nell’Assemblea.

Fu proprio uno scrittore siciliano, Tomasi di Lampedusa, a dire che «se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi» e nel paese che in tutta la sua storia è sempre stata affezionato alla via nuova delle (finte) rivoluzioni, per poi ributtarsi nella via vecchia delle tradizioni, la sentenza non poteva essere più profetica.
Benvenuta, isola che c’era già!

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