AFRICA E COVID-19: prevenzione efficace o pochi test?
La principale preoccupazione dell’Africa dal momento dello scoppio dell’epidemia COVID-19 è stata come gestire, affrontare e monitorare i contagi e la loro diffusione.
Il direttore generale dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), Tedros Ghebreyesus, alla metà di marzo temeva che l’epidemia raggiungesse quei Paesi, soprattutto l’Africa subsahariana, che non avrebbe potuto reggere la sfida a causa di sistemi sanitari deboli.
COVID-19 IN AFRICA: diffusione e incertezze
Secondo i dati riportati periodicamente da Africa Centres for Disease Control and Prevention (Africa CDC) attualmente nel continente si registrano circa 10.000 casi in 51 Stati dell’Unione, con 414 decessi e anche un numero positivo di 813 persone dichiarate guarite.
Il primo Paese per numero di decessi è l’Algeria con 130 vittime (1.251 casi di contagio); il numero è in crescita anche in Egitto con 78 morti e 1.173 contagiati e in Marocco con 70 decessi e 1.021 casi positivi.
A febbraio 2020 è stato registrato il primo caso in Egitto: un uomo straniero di 33 anni è risultato positivo al primo test e al successivo, dopo 14 giorni di quarantena, negativo. In Algeria, invece, oltre a un italiano in visita nel paese e rientrato in seguito in Italia, anche una madre e una figlia che avevano avuto contatti con un turista francese, risultato positivo una volta tornato nel suo paese. In Burkina Faso dove l’infezione è stata diffusa da una coppia di pastori locali, tornati dalla Francia, i quali hanno trasmesso il virus circa ad altre 20 persone. Il contagio si è diffuso poi in Nigeria, Marocco, Senegal e Tunisia. La trasmissione ha quindi avuto origine da contatti con il continente europeo.
La partecipazione del resto del mondo alla diffusione del virus nel paese africano è stata in generale minima, dati gli scambi commerciali e turistici minori con gli stessi. L’Asia, invece, nonostante abbia un rilevante legame economico con il continente, ha contribuito minimamente allo sviluppo dell’epidemia.
Attualmente l’obiettivo principale è la prevenzione ed è fondamentale evitare che il contagio si avvii in maniera precipitosa e incontrollata, soprattutto in quegli Stati più deboli dove si potrebbe incorrere in vere e proprie catastrofi perché già segnati da altre infezioni e malattie come l’Ebola e l’HIV.
Elemento essenziale per l’arresto del contagio è la disponibilità del test diagnostico: secondo dati recenti 15 sono i Paesi in possesso del kit per effettuare la diagnosi, tra cui Senegal, Sudafrica, Ghana, Madagascar, Nigeria e Sierra Leone, e altri 10 Stati stanno per ottenerlo.
Nonostante la carenza di strutture ospedaliere ci sono alcune organizzazioni indispensabili per affrontare tale emergenza. La CDC Africa ha, da febbraio, avviato l’istituzione di laboratori per la gestione dell’epidemia e ha sviluppato sistemi di sorveglianza; l’OMS continua a monitorare lo sviluppo nelle strutture sanitarie e ha provveduto all’avvio di laboratori per il test: inizialmente erano solo due, in Senegal e in Sudafrica, poi circa 40.
Sono proprio gli ospedali a destare maggiori timori perché la maggior parte non sarebbe in grado di far fronte a numerosi casi con gravi deficit respiratori e quindi richiedenti terapie intensive. Non considerando alcune strutture del Sudafrica, le terapie intensive dei Paesi a nord e al centro del continente evidenziano una disponibilità minima di posti nelle terapie intensive, un numero ridotto di respiratori e una scarsa organizzazione per l’accoglienza, l’isolamento e il monitoraggio.
A livello preventivo diversi sono gli Stati ad aver adottato misure restrittive volte ad evitare un incremento della diffusione. Ne sono un esempio il blocco degli ingressi con la cancellazione di voli proventi dalle zone ad alto numero di contagi, la misurazione di temperature corporee negli aeroporti; per eludere e limitare la diffusione interna sono state applicate quarantene obbligatorie per le persone che mostravano sintomi sospetti. In vari paesi come il Senegal e il Burkina Faso sono stai vietati gli eventi pubblici e le manifestazioni religiose, in Kenya, Etiopia e Camerun sono state chiuse scuole e università. Sono stati inoltre vietati gli assembramenti, chiusi i ristoranti e si cerca di limitare il sovraffollamento dei mezzi pubblici.
La linea dei contagi in Africa mostra una crescita più lenta rispetto agli altri paesi. A tale riguardo è possibile valutare alcuni fattori:
- nei paesi più contagiati, i casi si registrano massicciamente tra gli anziani, mentre in Africa la popolazione è prevalentemente giovane e quindi meno soggetta all’infezione (in Nigeria e Congo, tra gli Stati più popolosi, la fascia più ampia della popolazione è quella che rientra tra il 18 e i 20 anni);
- è probabile che le temperature elevate limitino la diffusione del virus (si tratta però di ipotesi ancora poco certe);
- infine ciò che spaventa di più, perché elemento con alto grado di validità, è la possibilità che i numeri crescano lentamente a causa della mancanza di rivelazioni tempestive e opportune della manifestazioni di sintomi.
DAL 2020 AL 2014: virus Covid-19 e virus Ebola
Nel dicembre del 2013 si registrava la prima epidemia documentata da virus Ebola (EVD) con i casi principali nella regione della Guinea sud-orientale, al confine con Liberia e Sierra Leone. Alcuni isolati casi di contagio si erano registrati anche in Spagna, Italia, Regno Unito e in America.
Il tipo di diffusione, la modalità di contagio e la sua circoscrizione differiscono da quelle attuali del virus Covid-19. Tuttavia per il continente africano le misure restrittive erano d’obbligo per evitare che il virus diventasse del tutto incontrollato.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) la trasmissione si registra per contatto interumano diretto con organi, sangue e altri fluidi biologici (saliva, urina, vomito) di soggetti infetti e indiretto con ambienti contaminati dai fluidi. Il decorso è molto acuto e il soggetto infetto resta tale fin quando il virus persiste nel sangue e nei liquidi biologici: l’incubazione può andare da 2 a 21 giorni e l’esordio si caratterizza con febbre, astenia, mialgie, artralgie e cefalea. Il progresso può portare diarrea, nausea, vomito, anoressia. L’evoluzione e la degenerazione mostra sintomi ascrivibili a danni in diversi organi e apparati.
La prevenzione è basata sul rispetto delle misure igienico sanitarie, sulle capacità di una diagnosi clinica, su laboratori rapidi e sulle procedure di isolamento dei pazienti.
Nel 2015 uno studio in Guinea ha portato a un vaccino sperimentale che si è dimostrato altamente protettivo per il virus EVD.
Lo stato d’emergenza fu confermato a più riprese fino a fine marzo 2016, quando venne costatato che i Paesi maggiormente colpiti dall’epidemia (Guinea, Sierra Leone, Liberia) avevano circoscritto la trasmissione e il rischio di diffusione internazionale rimaneva basso.
Nonostante il sistema sanitario del Paese sia carente e con notevoli difficoltà, è possibile elaborare un piano di contenimento dell’epidemia grazie a organizzazioni come l’OMS e la CDC Africa. Necessario risulta un supporto e una vicinanza maggiore a livello internazionale al fine di creare una salda rete di collaborazione, la quale possa permettere l’applicazione di misure restrittive e preventive comuni, per bloccare la degenerazione del virus Covid-19 e dell’emergenza sanitaria.
In modo particolare per il continente africano gli sforzi devono concentrarsi il più possibile sulla circoscrizione e la limitazione in meno centri possibili per evitare che si sviluppi in luoghi già seriamente provati da altri danni sia sanitari e igienici che ambientali, economici, politici e sociali.
Direttore responsabile: Claudio Palazzi