Nel pieno del conflitto tra Ucraina e Russia, l’origine di questa crisi complessa può essere ritrovata nella storia, tentando di spiegare perché il Presidente Putin è così ossessionato dall’Ucraina, tanto da ritenere esplicitamente un errore l’indipendenza concessale agli inizi degli anni Novanta.

Da una parte la Russia di Vladimir Putin, che ha sempre considerato il Paese come un elemento essenziale della propria “sfera d’influenza”, anche dopo la sua dichiarazione d’indipendenza nel 1991. Dall’altra l’Ucraina, che ha subito l’annessione della Crimea alla Russia e che da allora è lacerata dagli scontri nel Donbass. Nodo cruciale, la possibile adesione di Kyiv alla NATO, cui Mosca si oppone con fermezza. Richiesta non accolta dagli Stati Uniti, secondo cui tutti gli Stati hanno il diritto di scegliere liberamente a quale alleanza far parte.

Quando nel 1991 l’Ucraina dichiarò l’indipendenza dall’unione sovietica usciva da 70 anni di totalitarismo. Durante la seconda guerra mondiale era stata brutalmente occupata dai nazisti, e aveva pagato il prezzo più alto in Europa, in termini di vittime, tra soldati dell’armata rossa ed ebrei ucraini giustiziati dagli squadroni della morte nazisti. La promessa nazista della concessione di autonomia creò inizialmente condizioni favorevoli per la collaborazione di una parte della popolazione ucraina con gli invasori, ma la spietata politica degli occupanti conseguì l’effetto di rovesciare la situazione. Le formazioni militari
del movimento ucraino combatterono, allora, una lotta partigiana sia contro i nazisti che contro i sovietici, ma anche contro i partigiani polacchi. Ne seguì una sanguinosa guerra regionale all’interno di una guerra mondiale.

Poi nell’unione sovietica seguirono diversi decenni di epurazione politiche e stagnazione economiche, in cui la cultura e la lingua ucraina erano state considerate secondarie rispetto al russo, che era la lingue della scienza, della politica, dell’amministrazione. L’Ucraina, governata direttamente dal partito comunista a Mosca, era il centro dell’industria delle armi sovietiche e sede del suo arsenale nucleare. Il 24 agosto 1991, 5 giorni dopo il tentato golpe contro Gorbaciov, il primo presidente eletto dall’Ucraina, Leonid Kravchuk proclamò l’indipendenza dell’Ucraina confermata dalla schiacciante maggioranza ottenuta dal successivo referendum del 1 dicembre. La transizione democratica dell’Ucraina si rilevò accidentata tra spinte verso occidente e le resistenze della componente ex comunista e filorussa. Gli anni seguenti furono segnati da incrinature sempre più profonde tra
Russia e Ucraina legate sia alla questione della Crimea, di formidabile importanza strategica, a cui la nuova costituzione Ucraina riconosce lo status di Repubblica autonoma, sia alla zona del Dombass dove era presente una forte minoranza russa.

Dopo l’avvento al potere in Russia di Vladimir Putin che ambiva a tenere l’Ucraina strettamente legata alla Russia sia economicamente che politicamente, la situazione cambia. Nel 2004 il candidato preferito da Putin per la presidenza ucraina, Viktor Yanukovic, venne accusato di brogli elettorali, mentre Yushchenko, il candidato filo-occidentale subiva un misterioso avvelenamento da diossina, ma sopravvive. Dopo due turni di votazione che assegnarono l’elezione a Yanukovic, migliaia di manifestanti vestiti
di arancione, il colore della campagna di Yushchenko, scendono in piazza dando via alla “rivoluzione arancione” premendo per nuove elezioni a dicembre. La rivoluzione porterà alla presidenza del candidato filo-occidentale che nei primi anni dopo la rivoluzione condurrà ad una crescita economica, ed al manifestarsi del desiderio di democrazia e di rispetto dei diritti umani dei cittadini ucraini che guardano sempre più alla Nato e all’UE.

Nel 2010, al potere salì invece il filorusso Viktor Janukovic, che a causa delle pressioni proveniente dal Cremlino attraverso sanzioni commerciali e disordini nell’est dell’Ucraina e in Crimea, rinunciò alla firma dell’accordo di libero scambio tra l’ucraina e UE. Nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013 iniziarono le proteste dell’EUROMAIDAN: migliaia di persone in piazza protestarono per due mesi contro la sospensione da parte del governo dell’accordo di associazione con l’Ue. Se è possibile rinvenire una data d’inizio della crisi fu probabilmente proprio quella della prima manifestazione pro-europea a Kiev. Yanukovic fuggì in Russia, denunciando un colpo di stato.

La reazione di Putin fu immediata. Neanche sei mesi dopo, cogliendo l’occasione delle varie manifestazioni filorusse, entrarono nella penisola della Crimea truppe russe senza insegne (gli “omini verdi”), che dopo diverse sparatorie contro le forze armate ucraine si impossessarono degli edifici governativi assumendo il comando dei suoi principali siti strategici. Due settimane dopo l’inizio dell’occupazione si tenne un referendum sullo status della penisola e oltre il 95% della popolazione votò a favore dell’adesione alla Federazione Russa. In risposta i leader del G8 rimossero la Russia dal blocco e l’ONU dichiarò l’annessione illegale.

A seguito delle tensioni scatenate dall’annessione della Crimea, nell’aprile del 2014 gruppi di miliziani filorussi iniziarono ad occupare gli edifici pubblici in diverse città della regione del Dombass, nell’Ucraina orientale. Questo evento segnò l’inizio di un conflitto armato che dura fino ad oggi, in dispregio di varie tregue. Le tensioni non terminarono con la vittoria, alle elezioni presidenziali del 25 maggio, di Petro Poroshenko, oligarca filo occidentale. Poroshenko ottenne la maggioranza assoluta al primo turno delle presidenziali e due giorni dopo il suo insediamento firmò l’accordo di associazione con l’Ue. Un mese dopo, un volo aereo della Malaysia Airlines, con circa 300 passeggeri, venne abbattuto da un missile dei separatisti filorussi. Il conflitto proseguì fino ad oggi a bassa intensità nonostante i due accordi per il cessate il fuoco siglati a Minsk.

Nel 2019 con una vittoria schiacciante viene eletto presidente l’attore e comico Zelensky. Ma già le prime nomine politiche di Zelensky mettono in discussione la sua capacità di resistere al Cremlino: le nuove trattative di pace con la Russia annunciate subito dopo la sua elezione si sono dimostrate un buco nell’acqua. Nonostante ciò Zelensky cerca di tessere una tela di alleanze internazionali e di rimanere in linea con l’UE. Per il presidente russo Vladimir Putin è praticamente impossibile immaginare che l’Ucraina un giorno possa diventare membro della Nato. A novembre 2021 alcune immagini satellitari hanno mostrato un accumulo di truppe russe ai confini dell’Ucraina, alimentano i timori di una potenziale invasione. All’incontro tra USA e Russia, Putin ha portato avanti delle richieste considerate poco ammissibili da Joe Biden. La lista di richieste e di garanzie di sicurezze presentata agli Stati Uniti e ai loro alleati richiedeva la rinuncia dell’Alleanza atlantica ad accogliere l’Ucraina tra i propri membri, ed il divieto di stazionamento di truppe Nato in qualsiasi Stato membro dell’alleanza dell’Europa dell’est. Il triste e drammatico epilogo della vicenda è purtroppo quello che sta accadendo da giorni in Ucraina. Il Cremlino pretende di mantenere il controllo sull’Ucraina per fermare l’avanzata della Nato ed alimenta una narrativa della Russia come fortezza assediata dall’occidente, il tutto al costo di vite di milioni di civili e giovani soldati, che non vogliono una guerra.

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