Il processo agli ideali Il processo ai Chicago 7: “tutto il mondo ci guarda” recensione di un film più attuale che mai Claudio Palazzi
Il 28 agosto 1968 A Chicago 1969 Abbie Hoffman, Jerry Rubin, leader del partito internazionale della gioventù, Tom Hayden, Rennie Davis membri dello Students for a Democratic Society, David Dellinger, Lee Weiner, John Froines e Bobby Seale (l’ottavo fuori posto) leader del movimento delle Pantere ,si preparano a protestare contro la guerra in Vietnam in occasione della Convention Democratica del 28 agosto 1968: va in scena uno dei più grandi scandali della storia americana. Durante la manifestazione scontri molto pesanti tra manifestanti e la polizia causano un gran numero di feriti e arresti. Cinque mesi dopo otto manifestanti vengono arrestati dal neonato governo Nixon accusati di cospirazione e incitamento alla sommossa considerati responsabili dei violenti disordini avvenuti durante la manifestazione. Inizieranno allora 151 giorni di processo per cospirazione ai danni dei 7, più uno (palesemente innocente ma vittima di discriminazione razziale), tutti annoverati dal pubblico ministero come esponenti della presunta Sinistra Radicale che, data l’ombra minacciosa del Comunismo, all’epoca era facilmente vendibile come il male assoluto. A difenderli solo l’avvocato Kunstler. Fuori tutto il mondo intero ad ascoltare e guardare. 151 giorni che hanno costituito il primo grado di giudizio di uno dei più famosi e scandalosi processi penali statunitensi. È questa la trama del film “il processo ai Chicago 7” uscito su Netflix a il 16 ottobre 2020 dal premio Oscar Aaron Sorkin : il cuore del film è il processo vero e proprio. Il tutto reso da un cast formidabile e dalla struttura e montaggio sviluppate su due linee temporali: ad aiutare lo spettatore a comprendere il processo vengono in aiuto i flashback della manifestazione.

Il Regista doveva essere Spielberg

È scritto e diretto da Aaron Sorkin, la sua seconda regia dopo il film “Molly’s game”. ma “Il processo ai Chicago 7” originariamente era stato concepito da Steven Spielberg per essere distribuito da Paramount. Proprio quest’ultimo ha consigliato il ritorno dietro la macchina da ripresa a Sorkin che l’ha poi girato a Netflix per poter essere distribuito in tempo per le elezioni presidenziali americane. E Sorkin si mostra all’altezza del mandato, riuscendo a raccontare una pagina della storia degli Stati Uniti, come aveva già fatto con “The Social Network” e “Steve Jobs, selezionando un cast eccezionale, arricchito da una sceneggiatura rapida e brillante, accompagnato a momenti di humor dissacrante, tecnicamente impeccabile, con una colonna sonora dai suoni in stile anni 60 e un montaggio alternato che fa avanti e indietro nel tempo.

Il tono scelto da Sorkin per raccontare la storia somiglia ad una commedia, ma ciò non significa che i fatti siano raccontanti con superficialità o ironia. Il film gli è valso 5 candidature a Premi Oscar, 4 candidature ai Golden Globes e un premio vinto per la migliore sceneggiatura a Aaron Sorkin. Ora dopo 13 sceneggiature di film 3 golden globes, e un premio oscar l’aggettivo sorkiniano -usato per indicare scene con dialoghi serrati e brillanti, personaggi egocentrici, battute a raffica, i dialoghi a ritmi serrati spesso densi di retorica, i lunghi monologhi moralmente giustissimi e logicamente inattaccabili– è ormai diffuso nel mondo cinematografico.

Uno specchio sul presente

Un film di grande impatto storico soprattutto di questi tempi, dove i moti culturali e diritti alle minoranze stanno trovando nuovo spazio nella società. Il grande merito di un film come Il processo ai Chicago 7 non è tanto raccontarci quando avvenuto oltre 50 anni fa, ma farci capire come quegli stessi avvenimenti possano essere considerati uno specchio di quanto sta accadendo ancora oggi. Proprio per questo motivo Sorkin si affida a immagini forti e indimenticabili che parlano da sole fanno inevitabilmente riflettere. L’aula del tribunale diventa un microcosmo che coniuga la storia al presente. Spaventa per l’attualità il trattamento subito dal leader delle Black Panthers Bobby Seale, incastrato senza ritegno nel processo.“I giornali ci chiamano i Chicago 7 ma qui siamo in 8!”, erompe Bobby Seale, per dimostrare la sua estraneità al processo, ammanettato e imbavagliato, ammutolito– viene messo in piedi un processo politico volto a demonizzare e neutralizzare il nemico, servendosi inoltre del “nero violento” per aumentare la percezione della pericolosità del gruppo di imputati agli occhi di giuria e opinione pubblica. Ma la battaglia tra il potere delle leggi contro il fattore umano è estremamente attuale anche nell’America (e non solo) del 2021, quella delle rivolte razziali come conseguenza delle violenze (spesso letali) da parte delle forze dell’ordine, rimandando alla libertà di manifestazione e di dissenso, collegando le recenti proteste del movimento Black Lives Matter contro la violenza della polizia e i disordini di Chicago nell’agosto 1968. Quel massacro dei manifestanti del 1968 in America da parte delle forze di polizia appare oggi come un dejà-vu con quello accaduto solo 20 anni fa anche qui in Italia, qualcosa che come definito da Amnesty International rappresenta “la più grande sospensione dei diritti umani in un Paese Occidentale dalla fine della seconda guerra mondiale”. Inevitabilmente quel processo ai manifestanti descritto da Sorkin appare oggi sbagliato, arbitrario e fuori luogo se si ripensa al tassello nero della storia della democrazia Italiana che è rappresentato dai fatti accaduti in occasione del G8 di Genova del 2001 in cui nessun processo è stato mai celebrato.

La storia si ripete

Solo 20 anni fa durante il summit di Genova, circa 50.000 persone membri di movimenti internazionali composti da organizzazioni non governative, gruppi pacifisti, sindacati e associazioni decisero di manifestare per riaffermare la priorità dei diritti umani, ambientali e sociali sulle leggi della globalizzazione. Le forze di polizia, armate di lacrimogeni, manganelli e armi da fuoco bloccano le manifestazioni con violenza forza e pestaggi. Durante gli scontri perde la vita Carlo Giuliani. La spedizione punitiva tramutata da “perquisizione” avvenuta il 21 luglio 2001 nella Scuola Diaz, concessa ai manifestanti dal Comune di Genova come sede dei “media center” al fine di trovare ristoro per ripartire l’indomani, è storia; storia violazione dello stato di diritto, violazione dei diritti umani, storia di ingiustizie. Dopo il g8 inizia una operazione di depistaggio da parte degli agenti di polizia. Dei 346 poliziotti che fecero irruzione alla scuola Diaz vanno a giudizio in 28 la Corte di Cassazione conferma in via definitiva solo la condanna per falso aggravato per 25 poliziotti. La gran parte di coloro che parteciparono alle violenze fisiche e psicologiche non è mai stata identificata. Ecco allora come il merito di un film come Il processo ai Chicago 7, che dopo averlo visto lascia allo spettatore un velo di tristezza rabbia e desiderio di rivalsa per le ingiustizie attuali, non è tanto raccontare quanto avvenuto oltre 50 anni fa, ma mostrare come quegli stessi avvenimenti possano essere considerati uno specchio di quanto sta accadendo ancora oggi. The World is watching si sente urlare più volte nel film da parte della folla, il mondo è fuori da quel tribunale pronto ad elevare ognuno degli otto imputati come modello di vita attraverso cui rivendicare i proprio diritti. Questo film si inserisce oggi, come uno specchio del passo sul nostro presente mostrando che quel sangue sulle manifestazioni civili, quei bavagli che tentano di soffocare le voci di chi ha il coraggio e la forza di ribellarsi alle violazioni e alle ingiustizie siano ancora attuali, e il mondo continua a guardare questo processo, rivedendo se stesso.

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