Il conflitto israelo-palestinese tra passato e futuro

Il conflitto tra Israele e Palestina ha radici lontane e, dopo anni di intense guerre, ancora non risulta terminato. Le potenze estere hanno promosso vari tentativi di riappacificazione, auspicando la formazione di due Stati per i due popoli, ma nessuna soluzione è stata messa in atto. Una delle ultime proposte è quella del presidente statunitense Trump, decisamente a favore dello Stato israeliano e, per questo, non supportata dalla comunità internazionale.

La storia del conflitto israelo-palestinese

Le origini dello scontro tra le due potenze sono da ricercare nella dissoluzione dell’Impero Ottomano alla fine della Prima guerra mondiale. Le terre, dove convivevano ebrei e arabi, vennero divise tra Francia e Gran Bretagna che, con la dichiarazione Balfour del 1917, riconobbe agli ebrei la possibilità di formare un “focolare nazionale”. Durante quegli anni, infatti, tra la popolazione ebraica si era sviluppato il movimento sionista, intento a formare una patria comune per gli ebrei nel mondo. Quello stato, però, coincideva con il territorio palestinese.

Le ostilità culminarono nel 1936 con la Grande Rivolta Araba, ma solo dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale l’ONU decise di prendere una posizione rispetto alla questione israelo-palestinese. Con la risoluzione 181 del 1947, la Palestina viene divisa in Stato arabo e Stato ebraico, e la città di Gerusalemme venne posta sotto controllo internazionale. Questa decisione provocò scontento tra entrambi i popoli e causò accese rivolte. I sionisti allontanarono con la forza i Palestinesi nelle loro terre e proclamarono lo Stato d’Israele nel Maggio 1948.

Da quel momento iniziarono una serie di conflitti tra Israele e i paesi della Lega Araba, formata da Arabia Saudita, Egitto, Libano, Iraq, Siria e Transgiordania, che portarono tutti alla vittoria di Israele. Tra questi, la prima guerra arabo-israeliana del 1948-49, la Crisi di Suez del 1956, la Guerra dei sei giorni del 1967 e la Guerra del Kippur nel 1973. Nel corso di questi anni, Israele prese possesso di gran parte della Palestina e di Gerusalemme Est, per questo molti dei Palestinesi residenti in quelle zone dovettero fuggire nei paesi vicini. Nacquero dei movimenti a favore della liberazione della Palestina, tra cui l’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina), guidata da Yasser Arafat, che venne riconosciuta come rappresentante del popolo palestinese dall’ONU.

I conflitti continuarono anche negli anni seguenti e il 1987 può considerarsi un anno fondamentale, durante il quale scoppiò la Prima Intifada, una sollevazione di massa da parte del popolo palestinese, e nacque Hamas, un movimento che vede nella lotta terroristica l’unico modo per formare uno stato palestinese. Nel 2000 scoppiò la Seconda Intifada, mentre Israele iniziò la costruzione di un muro per separare i suoi territori dalla Cisgiordania. Nel 2005 Hamas prese il controllo della Striscia di Gaza, e il governo israeliano rispose con un blocco totale della Striscia, che soffrì una grave crisi umanitaria. Durante gli anni seguenti, il conflitto rimase localizzato soprattutto in quell’aerea, mentre le potenze internazionali cercarono una soluzione ai dissidi.

I tentativi di riappacificazione

Uno dei primi tentativi di risoluzione della questione palestinese sono gli Accordi di Camp David, firmati nel 1978 dal presidente egiziano al-Sadat e dal Primo Ministro israeliano Begin. Questo documento era volto all’attuazione della Risoluzione 242 dell’ONU, che ribadiva l’impossibilità di acquisire territori con l’uso della forza, ma anche al riconoscimento egiziano dello Stato d’Israele. Nel 1993 vennero firmati gli accordi di Oslo da Arafat e Rabin, primo ministro israeliano. Con questo accordo, Israele si ritirò dalla striscia di Gaza, la Cisgiordania venne divisa in tre aree e venne promessa la creazione di uno stato palestinese entro cinque anni. Inizialmente, la proposta fu accolta da un’ondata di speranza, ma in seguito ci furono dei dissidi all’interno delle stesse popolazioni riguardanti l’accettazione degli accordi.

Tra i più recenti negoziati, troviamo la Conferenza di Annapolis del 2007 dove, per la prima volta, israeliani e palestinesi hanno espresso la volontà di una soluzione a due Stati per porre fine al conflitto.

La soluzione dei due Stati è quella promossa dalla maggioranza delle potenze internazionali e prevede la creazione dello Stato di Palestina, con capitale Gerusalemme Est e comprendente la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, e il mantenimento dello Stato d’Israele. Nonostante la maggioranza della comunità internazionale riconosca lo Stato di Palestina, la soluzione dei due Stati non è stata ancora formalmente realizzata, essendo ancora presenti dissidi su territori come la capitale o il Monte del Tempio, luogo fondamentale per entrambi i popoli.

Un’altra proposta è quella di uno Stato unico uninazionale per i palestinesi. Questo territorio potrebbe essere la Giordania, poiché molti abitanti hanno origini palestinesi, e la Striscia di Gaza, uno dei territori maggiormente contesi, potrebbe essere annessa all’ Egitto. Sebbene la maggioranza dei sionisti sia d’accordo, la stessa Giordania è contraria poiché non è disposta ad accogliere altri palestinesi.

La soluzione di uno Stato unico binazionale vede la creazione di uno Stato dove le due etnie sarebbero alla pari legalmente, quindi una federazione sul modello degli Stati Uniti o della Svizzera. Sono state mosse dure critiche a questa proposta poiché i sentimenti nazionali di israeliani e palestinesi porterebbero all’ennesima guerra civile.

Gli interessi occidentali su Israele

La più grande potenza occidentale che supporta Israele sono gli Stati Uniti d’America. Il rapporto tra le due potenze nacque in piena Guerra Fredda, poiché il governo americano vedeva in Israele un mezzo per bloccare l’espansione Sovietica in Medio Oriente. Terminata la Guerra Fredda, Israele ha continuato a ricevere il sostegno statunitense, anche sotto forma di aiuti economici. Il rapporto che lega Israele agli Stati Uniti è anche ideologico, infatti entrambi gli Stati si fondano su due religioni molto influenti, quella ebraica e quella cristiano-evangelica. Inoltre, anche se non fondamentale per la questione palestinese, c’è la forte presenza della comunità ebraica negli Stati Uniti, comunità che ha una grande influenza politica in alcuni Stati.

Con l’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti, il governo americano ha dimostrato la sua vicinanza ad Israele, riconoscendo Gerusalemme come capitale e spostando la sua ambasciata da Tel Aviv alla città contesa tra i due popoli. Recente è la proposta del presidente americano che, appoggiando il governo israeliano di Netanyahu, promuove l’annessione di alcuni territori ad Israele, tra cui la Valle del Giordano e Gerusalemme ufficialmente riconosciuta come capitale. Alla Palestina verrebbe concesso un tunnel che colleghi la Striscia di Gaza alla Cisgiordania, ma il suo esercito subirebbe forti limitazioni.

Prospettive future

Il piano di Trump non prevede la Soluzione a due Stati, ma pende notevolmente a favore di Israele, lasciando ben poche concessioni per i palestinesi. Un piano decisamente inclinato a favore di una delle due potenze è destinato al fallimento, poiché porterebbe a nuovi conflitti per i territori contesi. Per questo la comunità internazionale continua a puntare sulla Soluzione dei due Stati, la più auspicabile, con Gerusalemme divisa tra Israele e Palestina e il Monte del Tempio, l’area più contesa, sotto controllo delle Nazioni Unite.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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