L’escursionismo non solo è una delle discipline più amate dagli appassionati della montagna, è anche un’attività che permette di stare a contatto con la natura, respirare aria sicuramente migliore di quella che si respira nelle grandi città, e soprattutto consente l’incremento del benessere fisico e mentale. È sia l’occasione per raggiungere vette della montagna da cui godere di viste mozzafiato, ma molto spesso consente anche di percorrere strade battute da genti remote, che hanno lasciato le loro tracce, testimonianza di epoche passate. Se allora si riesce a congiungere l’elemento naturale e psichico con quello storico, si tramuta in una sorta di viaggio nel tempo. Purtroppo, non sempre la montagna presenta un ambiente armonico che garantisce uno sviluppo fisico e culturale, quando l’inciviltà dell’uomo raggiunge i suoi versanti, il risultato è molto diverso da quello che ci si può attendere. È il caso dell’esperienza di Marco, fanatico alpinista da più di vent’anni che dovutosi trasferire per lavoro nella Capitale, ha cercato di continuare questa sua passione, rintracciando nuove cime da scoprire nel territorio circostante. Non poteva quindi non avventurarsi nel Parco Regionale dei Monti Lucretili e, in particolare, in un’escursione a pochi km da Roma sulla cima Zappi, meglio conosciuta come Monte Gennaro che, con i suoi 1271 metri sopra il livello del mare domina sulla campagna romana e sulla valle del Tevere.
Partito da Roma e percorsi circa 37 km giunge nella cittadina di Palombara Sabina, alle pendici del Monte Gennaro, e prosegue seguendo le indicazioni del sentiero escursionistico, parcheggiando l’automobile davanti a quella che fino a 40 anni fa era la stazione a valle della ex funivia, o meglio una cestovia, che permetteva di raggiungere in soli 23 minuti l’albergo-ristorante e la baita a 1100 mt di altezza. Chiusa definitivamente nel 1983 e mai dismessa, ancora oggi è ben visibile con i cestelli biposto appesi alle funi che salgono su per la montagna.

Marco intraprende il sentiero che, salendo attraverso 25 tornanti, sul versante sud-ovest di Monte Gennaro, consente di fare soste per godere del panorama mozzafiato sulla valle sottostante, nonché della flora e fauna tipica del Parco.   Arrivato alla Sella della Torretta, Marco prima di proseguire per la vetta, decide di fare una deviazione di 250 metri, pochi minuti per raggiungere quella che è conosciuta come Torretta Crociani sulla cima del monte Morrone della Croce. Una forma che lo aveva da sempre incuriosito da quando l’aveva avvistata dalla terrazza panoramica del Gianicolo a Roma. Un edificio che dalla forma e imponenza potrebbe essere scambiata per una antica torre di guardia saracena, come le molte diffuse in varie regioni d’Italia: si tratta in realtà di una costruzione assai più recente. Edificata nel 1970 da Camillo Crociani, ex presidente di Finmeccanica, padrone della Vitrociset, protagonista di uno dei più grandi scandali di corruzione al mondo: il caso Lockheed. Dopo aver acquistato letteralmente mezza montagna, per realizzare una riserva di caccia di 600 ettari, con il benestare dell’allora Sindaco del luogo, riuscì a costruire la torre, soddisfando il desiderio della propria consorte, copiando la saracena Torre Cervia sita sul promontorio del Circeo, che Crociani aveva comprato e trasformato in una villa con porto privato ed eliporto. Per la costruzione della “Torretta” scelse uno dei punti migliori della montagna con un panorama eccezionale, non soltanto senza permessi ma addirittura sconfinando sul territorio appartenente al comune di Palombara Sabina. In questo paese Crociani era noto a tutti gli abitanti per il suo elicottero azzurro e bianco che arrivava nel cielo e scompariva nel verde di Monte Gennaro, atterrando, o sulla piattaforma costruita in basso, vicino alla villa, o su quella realizzata in vetta, accanto alla torre. Dopo aver esplorato la costruzione, che nonostante l’origine losca, è diventata ormai a tutti gli effetti un simbolo della montagna, Marco ne approfitta per scattare alcune foto suggestive.

Riprende quindi il sentiero verso la vetta, giungendo alla stazione a monte dell’ex funivia, dove accanto al Rifugio, una struttura panoramica con ristorante, sorto nel 2020 dalla ristrutturazione della precedente baita, spicca l’ex albergo che ha visto, dopo anni di abbandono, un fallito tentativo di ristrutturazione, bloccato da un blitz dei carabinieri nel 2021, i quali hanno riscontrato nel cantiere, non solo violazioni delle norme sulla sicurezza, ma anche la mancata verifica delle condizioni di stabilità dell’edificio ormai pericolante.
Ma quello che maggiormente fa salire l’indignazione è la profanazione del luogo causata da un gruppo di antenne di emittenti radiofoniche e ripetitori wi-fi. Ebbene sì, il luogo dalla vista suggestiva ha attirato negli anni non soltanto migliaia di turisti ma anche emittenti radio-tv che hanno realizzato, anche abusivamente, quella che è stata definita come una discarica elettromagnetica. Pochi sono stati gli esiti raggiunti negli anni nonostante le lotte e le proteste portate avanti da cittadini, forze politiche e associazioni ambientaliste come Italia Nostra e Lega ambiente. Insomma, non è difficile capire lo sbigottimento o lo sdegno che può provare un’escursionista davanti un tale scempio urbanistico, non è una selva di tralicci quello che ci si attende in una visita all’interno di una riserva naturale. Per quanto realizzare la massima copertura di rete ad oggi è un obbiettivo indispensabile, non ci si può capacitare che in quest’era tecnologica ci si debba ancora avvalere di orribili mostri metallici e, maggiormente, non si può comunque giustificare il recare danno agli animali, all’ambiente e all’uomo stesso. In questa cima della montagna, tra gli altri, ha la sua dimora l’aquila reale che maestosa sorvola nel suo ambiente non più sicuro, ma alterato dall’atterraggio di elicotteri di proprietà delle emittenti radiofoniche che sovente effettuano controlli di manutenzione. Così come, nello stesso luogo dove tra il 1750 e il 1752 i due padri gesuiti R. Boscovich e C. Maire misurarono l’arco di meridiano tra Roma e Rimini, compiendo un’impresa memorabile che cambiò l’allora dibattito sulla forma della Terra confermando la correttezza della teoria newtoniana, oggi ci ritroviamo ferro e cemento.


Proseguito il sentiero Marco conquista finalmente la vetta. Affacciatosi dalla cima rimane colpito dal fantastico belvedere: da un lato gli Appennini con il Monte Velino e Il Corno Grande, dall’altra Monte Soratte, la valle del Tevere, e l’Urbe, in cui è ben distinguibile il Cupolone, il Giancolo e Monte Mario. Sullo sfondo, lo scintillio luminoso del mare. Rimane per un po’ a fissare il panorama, apprezzando la bellezza della natura, sentendosi rilassato e appagato. Ora è pronto per intraprendere la via del ritorno.

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