Il piano MerkelMacron: luci e ombre di una svolta solidale

Il piano presentato da Angela Merkel e Emmanuel Macron rappresenta il primo grande compromesso concreto in Unione Europea: 500 miliardi di euro, finanziati da emissioni di debito comune per aiutare i Paesi ad uscire dalla crisi pandemica. Una via intermedia sulla quale però l’unanimità del Consiglio Europeo appare tutt’altro che raggiungibile. Da una parte i “quattro frugali” hanno già posto il loro veto; dall’altra l’Italia e i Paesi del Sud chiedono di più. Il piano sembrerebbe una svolta per la solidarietà europea, ma rischia di restare un sogno inesaudito. A patto che di rivoluzione si tratti.

Il piano Merkel-Macron e la risposta dei Paesi frugali

Il piano franco-tedesco prevede la creazione di un fondo europeo di 500 miliardi.  È una tappa importante nel processo di formazione dei cosiddetti eurobond, sui quali le trattative iniziate erano state bruscamente interrotte dall’opposizione dei Paesi dell’Europa settentrionale. Il fondo sarà finanziato con debito comunitario emesso dall’Unione Europea e sarà garantito dal bilancio pluriennale del 2021-2027.

Coinvolgerà i vari Stati in base alle loro difficoltà e necessità economiche legate all’emergenza sanitaria. Il debito sarà emesso e ripagato dalla Commissione Europea; dunque, Stati in difficoltà come l’Italia potranno ricevere più di quanto dovranno versare. Il documento si presenta come un compromesso tra la posizione dei Paesi del Sud e quelli del Nord. Da un lato si introdurrebbe infatti una forma di emissione di debito comune come voluto dai primi. Dall’altro gli aiuti saranno basati su un chiaro impegno degli Stati membri ad applicare politiche economiche sane e un ambizioso piano di riforme, come auspicato dai secondi.

In medio stat virtus, ma l’unanimità appare nient’affatto che scontata. I cosiddetti “quattro frugali” ossia Austria, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca nella loro contro-proposta di Recovery Fund hanno parlato di un fondo di emergenza “temporaneo, una tantum” e limitato a due anni. Il fondo per sostenere “la ripresa economica e la resilienza dei settori sanitari” si dovrà basare su “prestiti a condizioni favorevoli” e non su una “mutualizzazione del debito”. In cambio i Paesi beneficiari dovranno dimostrare un “forte impegno per le riforme”.

Il piano è davvero una rivoluzione?

Ci sono dei nodi da sciogliere. Il compromesso va ratificato dal Consiglio Europeo all’unanimità, e al Parlamento. E allora si capirà se la Germania fa sul serio, o se con una mano si riprenderà ciò che ha offerto con l’altra. I fondi, andando a bilancio comunitario non saranno restituiti direttamente dai governi che li utilizzeranno. Ma in qualche modo dovranno essere resi, e la domanda è: in che modo e in che tempi? Ci saranno forti condizioni, oppure una forte sorveglianza rafforzata dalla Commissione sui Paesi che ne faranno richiesta?

Un punto sollevato da molti è che la cifra non sia sufficiente per compensare la picchiata delle economie europee. Inoltre, Angela Merkel avrebbe agito in perfetta applicazione della strategia geopolitica tedesca. L’intento sarebbe quello di creare condizioni favorevoli per riversare nell’estero vicino il surplus produttivo della manifattura germanica. In pratica, il mercato comune e l’euro sono solo una parte temporanea della tattica. Ecco perché occorre salvarli a tutti i costi. Così come occorre salvare a tutti i costi la filiera del Nord Italia. Insomma, la coppia franco-tedesca in realtà non esisterebbe. E Berlino si starebbe trincerando dietro Parigi per non dipingere un’immagine troppo tedesca dell’Unione Europea

La via della comunitarizzazione

Nonostante i dubbi irrisolti, l’accordo di Francia e Germania rispecchia molto la comunitarizzazione del debito richiesta dall’Italia e dagli altri firmatari della lettera dei nove fermamente contrari a una replica del 2008. Allora la concessione di prestiti spalancò le porte al commissariamento della Grecia per mano della troika composta da Bce-Commissione-Fmi. Ma soprattutto diede il via alla stagione dell’austerità in tutti quei paesi decisi ad evitare l’esito disastroso di Atene.

David Sassoli, presidente del Parlamento europeo ha detto “c’è stato un salto di qualità evidente”. Infatti “non si tratta di uno strumento separato, quindi sottratto al controllo democratico”. È piuttosto “uno strumento comunitario in cui tutte le istituzioni hanno una loro forte responsabilità”. In primis il Parlamento che “non solo negozia il bilancio, ma lo vota”.

Oggi l’Europa sta subendo il colpo più duro degli ultimi decenni e il rischio più grande da evitare è quello di una ripresa asimmetrica. Ecco perché sarebbe opportuna una politica di coesione. Merkel e Macron hanno dal canto loro sottolineato la necessità di un’Unione Europea più unita e compatta che cooperi in ambito sanitario. Così come negli investimenti per la digitalizzazione e per il rilancio del Green Deal. Ulteriore sforzo comune appare necessario per incrementare la libera circolazione delle persone e la forza del mercato unico.

Non è forse un caso che il 9 maggio sia ricorso l’anniversario di un’altra grande crisi, quella del 1950 e di un’Europa fisicamente devastata dagli effetti della Seconda guerra mondiale. In un contesto così difficile l’allora ministro degli affari Esteri francese Robert Shuman presentò un altro piano, teso a creare istituzioni comuni per far sì che la guerra diventasse impensabile e impossibile.

Oggi la ripresa si farà su altre macerie. Ma gli strumenti migliori continuano ad essere quelli della vicinanza e della solidarietà. Dalle istituzioni agli Stati membri e viceversa. A decidere delle sorti del piano franco-tedesco sarà Ursula von Der Leyen, presidente della commissione e unica incaricata a preparare una proposta di rilancio comune. La via media del piano Merkel Macron sarà forse percorsa, seppur necessariamente sbilanciata verso il rigore del Nord o la dilatazione del Sud. Sempre che non sia già minata dall’interno. In ogni caso, la storia dovrebbe insegnare. Chissà se il coronavirus ci ha cambiati, e ha cambiato l’Europa.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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