Da qualche anno è largamente diffusa, tra gli addetti ai lavori, l’ipotesi di un recupero da parte del nostro Paese degli antichi fasti “Matteiani”, immaginandone un futuro da hub del gas europeo, in concordanza (o quasi) con le necessità – non più negoziabili – dell’imminente transizione energetica. Italia hub del gas europeo: realtà o immaginazione? Direttore responsabile: Claudio Palazzi
A onor del vero, va considerato che, dal punto di vista della bilancia energetica, l’Italia è in una posizione che la obbliga a importare la stragrande maggioranza dei consumi, specialmente a seguito dello stop al nucleare (1987); da questi presupposti, riaffermare un ruolo centrale nella geopolitica energetica resta qualcosa di ampiamente desiderabile.
“Doppia natura” geopolitica
Geostrategicamente l’Italia gode di quella che Paolo Soave, professore associato dell’Università di Bologna, definisce “doppia natura geopolitica”, una “condizione” che pone la penisola in uno spazio che apre le porte del Mediterraneo da un lato e quelle del Vecchio continente dall’altro.
Una “doppia natura”, questa, che permise all’Italia di esperire per circa un decennio (più o meno dall’ inizio degli anni ’50 fino all’inizio degli anni ’60, quando Mattei morì in circostanze misteriose) un percorso di rinnovamento che venne definito “neo-atlantismo”: una modifica dell’establishment energetico al tempo in vigore (è l’epoca delle famose “sette sorelle” degli idrocarburi); l’ENI si trovò a operare nel quadro degli interessi nazionali, slegandosi dal pattern atlantista che perseguiva innanzitutto il mantenimento dello status-quo colonialista anglo-francese. Questo “agire in autonomia” collocò l’Italia in una posizione scomoda ai più, poco apprezzata soprattutto da chi vedeva nel “matteismo” un’anticamera per le pretese nazionaliste e anti-colonialiste dei paesi nord-africani. La nuova politica neo-atlantista, tuttavia, fu decisamente fruttuosa per le casse e la postura internazionale della penisola: per quasi un decennio l’Italia divenne una superpotenza energetica e l’ENI il simbolo del miracolo economico italiano (Figura 1).
Ok, però cosa c’entra il gas?
Il gas naturale è una fonte energetica di cui l’Italia ha oggi una possibilità relativamente semplice di approvvigionamento, vista l’intensa attività di esplorazione di ENI nel Mar Mediterraneo (i vari giacimenti Zohr, Nour, Calypso, ai quali si aggiunge una nuova area esplorata pochi mesi fa, la Great Nooros Area). Inoltre, il ruolo del gas nel processo di transizione energetica è riconosciuto dagli Scenari di Sviluppo Sostenibile (SDS), che, coerentemente agli Accordi di Parigi sul clima, puntano a un utilizzo progressivamente minore dei combustibili più inquinanti (decarbonizzazione). Perciò, il gas naturale assumerebbe il compito di “bridge fuel”, un vero e proprio “ponte” che accompagni le società umane verso un plausibile dominio delle energie rinnovabili senza eccessivi traumi.
L’Unione Europea, visto il costante decremento di produzione nel settore dei combustibili fossili, sarà costretta a importarne sempre di più (figura 2), fino a quando non si completerà la transizione. Per questo, il tema della sicurezza energetica e della diversificazione degli approvvigionamenti è cruciale: più della metà del gas importato dall’UE proviene dalla Russia, e svincolarsi da una pressoché totale dipendenza dal Cremlino diventa un obiettivo primario, visti gli umori non sempre concordanti tra le due parti.
Quali rifornimenti per l’Italia?
Ad oggi, L’Italia risulta fondamentale nello scacchiere europeo di approvvigionamenti energetici non tanto per le quantità importate bensì per la sua posizione strategica. Infatti, l’Italia è l’unico terminale in UE del gas libico (Green-stream, da Mellitah a Gela, in Sicilia) e inoltre, insieme alla Spagna, apre le porte europee al gas algerino (gasdotto Trans-Med, o “Enrico Mattei”). La recente entrata in funzione del TAP, che insieme a TANAP e SCP costituisce il cosiddetto “corridoio sud”, permette infine l’ingresso del gas azero.
Le quantità di gas garantite da questi approvvigionamenti non bastano, però, a rendere il nostro paese un vero e proprio “punto di snodo” del gas. Ed è per questo che si cercano ulteriori soluzioni. Tra progetti mai andati in porto (vedi il mastodontico progetto del GALSI, o l’ormai tramontato South-Stream) e altri in fase di studio (da anni si parla di un potenziamento della rete di impianti di rigassificazione), il più affascinante resta quello di East-Med, che prevede la realizzazione di un gasdotto (figura 3) che metta in collegamento i nuovi giacimenti scoperti nell’area del Mediterraneo Orientale -molti proprio da ENI- con l’Italia, la quale a sua volta direzionerebbe il gas nel Continente.
Le problematiche, però, sono molteplici, e non riguardano la mera costruzione della pipeline. Sul tema, infatti, irrompono delicate questioni geopolitiche difficilmente risolvibili: Recep Erdogan darà battaglia fino all’ultimo per ostacolare un progetto che significherebbe l’esclusione totale della Turchia dai giochi energetici dell’area, oltre che un implicito riconoscimento di uno spazio marittimo da sempre conteso e da sempre rivendicato nei confronti dell’odiata Grecia. L’attività di navi turche nel Mediterraneo (il caso della Oruc Reis è significativo) non promettono spiragli di discussione. A meno di interventi esterni: resta da vedere se poi agli interessi dei promotori di East-Med1 non convergano anche quelli degli Stati Uniti, data la sgradita dipendenza europea dal gas russo.
Lo sfruttamento del gas del Mediterraneo Orientale è, probabilmente, la conditio sine qua non di un’Italia come hub del gas. Se ad oggi la prospettiva di una gigantesca pipeline e di un coinvolgimento di diversi Paesi non sembra possibile, sarebbe più realistico, forse, aprire nuove rotte per le navi metaniere, e a tal proposito l’Italia dovrebbe farsi trovare pronta potenziando la sua rete di infrastrutture GNL.
Il trasporto marittimo consente, e consentirebbe, in questo caso, agli Stati di divincolarsi dai rigidi e costrittivi schemi geopolitici, permettendo una certa flessibilità di manovra che un asset fisico come il gasdotto non potrà mai garantire.
Investire nel gas naturale…conviene?
Investire nel gas naturale conviene fintanto che si pongano già le condizioni per uno sfruttamento alternativo delle stesse infrastrutture, che sottolineiamo, fanno comunque parte di una filiera ecologicamente impattante (per quanto riguarda i tubi, gli interventi a livello di modifica del suolo sono parecchio invasivi degli equilibri idro-geologici).
Il gas naturale sarà ancora importante per diversi anni, specialmente nell’ottica della totale decarbonizzazione (per via del suo ruolo da bridge fuel), tuttavia, la UE ha pianificato l’uscita totale dalla dipendenza da tutti i combustili fossili (non solo dal carbone!) entro il 2050: vien da sé che costruire una rete di infrastrutture per una fonte energetica la cui morte è segnata nell’arco di 30 anni costituisce un azzardo; posto che non avvenga quanto auspicato poche righe sopra: un riutilizzo strategico delle stesse infrastrutture per il trasporto e stoccaggio di gas rinnovabili come il biometano e l’idrogeno, fonti che negli anni assumeranno via via più importanza.
Un hub del gas pronto per la grande rivoluzione
Il recupero del “matteismo” non è un sentiero aprioristicamente sbagliato; a patto che sia questo un sentiero protratto in avanti, con l’obiettivo di rendere, nel minor tempo possibile e sfruttando le stesse infrastrutture, l’Italia un hub del gas delle energie rinnovabili. E non può esservi alcun compromesso: i combustibili fossili non sono il futuro, persino se parliamo del gas naturale.
1 I Paesi che prendono parte agli accordi dell’ East Mediterranean Gas Forum (EMGF) sono Cipro, Egitto, Grecia, Italia, Giordania, Israele e Palestina.