Dopo 5 anni dall’uscita di The Irishman, Scorsese torna con un nuovo capolavoro cinematografico, raccontandoci sul grande schermo uno dei momenti più tetri della storia degli Stati Uniti d’America: il genocidio della tribù indiana degli Osage.
Con l’interpretazione di un cast stellare che può vantare nomi quali Robert De Niro, Leonardo Di Caprio, Brendan Fraser e l’esordiente Lily Gladstone, Killers of the flower moon si preannuncia come uno dei migliori film di quest’anno e, forse, dell’intero cinema.

La (s)fortuna degli Osage

Esattamente un secolo fa, durante i Roaring Twenties, negli Stati Uniti d’America la tribù Osage diventava la popolazione più ricca al mondo grazie alla scoperta di giacimenti di petrolio sotto le loro terre.
Killers of the flower moon, presentato per la prima volta al Festival di Cannes quest’anno, è basato sull’omonimo libro del giornalista americano David Grann. La storia si concentra sulla tribù indiana degli Osage, collocata tra i fiumi Missouri e Osage, da cui prendono il nome.
In seguito al ritrovamento dell’oro nero, illustrato nel film tramite un rituale di sepoltura di una pipa, gli Osage divennero estremamente ricchi, tanto da potersi permettere lussi quali avere un autista personale; ma dall’altra parte questo tesoro richiamò l’interesse dei cercatori bianchi.

In questo scenario Scorsese ci racconta la reale e triste storia di Mollie (Lily Gladstone), una giovane donna Osage la cui famiglia è uccisa in una serie di omicidi strazianti e volutamente non investigati. All’inizio del film si vede il personaggio di Ernest Burkhart (Leonardo Di Caprio) leggere un libro sulla storia degli Osage e una didascalia che cita: “riesci a trovare i lupi in questa immagine?”. Non è questo, come si potrebbe erroneamente credere, il messaggio del film.

Il regista italoamericano non ci nasconde in alcun momento chi sono i veri colpevoli di questi crimini, al contrario essi sono i reali protagonisti della proiezione. Sin dall’inizio Scorsese ci palesa le perverse ambizioni di William “King” Hale (Robert De Niro). La sua crudeltà è studiata e ben architettata: diventare amico degli indiani parlando la loro lingua e cultura, per poi ingannarli e ucciderli per avere il denaro. È infatti Hale a spingere suo nipote Ernest a sposare Mollie, a pianificare l’uccisione delle sue sorelle e ad avvelenarla. Attraverso un intreccio di avarizia, egocentrismo e razzismo assistiamo al genocidio della nazione degli Osage, che trova fine con la cattura di Hale e Burkhart da parte del neonato FBI.

Un progetto rischioso

Per la realizzazione di questo film Scorsese si è avvalso dei suoi più fidati attori: De Niro, con cui ha lavorato per ben oltre 50 anni in 10 capolavori, ricordiamo Toro Scatenato nel 1980 che valse all’attore l’Oscar e il più recente lavoro del regista, The Irishman; e Di Caprio, un sodalizio rafforzato tramite 4 acclamati progetti, tra cui The Aviator nel 2004 e The Wolf of Wall Street nel 2013. Aggiungendo la partecipazione del ben ritrovato Brendan Fraser e una mastodontica interpretazione di Lily Gladstone, le carte in tavola per il film dell’anno sembrano esserci tutte.

Eppure, questo non è stato affatto un progetto semplice, come ha raccontato lo stesso Scorsese in più interviste. Egli ha rivelato di aver cominciato a lavorare alla sceneggiatura di Killers of the flower moon nel 2017 e che inizialmente il film doveva seguire la trama del libro da cui prende il nome e avere come personaggio principale Tom White, l’agente FBI chiamato a investigare gli omicidi. Ma egli non era abbastanza convinto da questa scelta e neanche gli esponenti Osage, chiamati a offrire la loro consultazione per il film, lo erano. I fatti si conoscevano già, non vi era alcun mistero da svelare. Alla fine, è stato Di Caprio a spingere per una modifica della sceneggiatura, chiedendo a Scorsese “dov’è il cuore di questa storia?”.

Per dare risposta a questa domanda il focus è stato spostato su Ernest Burkhart, personaggio storico di cui si conosce relativamente poco, ma che è diventato il jolly che ha consentito a Scorsese di illustrare appieno il tradimento messo in pratica dai bianchi americani nei confronti delle loro famiglie indiane.
Ernest e Mollie sono il cuore della storia, il loro amore che non è stato più grande dell’avarizia e della malvagità umana.

I lupi siamo noi

Le persone dimenticano” dice Hale a suo nipote nelle ultime scene per cercare di convincerlo a non testimoniare contro di lui. Forse aveva ragione. Lo stesso regista si mette davanti alla cinepresa per comunicarci che nel necrologio di Mollie non vi è alcuna menzione degli omicidi. Se ne sono tutti dimenticati. Ma è davvero così? La replica di Scorsese è negativa e ce lo mostra nell’ultima parte del film, con uno spettacolo radiofonico che racconta il finale di questa vicenda a un pubblico in sala; e poi lui stesso lo racconta a tutti quanti noi con Killers of the flower moon.

Pur narrando la storia degli Osage di un secolo fa, i sentimenti umani che vengono rappresentati sono gli stessi che possiamo osservare ancora oggi nei conflitti che affliggono migliaia di persone in varie parti del mondo: razzismo, xenophobia, avidità, smania di potere, presunta superiorità della propria razza. È la storia degli Osage, ma anche di ogni popolo, passato e presente, che è oppresso e brutalmente distrutto.
L’unica soluzione con cui veniamo presentati è quella del ricordo. Non lasciare che il senso di colpa e la vergogna per le nostre azioni passate ci renda complici di nuovo di simili crimini.

Noi siamo gli assassini e dobbiamo capirlo” ha raccontato Scorsese parlando del film.
Pur mettendo al centro della scena due uomini bianchi, non si tratta di un’apologia della supremazia bianca o il tipico tema del salvatore bianco che si può riscontrare in altri film che trattano la storia degli indiani d’America. No, Scorsese non si allontana dalla cruda realtà, né tantomeno cerca di nasconderla o filtrarla, anzi il suo intento è proprio quello di mostrare la malvagità umana. Non c’è redenzione, ma c’è memoria.

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