Qualcosa di familiare, ai Golden Globe.

Sophia Loren, i vicoli romanticamente angusti di Bari vecchia: la storia del riscatto morale di Momò, un giovane “leoncino” nero, musulmano ed orfano affidato alle riluttanti cure di madame Rosà, ex prostituta ebrea scampata all’olocausto. La vie devant soi” in “All life Ahead“: l’antica storia della fratellanza degli ultimi, sussurrata al cuore in musica leggera Direttore responsabile: Claudio Palazzi
L’eroe-bambino di Ponti prende in mano il suo destino, fa sempre e comunque di testa sua, lasciandosi al massimo ispirare dalle figure che incontra ed a cui viene affidato: fa lo slalom tra diverse opportunità di perdizione e sembra riuscire infine, con successo, ad aprirsi un orizzonte luminoso per “la vita davanti a se”, a cui si affaccia pulito e consapevole, pacificato con la figura materna che si è lentamente incarnata in Madame Rosà.

Con questa formula e con la Loren nei panni di Madame Rosà, ai Golden globe 2021, “La Vita davanti a se” ( “All life ahead”) di Edoardo Ponti si affaccia alla lista dei candidati al miglior film in lingua straniera, ma la lascia a bocca asciutta.

L’opera di Ponti ha le sue radici nel romanzo omonimo di Romain Gary, in lingua originale “La vie davant sois”, stampato in Francia nel 1974 e vincitore per due anni consecutivi del premio Goncourt.

Nel 1977 l’israeliano Moshè Mizrahi portò per la prima volta l’acclamato romanzo nei cinema, facendone una trasposizione cinematografica in “La vie devant soi” pellicola che nel 1978 vinse, come miglior film straniero, gli Oscar ed i Golden di quell’anno.

Non è quindi la prima volta che la sostanza di cui fatto “La vita davanti a se” compare tra i candidati ai Golden Globe, ma i risultati riscossi dalle due declinazioni, quella del ‘77 e quella del 2021, sono nettamente differenti.

“I Miserabili”, L’opera di Vitor Hugo, viene spesso citata nel romanzo di Gary quanto nel film di Ponti ma in quest’ultimo si pone come vera e propria chiave di lettura.

Madame Rosà e Momò, infatti, si incontrano per la prima volta quando Momò la borseggia in strada: il bottino di Momò, come quello del protagonista di Hugo, Jan Valjan, sono proprio due candelabri d’argento che l’anziana ex prostituta si apprestava a vendere per pagare l’affitto.

Scoperto dal suo tutore, il dottor Katz, Momò viene obbligato a restituire i candelabri proprio come Valjan viene obbligato dai gendarmi che lo hanno intercettato: in entrambi i casi, l’incontro con un vecchio filantropo che i due eroi derubano, costituiscono l’avvio alla rinascita, in Valjan immediata, per Momò, più giovane, più ribelle, a lenta carburazione.

Ma può scrivere una storia dei miserabili, senza miseria?

Ponti ci ha provato.
Il risultato delle premiazioni ha dato il suo responso, ma ciò non significa che il prodotto di questo tentativo non sia comunque ammirevole e ricco di finezze.

Del romanzo di Gary, da cui trae linfa, la storia raccontata da Ponti mantiene i personaggi chiave ed i rapporti che intercorrono tra di loro nonché alcune scene cardine.

Il Momò di Ponti come quello di Gary ha problemi con il suo retaggio a cui si avvicina grazie all’ex venditore di tappeti Hamil, a stento sa di essere musulmano e quello di Gary non sa nemmeno la sua età, non disponendo di documenti regolari.

In Ponti l’incontro tra Momò e la droga è una questione d’affari, il bambino decide di spacciare perché determinato a lavorare, a suo modo ( quello con cui fa ogni cosa).
Il Momò di Gary conosce gli eroinomani perché di eroina è pieno il quartiere, e quando necessario è un eroinomane, esperto di iniezioni, che fa le punture a Madame Rosà e che una volta, per sbaglio, durante una di queste operazioni, inietta all’anziana ebrea la dose che si teneva da parte “per quando si sarebbe disintossicato”.

Il romanzo di Gary è pieno di momenti tragicomici come questo, grotteschi come la vita: Madame Rosà, che è cardiopatica e lentamente sta svanendo nella demenza senile, in un momento di assenza balla nuda nell’appartamento con le mutande intorno al collo, ha quattro peli in testa che copre con una parrucca rossa e pesa una novantina di chili.
La Madame Rosà di Ponti, Sophia Loren è una magnifica volpe d’argento che ha i suoi momenti di assenza come tenere regressioni infantili.

La vita del Momò di Gary si svolge a Belville, il quartiere più multietnico di Parigi degli anni ’70 : Gary ne descrive attentamente le folle, fatte di prostitute e di vere e proprie “ tribù africane” che vivono stipate negli scantinati, folle che nel film di Mizrahi si ritrovano fedelmente, compreso l’iconico ruffiano nigeriano N’Da Amédée , che ogni Domenica detta a Madame Rosà lettere deliranti indirizzate forse ai suoi genitori, con cui li informa che è diventato “ un re”.

Gary tratteggia un formicaio densissimo di personaggi “bastardi” sospesi tra i mondi, in bilico tra l’essere e non essere parte società ai cui margi vivono, perfettamente integrati in una comunità alternativa di “ultimi” dove la necessità di sopravvivere rende il “gomito a gomito” meno problematico e dove la visita di un “vero francese cattolico” (come capita un giorno), scuote profondamente Madame Rosà.
Il mondo di Ponti conta poche figure chiave, i pochi personaggi principali, con poche aperture sul mondo che circonda Momò, che dovrebbe essere quello in cui tenta di sopravvivere, che a volte gli mostra i denti ma che non morde mai, in realtà; un esempio è il giovane spacciatore spodestato da Momò, che lo aggredisce senza infierire, con poco più di uno spintone.

Ponti sposta l’orizzonte sull’interiorità: la “miserabilità” dei personaggi, con cui devono combattere è dentro di loro più che fuori da sé; è la solitudine, la sensazione, l’abitudine ad essere nonostante tutto sempre soli contro il mondo che condivido Madame Rosà e Momò; i due cominciano a legare quando Madame Rosà viene scoperta da Momò nel suo “ piccolo nido giudaico” che si è costruita nei sotterranei del palazzo e lo caccia, difendendo ferocemente quel suo piccolo spazio franco con la stessa veemenza con cui Momò ha sempre cacciato via dalla sua vita tutte le figure autorevoli.

Un orizzonte diverso, un obiettivo puntato al cuore.

L’umanità è centrale nella visione di Ponti: la generosità, la pazienza di Madame Rosà, la rabbia di un orfano come Momò, ma anche la sua determinazione ad essere il solo a tenere le briglie della propria vita.

Il New York Times, nella recensione del film fatta da Glen Kenny nel 12 Novembre 2020, loda proprio questa sfaccettatura definendo soprattutto per questa virtù il film “better than pretty good”, costruito ad arte intorno ai due poli- persona di Sophia Loren e della sua giovane co- star Ibrahima Gueye nei panni di Momò.

Le recensioni del pubblico della popolare piattaforma Mymovies , in quanto alle critiche, sono unanimi nell’accusare tuttavia il film di una mancanza di incisività, pur riconoscendo spesso la validità della narrazione.

Tornando a noi

Si può scrivere una storia di miserabili, senza la miseria?

Si può dipingere un buon quadro, senza ombre profonde?

La domanda rimane aperta: per quanto ci riguarda, per adesso, la risposta sembrerebbe essere “sì, ma non si riesce a vincere un Golden Globe”.

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