Lo sviluppo delle relazioni tra Siria e Turchia

Le relazioni tra queste due potenze del Levante arabo sono state da sempre costellate da alti e bassi. Per cominciare, la Siria ha dato una mano al mondo arabo per l’indipendenza dall’impero Ottomano, cosa che ai turchi gli ha fatto storcere il naso. Con l’ascesa al potere di Kamal Ataturk, con un’impronta laica ed occidentalizzata, si instaurava una grande potenza non ben vista dal mondo arabo e delle potenze del Golfo.
 I rapporti tra Siria e Turchia sono sempre stati complessi e difficili.
Negli anni 50’, era più uno scontro ideologico, poiché la Turchia era considerata una potenza occidentalizzata, con degli stretti rapporti di cooperazione con Stati Uniti e Israele, mentre la Siria era al fianco di Nasser, Primo Ministro egiziano, ed era in orbita filosovietica.
Nonostante tutto, la cooperazione tra i due paesi si può considerare intensa e folta da accordi economici e commerciali.
Negli anni 50’, però c’è stato uno scontro riguardante il problema della diga sul fiume Eufrate. Il problema, di lunga data, si accentua appunto durante gli anni 50’ del 900’, in cui i due paesi rivieraschi stanno vivendo un momento di forte crescita demografica e dunque necessitano di ulteriore acqua per le aree coltivabili.

I primi dissidi

Le posizioni dei paesi coinvolti sono discordanti, ognuna pretende di avere un proprio progetto per suddividere il consumo delle risorse idriche. La Turchia, noncurante dei progetti di Iraq e Siria, costruisce una grande diga sull’Eufrate, spostando le risorse nel proprio territorio e danneggiando i paesi a sud della diga (Iraq e Siria), obbligando i due paesi a prendere ulteriori provvedimenti. Nel 1965 iniziò in Turchia il più vasto e ambizioso progetto di sviluppo idrografico “Progetto dell’Anatolia Sud-Orientale” che prevedeva la costruzione della grande diga di Ataturk- una delle dieci maggiori dighe del mondo- e di altre dighe minori ( M. Galletti, Storia della Siria contemporanea, Bompiani, Milano2013, pp. 190-191).
Nonostante questi buoni intenti delle autorità turche, i paesi rivieraschi guardavano sempre più con sospetto ai progetti del regime di Ankara. Così facendo, si è andata a creare una situazione di stallo, per cui non si riusciva ad arrivare ad una cooperazione ed a una conclusione degli accordi per quanto riguardava le risorse idriche dell’Eufrate.
Tutto ciò creò una situazione di instabilità politica, e addirittura delle falle e crisi regionali.
Nel 1974-75 scoppiò il primo caso: la Siria riempì il lago Asad presso la diga Tabqa, mentre i turchi colmarono il bacino della diga Keban. In quel frangente, fu l’Iraq a protestare, perché in quell’anno le precipitazioni furono scarse, e riceveva poco meno di un terzo delle risorse idriche dell’Eufrate, danneggiando in maniera consistente i raccolti invernali, che diminuirono del 70%.
Il regime di Baghdad, per protesta concentrò le sue truppe sui confini con la Siria. Solo grazie alla mediazione saudita e sovietica, si raggiunse un accordo per cui il regime di Damasco rilasciò 200 milioni di metri cubi d’acqua all’Iraq.
Altre piccole crisi si intervallarono nel corso degli anni, una tra tutte un piccolo contezioso tra Ankara e Damasco. Purtroppo, non ci sono accordi scritti per il flusso d’acqua dell’Eufrate e la Turchia, approfittando della sua potenza in ambito internazionale, sfrutta a suo favore le risorse idriche del fiume.

I curdi: un popolo oppresso e usato come arma di ricatto

Passando invece in un ambito più umanitario, tra Siria e Turchia è sempre esistita una questione pressante: i curdi.
Questa popolazione, da sempre è in ricerca di un’autonomia statale, di creare una nazione, di autodeterminarsi con un proprio governo libero da pressioni internazionali.
I curdi, sono sparsi in tutto il Levante arabo, con dei picchi in Siria, Iraq e Turchia.
C’è da dire, che spesso la popolazione curda viene usata per ragioni politiche per destabilizzare le politiche dei paesi: per esempio, la Siria usa il partito curdo del PKK per creare dei dissidi interni al regime di Ankara.
Diciamo però che il paese più ostico per il popolo curdo è per l’appunto la Turchia: dal 1924 fino al 1990, il regime dell’attuale presidente Erdogan ha negato la presenza di 16 milioni di curdi, soprannominati “curdi della montagna”, tra l’altro bandendo l’uso della lingua curda.
Dal 1984, il PKK (partito dei lavoratori del Kurdistan), con base in Siria, ha incominciato una dura lotta armata per l’indipendenza, poi trasformatasi in un riconoscimento dei diritti culturali
Ufficialmente uno degli obiettivi del GAP turco era l’integrazione della popolazione curda con nuovi posti-lavoro e livelli di vita più elevati. Ma i curdi hanno pagato un prezzo molto alto: l’esproprio di grandi appezzamenti di terreno, la sommersione di numerosi templi religiosi e di almeno 250 villaggi ( M. Galletti, Storia della Siria contemporanea, Bompiani, Milano2013, p. 194).
Il regime di Damasco, quindi “usa” il PKK come arma di ricatto nei confronti dei turchi:
per Damasco, serve una migliore ripartizione delle risorse idriche dell’Eufrate, mentre i turchi richiedono una gestione, un controllo più rigido nei confronti dei gruppi terroristici curdi (PKK, Asala, ovvero una formazione armena, fazioni entrambe dell’estrema sinistra) aventi base in Siria.
Nel 1987, i primi Ministri di Turchia e Siria firmano a Damasco un protocollo per la “sicurezza della frontiera siro turca”, dove in pratica la Siria si impegna a non fornire più aiuti e basi ai separatisti del PKK, e contemporaneamente anche un protocollo dove i turchi si impegnano a regolarizzare i flussi della diga presente sull’Eufrate.

Entrano in gioco gli Stati Uniti

Questi protocolli sono stati messi in ghiaccio sin quando la Turchia non ha fatto scendere in campo i due alleati regionali: ovvero Israele e gli Stati Uniti.
Per gli Stati Uniti, la Turchia è, insieme ad Israele una roccaforte occidentale, grazie a cui arginare il potere dell’asse panarabo di Siria-Iraq-Iran. Poi, il regime di Ankara ha spesso esortato gli Stati Uniti di intervenire con la Siria per quanto riguarda l’affare PKK.
Per ovviare al problema PKK, la Turchia ha rafforzato la cooperazione internazionale con Israele, per poter mettere ancor di più pressione alla Siria e per mettere fine alla serie di aiuti al PKK, e per far imprigionare il leader Abdullah Ocalan.
Tutto questo successe nell’ottobre del 1998, quando il regime di Ankara schierò 10.000 uomini sul confine siriano, e addirittura altrettante truppe nell’interno del Kurdistan, per distruggere le basi segrete del PKK. Damasco fu costretta ad estradare Ocalan con i suoi guerriglieri, e mettere fine agli aiuti al PKK.

Scoppia la guerra civile siriana: lo scacchiere internazionale si divide


In un certo senso, la situazione si era calmierata sul punto di vista curdo, affinché nel 2011, come ampiamente descritto, inizia la guerra civile siriana.
La Turchia inizialmente, anche a causa delle sue alleanze geopolitiche si schiera con i ribelli siriani e Jihadisti, fornendo anche un supporto logistico e di armamenti, soprattutto perché a combatterli entrano in campo le forze curde, schierate sin dal principio con il regime di Damasco.
I turchi, sin dall’inizio della guerra civile, hanno provato la politica dello “zero problemi con i vicini”, per poter rafforzare il ruolo di potenza regionale nel Levante arabo, ma che non ebbe esiti positivi.
Durante la guerra civile siriana, si sono incrinati anche i rapporti turco israeliani, a causa dell’incidente con la Freedom Flotilla, dove appunto una flotta di attivisti filo-palestinesi, con in mano degli aiuti umanitari, hanno provato a forzare il blocco di Gaza a bordo di una nave turca. Nello scontro con le truppe israeliane, ci sono stati addirittura dei morti e feriti
Grazie a questo fatto, ma anche per l’ingresso nella guerra civile siriana della Russia, la politica estera turca cambiò inesorabilmente, anche perché gli Stati Uniti, diedero sostegno alle milizie curde affinché riconquistassero i territori del Rojava (i curdi chiamano così alcune regioni della Siria). È un fatto alquanto inaccettabile per il regime turco, poiché se i curdi del PKK/PYD partito dell’Unione Democratica) fondassero la regione indipendente del Rojava, a quel punto i turchi non avrebbero più un punto di riferimento per entrare direttamente nel Levante arabo.
Infatti, spesso i turchi sono arrivati ad azionare le loro truppe per indurre timore e per destabilizzare i membri del PKK in quella suddetta regione.
Il PYD sostiene il PKK in Turchia, e Ankara teme che possano impiegare in patria la capacità militare e l’esperienza acquisite in Siria, oltre al trasferimento di armi. Si tratta di una polemica che coinvolge direttamente gli Stati Uniti, dato che le armi fornite da Washington al YPG possono essere usate in Turchia dal PKK. La Turchia teme anche che un Rojava autonomo possa diventare un rifugio sicuro per i poteri esterni desiderosi di colpire il paese, vale a dire la Russia. Inoltre il Rojava potrebbe diventare un bastione fertile per le attività curde e un rifugio sicuro per il PKK (D. Savignon, M. Bressan, Siria. Il perché di una guerra, Salerno Editrice, Roma 2017, p. 67).
Il presidente turco Erdogan ha dichiarato che Ankara è pronta a muovere le sue truppe verso Manbij, contro le postazioni curde, se gli Stati Uniti non le ritireranno dalla zona. Erdogan ha deciso di rinviare le operazioni militari in terra siriana dopo aver intrattenuto un colloquio con il Presidente statunitense Donald Trump, tenuta il 14 dicembre 2018, dove tra l’altro il Presidente americano ha annunciato il ritiro delle truppe statunitensi dal suolo siriano.

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