L’incubo dei disturbi alimentari, fame di amore e di vita, fame di emozioni e sicurezze, attraverso gli occhi di Marta, 14 anni. L’incubo dei disturbi alimentari, fame di vita. Direttore Claudio Palazzi
La giornata inizia alle 07:50. Già in ritardo. Bastano pochi minuti per prepararsi, il tempo di trascinarsi giù dal lettino ad una piazza, trovare il coraggio di affrontare il freddo fuori dalle coperte lavarsi frettolosamente il viso, cercando di specchiarsi il meno possibile, mettere il maglione più largo a disposizione, un leggings e uscire, senza fare colazione. 08:03. Nonostante la preparazione lampo, quasi inusuale per una ragazza, arrivare a scuola in orario è impossibile. La campanella è già suonata da 15 minuti quando Marta riesce ad entrare in classe, la professoressa borbotta, i compagni fanno qualche battuta, ma tutto sommato il ritardo passa, quasi giustificato dalla repetitio che ormai ha consolidato la consuetudine.
Il freddo di gennaio entra nelle ossa, penetra come una scarica di aghi da ogni spiraglio di pelle nuda, e fa male. Da quando Marta ha smesso di mangiare il suo cuore sembra pompare il sangue a fatica, e le estremità del suo corpo sono perennemente fredde. È difficile mantenere la concentrazione quando senti di avere la testa sottovuoto, le orecchie tappate e la faccia paralizzata dal freddo. Per stabilizzare la pressione e facilitare la circolazione del sangue in testa, Marta ha sperimentato una posizione: sta sempre con il volto chino, quasi accartocciandosi dentro l’enorme sciarpa che la avvolge, cercando di preservare le energie. Ma non è solo il freddo a distrarla dalla lezione. Ogni pensiero, ogni idea, ogni sensazione è collegata al cibo. Più se ne priva più lo desidera. Più lo desidera più sente di acquisire forza e controllo, al punto che è la fame che ricerca, la sensazione di vuoto nello stomaco, i crampi. Quando sente i crampi si sente invincibile.
Latino. Sono le 11:30, ancora la 4 ora. L’intervallo è appena passato, e Marta non si è mossa dal banco. La sua insicurezza da un paio di anni le sta impedendo di conoscere nuovi amici, affezionarsi a qualcuno, e confidarsi. Sente di non essere all’altezza delle situazioni, delle persone, delle aspettative che crede di dover rispettare. Non si piace e ormai si è convinta che anche agli altri non piaccia. Marta è una ragazza di 14 anni che combatte da qualche mese contro sé stessa nonostante molti le ripetano quanto sia bella, lei non ci crede e anzi, non sopporta sentirselo dire. Certo, da quando ne ha memoria può dire di non essersi mai piaciuta, ma questo non le aveva impedito in passato di vivere la sua infanzia, creare amicizie e divertirsi. Poi è bastato un giorno, un momento, un istante neanche troppo definito, in cui qualcosa si è rotto, e da una piccola crepa si è aperta una voragine, che l’ha risucchiata improvvisamente in un baratro da cui non riesce ad uscire.
I disturbi alimentari sono infidi e vigliacchi. Non sempre si mostrano agli altri, ma chi ne soffre sente di non riuscire a farne a meno. Diventano rifugio e cura, ma sono in realtà dei narcisisti patologici. Ti adulano, ti fanno sentire importante, forte, indipendente, ti seguono sempre, anche quando vorresti liberartene, sono accanto a te. Ti convincono che senza di loro non saresti la stessa persona, quasi come se loro stessi arrivassero a definirti. Ti manipolano, ti controllano, ti distruggono. Marta aveva smesso di nutrirsi da qualche mese, il ciclo era scomparso e il peso stava calando drammaticamente. Mangia ormai sempre meno.
Durante la quarta ora chiede di andare in bagno, ma è solo il pretesto per uscire dall’aula. Fruga nello zaino in cerca di monete per un caffè e si avvia verso la macchinetta. Sorseggiando il caffè si ritrova ad ammirare i dolci del distributore, le varie merendine, le patatine. Non ricorda da quanto non mangia un pezzo di cioccolata, e a volte si ritrova a pensare al giorno in cui riuscirà a mangiarla di nuovo, ma per ora sembra un sogno. Il cibo la spaventa, ha il terrore di ingrassare, e crede che su di lei abbia un effetto diverso. Marta vede mangiare le altre persone e non si capacita di come riescano ad essere tranquille. Lei conta tutte le calorie, anche delle gomme da masticare, la sua mente è perennemente impegnata a pensare al cibo, a come evitarlo o a pentirsi delle poche calorie assunte. Dopo aver mangiato con gli occhi il kinder bueno esposto nel distributore automatico, torna in classe.
Ore 13:30. Arrivata a casa subito un pensiero la tormenta: per pranzo ceci. Come fare a mangiarne 50 grammi? Come può contare le calorie senza conoscere il peso della portata? Prova a tranquillizzarsi e cerca di convincersi che 100 ceci possono bastare, forse sono troppi? Decide comunque che ne mangerà solo 100. Passa il pranzo in completo silenzio, cercando di infilzare i ceci uno alla volta, massimo due, in modo da non perdere il conto. La malsana meticolosità con cui porta a termine il pasto non è bastata a evitare i sensi di colpa, che puntualmente si fanno vivi.
Marta convive con una costante guerra dentro. È come se in lei due personalità contrastanti litigassero costantemente, fino a che una delle due non ne esca vincente. Ormai da qualche tempo la parte oscura aveva la meglio, e a poco a poco stava prendendosi tutto. I disturbi alimentari, nonostante la diffusa ignoranza in materia, nulla hanno a che fare con vizi o capricci o ricerche di attenzione e hanno scontato e scontano spesso, a causa di queste convinzioni, la pena dell’esclusione dalla categoria delle malattie mentali, finendo ad essere sottovalutate, e sminuite senza possibilità di accesso a cure adeguate e soprattutto gratuite. Marta non ricerca attenzioni, o forse non più. Non è escludibile che la sua insicurezza, la sua sensibilità e il suo bisogno di amore abbiano giocato un ruolo primario nello sviluppo del disturbo, ma con il tempo certe dinamiche si insinuano nei pensieri, modellano i gesti e le idee, si radicano e ti appartengono fino al punto in cui è impossibile definirne i contorni e comprendere quale sia stato il loro fattore scatenante. Marta non ricorda più come fosse la sua vita prima di ammalarsi, quali pensieri facesse prima, come riuscisse a mangiare senza contare i ceci, come riuscisse ad evitare di pensare costantemente al modo in cui vomitare il pranzo.
Ore 17. Marta sa di non avere più con i suoi 39 kg, le forze di seguire una lezione di danza. Ha freddo, ha fame, e teme di svenire da un momento all’altro ma non vuole rinunciare a quel momento di normalità, non riesce a rinunciare alle cose che ama. A fatica conclude la lezione, tra orecchie tappate, crampi ai piedi, battiti del cuore rallentati e soprattutto dopo aver trattenuto le lacrime guardandosi riflessa allo specchio.
Il sabato sera di solito esce con le sue amiche per mangiare una pizza e fare una passeggiata. Vive in una piccola cittadina di pochi abitanti. Non c’è molto da fare, pochi locali, qualche pizzeria, tanta noia e solo una piazza punto di incontro dei ragazzi ma uscire qualche ora con le amiche è sicuramente preferibile all’opzione di restare a casa il sabato sera. “Stasera mangio fuori” urla frettolosamente alla madre rientrando a casa dalla lezione di danza. Percepisco la paura negli occhi della donna. Una mamma amorevole e preoccupata, una mamma impotente e furiosa con la malattia della figlia, che prova a decifrare e comprendere quasi come volesse combatterla al posto della figlia. Uscire per cena è un’occasione ottima per evitare di mangiare. Basta fingere di aver già cenato, così da darla vinta alla malattia.
Marta ha combattuto per oltre 14 anni infinite battaglie con i disturbi alimentari. Per tutto questo tempo ogni giorno, ogni minuto il pensiero ossessivo del cibo l’ha accompagnata. Nel corso di questi anni la malattia è diventata sempre più forte, e molte battaglie le ha vinte il disturbo alimentare. Abbuffate, digiuni, autolesionismo, pensieri ossessivi e depressione l’hanno spinta giù da un burrone e Marta sul fondo inerme ha cercato una via d’uscita scavando con le unghie ancora più in profondità. Quando sei sul fondo a volte può sembrare più semplice continuare a scavare, ma è sempre meglio alzare gli occhi e provare a risalire in superficie. Così un giorno dopo infinite battaglie Marta ha vinto la guerra. Non esiste una formula magica, né una medicina, né un percorso univoco valido per tutti, ognuno deve seguire il proprio percorso di guarigione, che molte volte è tanto duro, impervio, e doloroso quanto lunga è stata la malattia. L’aiuto esterno è fondamentale, l’amore aiuta, la famiglia che ti sostiene è importante, comprendere subito i segnali del disturbo è senza dubbio il primo passo per iniziare un percorso di guarigione, ma tutto questo non basta. Gli infiniti stimoli esterni che hanno avvolto e protetto Marta non sono riusciti da soli a salvarla, per quanto senza alcun dubbio l’abbiano sorretta come stampelle in ogni istante. Ma per camminare da soli è necessario trovare la volontà e la forza estrema di zittire quella voce dentro che ti impedisce di mangiare per paura di ingrassare, che ti costringe ad andare al supermercato e comprare centinaia di merendine con cui provare a riempire il vuoto, che ti convince che è il disturbo a definirti. Bisogna urlare più forte di quella voce, perché sei tu che definisci te stesso e hai dentro di te tutte le potenzialità per essere felice.
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Questo articolo,
mi ha emozionata al punto di farmi scendere le lacrime.
Questo argomento dovrebbe essere affrontato da professionisti competenti nelle scuole
Solo così si possono aiutare le persone che percorrono questo tunnel. In questo paese c’è un medico di famiglia a cui rivolgersi per il mal di schiena, di denti, di testa. Non c’è nessunoo o quasi a cui rivolgersi per questo dolore-malattia
Buona vita
Concetta Paone