Nuove elezioni in Spagna: la politica finisce all’angolo

In questi ultimi anni, abbiamo potuto osservare un radicale cambiamento nella dinamica politica un po’ in tutta Europa. Dalla Gran Bretagna con la Brexit, all’Italia con il Movimento 5 Stelle fino ad arrivare alla stessa Germania, che osserva in questi anni un lento declino della CDU di Angela Merkel, saldamente al potere dal 2005.

Tuttavia, una menzione particolare la merita la Spagna. Questo paese sta sperimentando, dopo molti anni, un’instabilità politica senza precedenti nella sua storia e forse persino nella storia delle democrazie occidentali. Infatti, il 24 Settembre è stata dichiarata la fine della XIII Legislatura, una delle più brevi in assoluto. Questo significa che il paese si dovrà preparare ad indire nuove elezioni, le seconde in sette mesi e le quarte in quattro anni.

Tornare alle urne così frequentemente indica che qualcosa si è rotto all’interno del meccanismo istituzionale spagnolo, che la politica non è più in grado di comprendere e dare voce alla società che la esprime. 

Ma quali sono stati gli eventi che hanno portato la Spagna a prendere questa direzione? Cosa è cambiato rispetto ai tempi in cui i principali partiti, il Partito Socialista e il Partito Popolare, si alternavano tranquillamente al governo?

Forse dalla situazione spagnola possiamo trarre lezioni più generali, valide anche per il nostro paese e per tanti altri.

Introduzione ai sistemi partitici

Per capire quello che è successo in Spagna dobbiamo prima comprendere cos’è un sistema partitico, quali possono essere le sue caratteristiche e in che modo queste influenzano la stabilità o l’instabilità politica di un paese.

In breve i sistemi partitici sono quegli insiemi di partiti (cioè di gruppi politici che si presentano alle elezioni) che compongono un’assemblea rappresentativa. Quando andiamo a considerare il numero di partiti presenti è importante non fermarsi alle apparenze e andare a contare solo i partiti “che contano”, secondo un’espressione cara al politologo Gianfranco Pasquino.

In questo senso, i partiti che contano sono solo quelli che hanno la possibilità di influenzare in modo diretto o indiretto la dinamica parlamentare. Un partito che conta dispone di un potenziale di coalizione, cioè la sua presenza è necessaria per formare una maggioranza di governo, o di un potenziale di ricatto, ovvero la possibilità di influenzare fortemente l’opinione pubblica anche fuori dal parlamento (un esempio è il PCI in Italia durante la Prima Repubblica).

In base al numero di partiti potenzialmente rilevanti, possiamo stabilire diverse tipologie di sistema partitico: sistema a partito predominante, pluralismo semplice (o bipartitismo),pluralismo moderato o pluralismo estremo.

Nuove elezioni in Spagna: quando la politica finisce all'angolo
Rajoy (a sinistra) e Sanchez (a destra) sono stati i leader rispettivamente del Partito Popolare e del Partito Socialista, i due partiti “rilevanti” della Spagna fino al 2015.

La Spagna presentava un pluralismo piuttosto semplice, almeno nel passato. Due erano infatti i partiti rilevanti: il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) e il Partito Popolare (PP).

Il pluralismo semplice, nel quale possiamo includere anche la Gran Bretagna di qualche anno fa, è un sistema particolarmente stabile perché ognuno dei due partiti è quasi sempre in grado di formare un governo senza formare coalizioni e quindi potenzialmente meno in balia di negoziazioni e “giochi di potere”.

La Spagna può essere quindi considerata un esempio abbastanza fedele al modello bipartitico dal 1982 al 2015. Infatti, in questi decenni, il PSOE e il PP hanno potuto alternarsi al potere, seppur con il sostegno momentaneo di nazionalisti Baschi e Catalani o di altri partiti minori.

I cambiamenti dal 2015 ad oggi

Il 2015 è stato tuttavia un anno di svolta per la Spagna e per il suo precedente sistema fondato sull’alternanza. I cambiamenti principali sono imputabili all’ascesa di nuovi attori, che subito non hanno tardato a far sentire il proprio peso all’interno delle Cortes, cioè le Camere spagnole.

Inizialmente i due nuovi partiti che si sono affacciati sono stati Podemos e Ciudadanos, entrambi considerabili come partiti “populisti”. Il primo, erede del movimento degli Indignados, si rifà alla tradizione del socialismo democratico spagnolo, ai valori della sinistra e alla democrazia diretta. Il secondo, invece, è un partito di centro progressista, laico ed europeista.

Entrambe le formazioni, similmente all’esperienza italiana del Movimento 5 Stelle, hanno sfruttato una retorica anti-casta ed anti-sistema per suscitare nell’elettorato un bisogno di novità e di cambiamento. I principali elementi che hanno favorito quest’ascesa sono stati sicuramente la crisi economica del 2008 e la questione delle autonomie locali.

Alle elezioni del 2015, il primo e il secondo partito furono sempre gli storici PSOE e PP, ma incalzati da vicino dai due nuovi movimenti populisti. In quei giorni Iglesias, il leader di Podemos, aveva affermato che “oggi è morto il bipartitismo, nasce una nuova Spagna”. Certamente, a quattro anni di distanza, non gli si possono dare tutti i torti.

Come accade sempre in questi casi, la composizione elettorale dei nuovi partiti evidenziava una sovrarappresentazione dei giovani, che avevano particolarmente sofferto la disoccupazione durante la crisi economica.

Da quelle elezioni non nacque alcun governo, per l’impossibilità di formare una maggioranza abbastanza stabile e ciò comportò che Mariano Rajoy rimanesse in carica per sbrigare gli affari correnti fino alle successive elezioni del 2016.

Queste ultime elezioni non hanno completamente eliminato i vecchia partiti, che infatti sono ancora ad oggi presenti nel panorama elettorale, semmai li hanno ridimensionati ed hanno costretto Rajoy a formare una nuova maggioranza di governo con Ciudadanos, molto meno stabile delle precedenti.

Dopo l’arresto di alcuni deputati del Partito Popolare per corruzione nel 2018, il cosiddetto “caso Gurthel”, Ciudadanos ha infatti deciso di uscire dall’alleanza di governo e di chiedere nuove elezioni. In quel frangente, in seguito alla sfiducia di Rajoy, fu Sanchez ad ottenere la possibilità di formare un governo.

Nuove elezioni in Spagna: quando la politica finisce all'angolo
Il partito Vox è nato ormai da diversi anni. Solo alle ultime elezioni, tuttavia, è riuscito ad entrare in Parlamento. Al centro del suo pensiero politico vi è un forte senso di unità nazionale

L’emergere della crisi catalana dal 2017 in poi, durante la quale il governo regionale catalano promosse un referendum per l’indipendenza, fu un altro dei momenti che possono spiegare il cambiamento della società e della politica spagnola.

Infatti, proprio in risposta questa drammatica situazione, nacque da alcuni scissionisti del PP, Vox, un nuovo partito di estrema destra che si è recentemente affermato nel Parlamento.

Questo partito, nazionalista e xenofobo, ha fatto dell’unità nazionale il centro della sua ideologia, sia nei confronti delle autonomie locali che nei confronti dell’immigrazione. Unisce a questi aspetti un europeismo molto moderato in politica estera ed un orientamento decisamente liberista in economia.

Le ultime elezioni

Finora le ultime elezioni sono state quelle dell’Aprile 2019, che hanno visto una secca sconfitta del PP e un deciso rafforzamento del PSOE di Sanchez. Queste elezioni hanno comportato, tuttavia, anche l’ingresso del partito di estrema destra Vox, con un importante 10% delle preferenze e 24 deputati.

La prassi politica spagnola è poco propensa a formare alleanze di governo durature, proprio perché è rimasto forte il ricordo del bipartitismo. Per questo motivo, nel momento in cui il sistema bipartitico scompare, gli esecutivi cominciano ad essere preda di instabilità sempre più gravi.

Dopo le elezioni di Aprile, infatti, era necessario trovare una nuova maggioranza di governo e l’alternativa più credibile era quella socialista, tra PSOE e Podemos. Ma perdurando una situazione di “sfiducia reciproca”, come l’ha definita Sanchez, il re Felipe IV non ha potuto fare altro se non constatare l’assenza di una maggioranza di governo.

Il populismo: una risposta sbagliata ad una domanda giusta

Molti dei “mali”, se così vogliamo definirli, che affliggono l’attuale politica occidentale, spagnola come italiana, inglese e tedesca, sono riconducibili in un modo o nell’altro al concetto di populismo. Esattamente, cos’è il populismo?

Già Peter Wiles, nel 1969, scriveva: «A ognuno la sua definizione di populismo, a seconda del suo approccio e interessi di ricerca». Un concetto quindi rimasto sempre piuttosto vago ed indefinito, un’etichetta spesso dispregiativa da affibbiare al nemico politico di turno.

Questo utilizzo estremamente ambiguo del termine ha avuto perciò il vantaggio di poter essere utilizzato per definire movimenti e partiti su tutto lo schieramento politico. Sono stati etichettati come populisti: il M5S, Podemos, Ciudadanos, la Lega di Salvini, il Brexit Party, Bolsonaro in Brasile, Trump negli Stati Uniti, Linke, Sanders e persino Renzi.

Diciamo che fondamentalmente, al di là di tutte le differenze, il filo conduttore è un certo atteggiamento da popolo contro élite che serve ad avere un’immediata presa nei confronti degli elettori.Le élite possono essere identificate di volta in volta in diversi attori: gli intellettuali (i “professoroni”), la “casta”, l’Europa, Merkel, le banche, le ONG e tanti altri.

Il punto vero della questione è però un altro e molto più problematico: che in parte i populisti hanno ragione. Hanno ragione nel senso che danno voce ad una sofferenza estremamente reale e condivisibile, che molti strati della popolazione effettivamente sentono sulla propria pelle. I partiti tradizionali sono sentiti come distanti, ambigui ed opportunisti. Queste classi dirigenti si sono formate in un tempo che non c’è più: un tempo di crescita economica, di ottimismo e di una società forte ed unita.

In Spagna, il PSOE e il PP sembrano non essere in grado di imparare la lezione: serve ricostruire un nuovo modello di politica che sia in grado di comprendere ciò che la gente “comune” vive sulla propria pelle, ma che sappia anche orientarla e indirizzarla in modo maturo ed intelligente. La famosa funzione pedagogica del Parlamento della quale già parlava Bagehot nel 1867, funzione che al giorno d’oggi è praticamente defunta.

Nuove elezioni in Spagna: quando la politica finisce all'angolo
Il populismo è stato spesso considerato più un atteggiamento che un preciso orientamento politico: un modo di esprimersi e comunicare che punta a solleticare istinti viscerali, ma che non offre alternative credibili

Da un lato i partiti tradizionali mantengono un distacco altezzoso dagli strati più bassi della popolazione, dall’altro i populisti ne cavalcano opportunisticamente ossessioni, paranoie e pulsioni profonde.

Serve insomma qualcuno o qualcosa in grado di ascoltare le necessità autentiche dei propri cittadini, ma anche in grado di soddisfarle con prospettive a lungo termine, facendo progetti ad ampio respiro.

Finché la classe politica non sarà in grado di raccogliere la sfida, e non è detto che lo sarà mai, scenari come quello spagnolo saranno destinati ad essere sempre più frequenti.

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