Vincitore della Palma d’Oro 2019 e di ben quattro Premi Oscar, il lungometraggio coreano firmato Bong Joon-ho si conferma ancora, a circa due anni di distanza dalla sua distribuzione, come uno dei prodotti cinematografici più attuali e veritieri mai portati sul maxischermo internazionale. Parasite: tra cinema e realtà Direttore Claudio Palazzi

Il regista sudcoreano, che già in passato aveva posto l’accento su tematiche sociali ed attuali come i cambiamenti climatici e l’alimentazione in opere quali “Snowpiercer”(2012) e “Okja”(2017), decide ora di approcciarsi ad un tema ancor più sensibile: le differenze ed i disagi tipiche della società capitalista.

Quello che a primo impatto può presentarsi agli occhi dello spettatore come un semplice storytelling incentrato su due famiglie sudcoreane socialmente agli antipodi, nasconde in realtà un duro e crudo spaccato sulla società contemporanea, sulle sue contraddizioni e sulle sue ingiustizie.

L’eterogeneità dei valori e la critica sociale

Lo scenario su cui Parasite si fonda è uno scenario cinico, concreto, che non lascia scampo all’immaginazione: è la dura e cruda realtà della società sudcoreana, caratterizzata da profonde fratture sociali ed una distribuzione della ricchezza sicuramente non omogenea.

E’ la storia di due famiglie, specchio di due mondi opposti ma appartenenti alla medesima realtà: la famiglia Kim, posta ai margini della scala sociale, che ogni giorno scende a compromessi per assicurarsi una migliore e mai scontata sopravvivenza; la famiglia Park, che al contrario gode di un grande prestigio sociale insieme al piacere di poter condurre una vita più che agiata, lontana dalle preoccupazioni e dalle sfide di chi invece combatte per potersi anche solo permettere 2 pasti al giorno.

Il contrasto tra i due nuclei familiari appare sin da subito piuttosto marcato ed insanabile: la famiglia Kim, residente in uno scantinato della periferia di Seoul, fa dell’astuzia, dell’adattamento e della complicità le sue qualità più importanti. La famiglia Park invece, che risiede in uno dei quartieri più ambiti dall’elitè della società, fonda la propria essenza sull’apparenza, l’educazione, la cultura: ovviamente accompagnati da un solido e allo stesso tempo celato senso di superiorità e disprezzo nei confronti di chi, come la famiglia Kim, non è riuscita a risalire dal baratro della povertà e dell’esclusione sociale.

Nello scorrere della narrazione non mancano sicuramente situazioni contraddittorie e spesso paradossali, piuttosto frequenti anche nella vita di tutti i giorni.                              Basti pensare che per quanto diverse ed opposte, le due famiglie riusciranno ad avere un punto d’incontro nell’ambito lavorativo grazie ad una corretta e astuta prima impressione da parte di Ki-Woo, primogenito della famiglia Kim, a sua volta raccomandato precedentemente alla famiglia Park da un ex collega universitario, conosciuto dallo stesso Ki-Woo prima della rinuncia agli studi per questioni economiche.

Raccomandazione, pregiudizi, “maschera sociale”, opportunismo così come guerra fra poveri e più in generale lotta di classe, sono i temi che più contraddistinguono il background della sceneggiatura.                                                                                      Lo scopo di Bong Joon-ho è piuttosto chiaro: il regista, attraverso l’incontro tra le due famiglie, cerca di mettere in risalto come la percezione di vita, i valori, i giudizi nonché la quotidianità stessa in generale, spesso varino e ci caratterizzino tanto nella forma quanto nella sostanza, a seconda del contesto in cui siamo immersi.

Le analogie con la realtà

Quella di Parasite è una narrazione disincantata, in cui non ci sono buoni o cattivi: esattamente come nella vita reale, appartenere almeno formalmente ad una categoria sociale non significa necessariamente essere portatori di determinati valori.

Trovarsi sulla soglia della povertà e dell’emancipazione sociale non comporta essere magnanimi o empatici con chi si ritrova nella nostra stessa situazione: non a caso, la famiglia Kim non ha alcuno scrupolo nel sostituirsi al precedente entourage presente in casa Park, sfruttando la propria astuzia e metodi che potremmo definire non convenzionali; probabilmente come chi, di fronte ad una prospettiva di promozione lavorativa, non ha problemi ad accaparrarsi meriti non propri o sminuire i relativi colleghi.

Curioso d’altra parte, è anche come l’apparenza molto spesso superi la sostanza: ritornano con forza il tema della maschera e della prima impressione, spesso portati all’esasperazione dal regista, che non manca di intrattenere lo spettatore con scene incentrate sui diversi componenti della famiglia Kim alle prese con la recitazione dei relativi copioni, quasi fossero veri e propri attori. Un tema questo, straordinariamente attuale ed oggi ancor più esplicito non solo nell’ambito lavorativo, ma anche e soprattutto in quello sociale: grazie ai social networks ed in generale alle diverse piattaforme online, spesso è possibile alterare la percezione altrui di noi stessi, fino a modificarla integralmente.

Piuttosto importante anche se posta in secondo piano, è la figura di Min-Hyuk, ex collega universitario nonché amico benestante di Ki-Woo: sarà proprio la sua raccomandazione infatti ad aprire una nuova prospettiva di vita per la famiglia Kim, che fino ad allora non aveva mai potuto cogliere, per quanto inseguita e desiderata. Min-Hyuk rappresenta in pieno la personificazione di quell’opportunità che spesso, soprattutto per i meno privilegiati, stenta a presentarsi e che, quando lo fa, può cambiare radicalmente la vita.

Riflessioni e considerazioni

Parasite ha il merito di soffermarsi su una realtà spesso ignorata, quella degli “ultimi”, approcciandola con uno spiccato realismo, senza la necessità di associarla a valori moralmente superiori o pregiudizi inconsci.

Quella di Bong Joon-ho è un’opera di denuncia che si concentra non solo sulle differenze sostanziali tra i due ceti opposti della società, ma anche su tutte le conseguenze comportamentali e mentali che una tale forbice sociale impone agli individui che la subiscono.

Il risultato è quello di uno spettatore incapace di immedesimarsi pienamente in un personaggio specifico, più attento invece alla comprensione delle diverse situazioni che si susseguono.

Pregi e difetti dei protagonisti, di conseguenza, non risultano assoluti ma relativi: sta al singolo spettatore identificarli e giudicarli, ormai consapevole del peso rappresentato dal contesto che li caratterizza, esattamente come spesso accade con le persone nella vita quotidiana.

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