“Obscurum per obscurius, ignotum per ignotius.”
[Verso l’oscuro per mezzo del più oscuro, all’ignoto attraverso ciò che è ancora più ignoto].
Detto alchemico

Potrebbe sembrare assurdo, se non ridicolo, parlare di alchimia e di esoterismo al giorno d’oggi: ci vantiamo di vivere in una società civilizzata retta dai principi dettati da un’algida logica razionale, la scienza moderna fa passi da gigante sotto i nostri occhi, dall’illuminismo in poi le nostre coscienze sono state “risvegliate” dal sonno torbido indotto da credenze fittizie, superstizioni e soprattutto…magia. Eppure, e forse proprio in virtù di questa condizione, serpeggia e si fa strada tra di noi un gusto dilagante per l’occulto e tutto ciò che contravviene alle leggi della scienza razionale.

A spasso per Roma…
Abbandonati i circuiti turistici noteremo che le strade di Roma, agli occhi di un vero esploratore, nascondono molti più enigmi di quanto un’occhiata superficiale possa rivelare. Simboli oscuri, stemmi indecifrabili, iscrizioni, icone…tracce di un’umanità che non guardava alla magia come ad un’insensata sciocchezza da feste di compleanno per bambini, ma piuttosto come un modo alternativo, una lente per osservare il mondo da un’altra prospettiva.

La porta magica di Piazza Vittorio Emanuele

Da qualche parte doveva pur iniziare il nostro viaggio, e quale miglior modo per immergerci in un’altra dimensione se non da una porta?
Sita sul colle Esquilino, nei giardini di piazza Vittorio, un tempo in aperta campagna, sorgeva la maestosa Villa Palombara, ma, a dispetto della sua grandiosità, oggi a testimoniare la sua esistenza rimane soltanto quella che i romani conoscono come “la porta magica” o “la porta dei cieli”. L’edificio fu eretto tra il 1655 e il 1681 per volontà di Massimiliano Savelli Palombara, marchese di Pietraforte e appassionato di esoterismo e alchimia. I suoi interessi lo portarono a intrecciare una fitta rete di legami con l’élite dell’Europa di quegli anni tanto che la sua dimora fu luogo di ritrovo abituale per regnanti e dotti della neonata Accademia dei Lincei di Roma che nel frattempo patrocinava la ricerca scientifica di Galilei (a conferma di quanto il confine tra Scienza e superstizione fosse labile). Roma all’epoca pullulava di alchimisti e la cattiva fama di questa categoria deriva dal fatto che molti tra di loro erano principalmente cialtroni ben determinati ad arricchirsi giurando di possedere il segreto per l’Opera (la pietra filosofale, un amuleto capace di tramutare i metalli in oro, o di produrre l’elisir di lunga vita). La leggenda racconta che una notte la villa ospitò tra gli altri un singolare avventore, un insigne alchimista dell’epoca noto come Francesco Giuseppe Borri, già accusato dall’Inquisizione, che tra le mura dell’abitazione romana sintetizzò il procedimento per la fabbricazione della Pietra Filosofale dileguandosi subito dopo e lasciando ai posteri soltanto qualche manoscritto con formule e simboli indecifrabili. Dopo ripetuti ma inutili tentativi di interpretazione delle astruse iscrizioni il marchese Palombara dovette darsi per vinto e stabilì che il contenuto del prezioso volume fosse scolpito sulle cinque porte di accesso alla villa, di cui oggi rimane un’unica superstite. Trovandoci di fronte a questo reperto potremo rintracciare geroglifici egizi, simboli alchemici in riferimento alla sequenza dei pianeti e dei metalli ed epigrafi latine dal significato enigmatico, tra le più bizzarre una recita “si sedes non is”. Si tratta di un motto bifronte, ovvero letto da destra o sinistra acquisisce due significati differenti: “se siedi non vai” o “se non siedi vai”. Un insolito rompicapo o piuttosto un saggio ammonimento ai curiosi…

La sedia del diavolo

Lungo la via Nomentana antica, nel cuore del quartiere Trieste, campeggia un singolare rudere di epoca Antonina risalente al II sec d.C.: si tratta della tomba di Elio Callistio, un liberto dell’imperatore Adriano. Nei secoli il monumento ha modificato a tal punto il suo aspetto architettonico tanto da acquisire le sembianze di una magniloquente cattedra vescovile che è stata ribattezzata “Sedia del Diavolo”. Non si tratta di un attacco al clero romano quanto piuttosto di un riferimento agli occulti eventi che si svolgevano nei paraggi della misteriosa costruzione. Infatti, a causa della sua conformazione “a sedia”, dovuta al crollo della facciata anteriore, la rovina fu per secoli rifugio di vagabondi e prostitute della capitale che fomentarono la nascita e la diffusione di leggende circa gli eventi mefistofelici che si svolgevano all’interno: così i fuochi notturni accesi dagli sfortunati avventori per contrastare il gelo diventavano la testimonianza di riti satanici e sabba infernali a opera di streghe e maghi. A incoraggiare ulteriormente la circolazione di queste leggende metropolitane fu la posizione del reperto collocato in un’area che, da secoli, vantava la fama di essere il “quartier generale” di Lucifero per via dei fenomeni vulcanici e delle eruzioni di magma che non erano infrequenti presso la valle dell’Aniene. Negli anni la superstizione popolare dei locali timorati di dio diede vita alle più disparate leggende sul conto dei poteri oscuri del monumento, tra le più estrose, quella legata alle capacità taumaturgiche e curative della polvere dei laterizi della costruzione che veniva impiegata per la distillazione di elisir miracolosi. Dal 1958 la piazza ha riacquisito il toponimo antico intitolato a Elio Callistio; tuttavia, le leggende diaboliche continuano ad accendere l’entusiasmo dei visitatori più temerari.

La tomba maledetta di Nerone

Ci troviamo nel cuore del centro storico di Roma, incalzati dalle folle di turisti ci facciamo strada proseguendo verso Piazza del Popolo, forse tra le più suggestive dell’intera capitale. Il suo fascino spesso impone che si rimanga in estasi accasciati ai piedi dell’obelisco Flaminio ad ammirare da un lato la verdeggiante terrazza del Pincio con il suo monumentale belvedere e dall’altra la fontana della dea Roma del Valadier. Ad un angolo della piazza, come una gemma incastonata tra le rovine, campeggia la chiesa di Santa Maria del Popolo. Il primo nucleo della basilica fu edificato nel 1099 per volontà di papa Pasquale II, uomo decisamente superstizioso, che con questo atto tentava di debellare la città di Roma dalle profezie nefaste che vi si erano abbattute proprio a causa di questo sito maledetto. La leggenda raccontava infatti che ai piedi del Pincio, nei pressi di un bosco di pioppi (populus in latino, da cui deriverebbe per giunta il nome della basilica), si celava il luogo dove erano state seppellite le ceneri dell’imperatore maledetto per eccellenza, Nerone: così inviso al popolo e al senato romano che, nel tentativo di liberarsi di qualsiasi reperto potesse testimoniarne l’infausto governo, lo condannò alla damnatio memoriae. In città si era diffusa la diceria che l’imperatore sarebbe tornato dagli inferi a tormentare i romani incarnandosi nell’Anticristo; perciò, l’edificazione della basilica cristiana in corrispondenza della tomba di Nerone voluta dal pontefice fu l’equivalente di un esorcismo con cui si scongiurava la possibilità che la disgraziata profezia si avverasse. Così il boschetto di pioppi fu raso al suolo e le ceneri dell’imperatore, con ogni probabilità, gettate nel Tevere…per nostra fortuna in questo caso la leggenda diabolica ha contribuito alla costruzione di un edificio che custodisce alcuni capolavori artistici del ‘500 e ‘600 del Caravaggio e Raffaello.

Museo Kircheriano

Il nostro viaggio si conclude in un luogo che per decenni ha rappresentato il fulcro dell’esoterismo nella capitale: il Museo Kircheriano. Fondato nel 1651 dal padre gesuita Athanasius Kircher nella sede del collegio romano, il museo vantava una strabiliante collezione di oggetti e bizzarrie di ogni genere afferenti ai più disparati campi del sapere e si classificava per l’epoca quale “Wunderkammer”, ovvero “camera delle meraviglie”. Reperti scientifici, pietre e amuleti, resti di animali estinti, coccodrilli impagliati, conchiglie con madreperle vistosissime affollavano le pareti e gli scaffali di questa sorta di Disneyland ante litteram. Athanasius Kircher era uno studioso versatile ed eclettico che nella sua carriera si era interessato alla matematica, fisica, astrologia e aveva condotto degli studi anche in ambito alchemico. La preziosa collezione custodita nel suo gabinetto delle curiosità, a cui soltanto pochi fortunati avevano accesso, era una straordinaria commistione di scienza, magia e soprannaturale. Ma lo scienziato gesuita non si limitava a collezionare reperti bensì li realizzava personalmente e tra le sue creazioni più singolari figura la cosiddetta “lanterna magica”, uno strumento che permetteva di proiettare immagini dipinte sulla parete di una stanza buia, una lontana parente della camera oscura, il cui perfezionamento portò alla nascita della cinematografia moderna. La collezione fu dispersa e smembrata nel corso del 1700 a seguito della soppressione dell’ordine dei Gesuiti, e molti dei pezzi più pregiati alimentarono il nucleo dei musei romani. Gli edifici dell’ordine, incluso il museo kircheriano, furono espropriati e divennero proprietà dello stato. Oggi, a testimoniare quello che doveva essere l’aspetto favoloso del museo rimangono soltanto incisioni e disegni che ci trascinano in un’atmosfera senza tempo in cui realtà e finzione si combinano senza soluzione di continuità.

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