Una cattedrale nel deserto

Le origini nel XIV secolo 

Nato per ospitare le suore appartenenti all’ordine delle Clarisse, questo Monastero appare oggi quasi spettrale agli occhi del passante. Le Clarisse si trovavano già a Sezze nel 1313, ma solo al 1556 risalgono le fonti che ne attestano la costruzione. La fondazione del Monastero risale a  quella stessa data e avvenne sulla struttura preesistente. 
Grazie alle importanti famiglie del paese, principalmente quella dei Normisini il Monastero poté prosperare.
L’edificio, a pianta circolare, è a tre piani e presenta cento vani e tre cortili interni. Sisto V (1521-1590) visitò il Monastero. Carlo da Sezze (1613-1670),  inoltre, secondo la leggenda vi cadde in estasi mentre si trovava in preghiera.

l’interno del Monastero allo stato attuale


I lavori dell’edificio terminarono forse nel 1603. L’iscrizione in capitale sull’architrave riporta  “Venerandus est locus iste in quo orant virgines Christi 1603”. Compare un’altra iscrizione successiva, del 1706:Virgines ducens acies seraphica mater hanc proprio signat lumine Clara dominum MDCCVI”. Quest’ultima iscrizione è incisa sul timpano d’ingresso.
Queste importanti fonti confermano i numerosi i lavori a cui il Monastero fu sottoposto nel corso degli anni.

L’abbandono definitivo

Il Monastero venne soppresso nel 1870, ma le suore vi tornarono solo dopo pochi anni. L’abbandono definitivo avvenne negli anni Novanta. Già da tempo la struttura necessitava di un ingente lavoro di restauro, in quanto non favorevole. Le problematiche portarono al trasferimento delle suore nella provincia di Latina (a circa 20 km da Sezze), dove la struttura pronta ad accoglierle si mostrava più agevole e confortevole.
Dagli anni Novanta del secolo scorso l’edificio, uno dei tanti monumenti storici di Sezze Romano, è abbandonato a sé stesso.
La Delegazione FAI di Latina già lo scorso anno aveva proposto una giornata dedicata al recupero dell’antico Monastero, tuttavia l’edificio è ancora una realtà invisibile. 

“Valorizzare il patrimonio culturale del Lazio e considerare la bellezza come base per lo sviluppo del territorio, dell’economia e del turismo – sostiene il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti – sono le idee ispiratrici della legge regionale del 2016 che ha costituito la “Rete delle dimore storiche del Lazio” e dello stanziamento di importanti risorse per la manutenzione e il recupero degli edifici storici. Lo facciamo in primo luogo perché convinti che sia nostro dovere lasciare alle generazioni future le ricchezze che abbiamo avuto la fortuna di ereditare, ma anche perché siamo impegnati nella costruzione di un nuovo modello di sviluppo, nel quale il rilancio del patrimonio culturale è un cardine fondamentale”.

La condivisione per una valorizzazione storica e artistica

Esiste una sorta di classifica dove in cima vengono poste le opere – di Da Vinci, Caravaggio o Donatello – ritenute, in qualche modo, “maggiori” o più importanti rispetto alla piccola cattedrale di un piccolo borgo medioevale quasi invisibile, ma allo stesso tempo pieno di memoria storica. Ma cosa serve, davvero, ad un’opera d’Arte storicamente importante, per essere ritenuta tale?

 Vittorio Sgarbi,  il noto critico e storico dell’arte qualche anno fa affermava:
“la bellezza è quello che muove nel cuore delle persone un sentimento di armonia, di felicità, la bellezza salverà il mondo; ciò vuol dire che la bellezza è condivisa, quindi non può essere soltanto per me”.
Una qualsiasi opera artistica che traccia, infinitamente nel tempo, una memoria storica, necessita di essere condivisa. Una memoria convidisa che diviene collettiva è necessaria per il risveglio di una consapevolezza.

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