Tossicodipendenza: un problema che da anni crea troppe preoccupazioniTossicodipendenza e Centri di recupero Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Oversodi e ricoveri per droga e sostanze psicoattive ancora in crescita. In aumento i cedessi e raddoppiate le diagnosi tardive di Aids. Queste sono solo alcune delle preoccupazioni generali che risuonano al Parlamento italiano secondo i dati statistici dell’ultimo anno sulla tossicodipendenza.

La pandemia non ha di certo aiutato. Le condizioni psicofisiche di molti tossicodipendenti sono sicuramente peggiorate con lo stress degli ultimi due anni. Il consumo di stupefacenti di ogni tipo aumenta a vista d’occhio e la sua circolazione nel Paese continua quasi incontrollata. Dati statistici allarmanti vengono comunicati dalle maggiori agenzie nazionali ed europee. Le soluzioni, ad oggi, sono ancora marginali.

Il termine “tossicodipendenza” indica una grave condizione patologica che implica la necessità assumere particolari sostanze che provochino euforia o piacere. La dipendenza, nei soggetti che ne fanno uso abituale, è prevedibile. L’abuso di queste sostanze, a lungo termine ma talvolta anche a breve, può provocare danni fisici, psicologici e sociali. Non è certamente un caso che i drogati siano abbandonati da tutti. Amici e familiari li allontanano e, a loro volta, loro desiderano l’isolamento ed evitano il contatto sociale.

Parliamo di sostanze stupefacenti illegali quali cocaina, cannabinoidi, anfetamina, LSD, crack, ecstasy, oppiacei, che provocano problemi fisici e psicologici. Bisogna, però, tenere in considerazione anche farmaci che possono indurre dipendenza. L’ astinenza può arrecare danni fisici non indifferenti. Soprattutto non bisogna dimenticare che anche l’alcool può creare una dipendenza difficile da abbandonare e dagli effetti spiacevoli. Non si parla solo di post sbornia, ma di danni veri e propri provocati dall’uso prolungato e smisurato sostanze alcoliche, soprattutto su fegato e cervello.

Essere tossicodipendente vuol dire essere soggetto ad astinenza, ma anche a tolleranza. Il corpo, abituandosi, ricerca dosi sempre maggiori di quella data droga per raggiungere lo stato psicofisico desiderato.

Cause della tossicodipendenza

Da varie testimonianze si sono potuti trovare punti d’incontro sulle motivazioni che portano alla tossicodipendenza. Solitamente una persona è spinta dal desiderio di avere una sensazione di piacere ed euforia, nonostante sappia benissimo gli effetti collaterali che possono sopraggiungere. La maggior parte dei tossicodipendenti sono spinti a continuare, senza chiedere aiuto, pensando di poter smettere in qualsiasi momento.

Sebbene la causa esatta dei disturbi da abuso di sostanze sia sconosciuta, l’evidenza indica che si tratta di un’interazione complessa tra predisposizioni biologiche e fattori psicologici e sociali.

Molti iniziano per gioco, per trasgredire a regole che reputano ingiuste o anche a causa di compagnie sbagliate. È stato studiato che, in molti casi, nascere e crescere in ambienti malfamati o vivere insieme a soggetti con una tossicodipendenza, possa favorire l’inizio dell’abuso. Non mancano studi sulla componente genetica. Questo non significa che chi è nato da genitori che fanno uso di stupefacenti debba obbligatoriamente farne uso a sua volta. Anzi in molti casi sono proprio questi soggetti a combattere le più grandi lotte contro le droghe.

Da non sottovalutare è anche l’aspetto psicofisico. Soprattutto per i più piccoli, la risposta va a trovarsi spesso in condizioni psicologiche precarie, in ambienti familiari problematici o nella volontà di sembrare adulti. Ovviamente la condizione psicologica è importante anche negli adulti. Se non si è soddisfatti della propria vita, se si sta attraversando un periodo particolarmente precario, si è molto più predisposti a cedere all’uso e all’abuso di stupefacenti.

L’importanza di cominciare un percorso di guarigione

Rendersi conto di avere un problema ed accettare di essere aiutato è sicuramente il primo passo verso la guarigione per qualsiasi cosa. In particolar modo, essere tossicodipendente è sicuramente uno di quei problemi che non si può gestire da soli. “Smetto quando voglio” non è altro che una giustificazione. È una scusa per non smettere, così come costringere qualcuno ad farsi aiutare non è abbastanza perché quest’ultimo possa guarire.

Tutti coloro i quali iniziano un percorso di guarigione, devono affrontare una terapia multidisciplinare. Devono essere trattate problematiche mediche, psicologiche, talvolta internistiche, ma soprattutto motivazionali. È necessario lavorare innanzitutto sulla disintossicazione e purificazione dell’organismo da tutte le sostanze, per poi prestare attenzione sulla prevenzione alle ricadute.

Lavorare su se stessi, sui propri disturbi, sulle proprie paure e sui propri problemi personali è il primo passo per riuscire  a trovare un equilibrio. Per questo, alle volte, un supporto psicoterapeutico può essere fondamentale per arrivare allo scopo, così come lavorare in gruppo.

“L’unione fa la forza” in questi casi può diventare il mantra giusto! Il supporto tra individui che hanno un problema comune e anche uno scopo finale comune può aiutare molto.

 Comunità di recupero come strumento di cura per tossicodipendenti

La Comunità è un luogo in cui i tossicodipendenti entrano per svolgere un programma terapeutico riabilitazione e reinserimento sociale. L’ingresso può essere volontario, su consiglio dalle famiglie o ancora per obbligo dovuto a provvedimenti legali. Spesso è la prima scelta, altre volte ci si arriva dopo aver provato terapie ambulatoriali non terminate o che non hanno avuto i risultati sperati.

Coloro che vengono ammessi sono accolti da personale specializzato che si occupa di loro a 360 gradi. Li aiutano a concentrarsi sulle relazioni, gli incontri, il confronto delle esperienze e il sostegno del gruppo, tra educatori e altri utenti. Il compito principale di queste strutture è affrontare le problematiche che hanno provocato il momento di crisi che ha scatenato la dipendenza. I tossicodipendenti acquisiscono consapevolezza delle motivazioni che li hanno portati lì e imparano strategie diverse per gestire le emozioni quotidiane.

Ogni comunità gestisce in modo differente il rapporto con le famiglie. In base alle regole della specifica comunità e alla specificità del caso, si può dover far fronte a lunghi periodi di separazione o si può decidere di inglobare la famiglia attivamente.

Il periodo più complicato dovrebbe essere quello iniziale, che corrisponde alla totale disintossicazione. Grazie a molte testimoniante, si comprende che l’astinenza fisica può essere davvero molto dura, seppur breve. Superato questo periodo, però, si deve far fronte all’astinenza psicologica. A questo punto un’adeguata assistenza psicologica è fondamentale. La voglia di mollare tutto e tornare a drogarsi è tanta e combatterla è molto complicato.

La droga per un tossicodipendente arriva a essere vita. Nel momento in cui si smette, bisogna trovare nuovi interessi e nuove passioni che compensino il senso di euforia psicologica di cui si sente la mancanza. Bisogna cercare un nuovo equilibrio senza droga.

Il periodo consigliato di permanenza è solitamente di circa due anni. Non è detto che alla fine del percorso corrisponda la chiusura di ogni rapporto con la comunità.

Il fine ultimo è sempre quello di evitare eventuali ricadute. Di conseguenza, mantenere i rapporti aperti e riferimenti da cui ricevere supporto nei momenti più duri è fondamentale. In alternativa, in molti scelgono di proseguire con un percorso privato di psicoterapia con professionisti specializzati in questo ambito specifico, per avere supporto costante all’esterno.  Anche al di fuori della comunità, le relazioni sono fondamentali.

Il caso di San Patrignano

Non tutte le comunità utilizzano le stesse modalità di riabilitazione. Ne è un esempio plateale “San Patrignano” e il caso che negli anni è stato costruito su di essa.

La comunità per tossicodipendenti di San Patrignano fu fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli a Coriano, in provincia di Rimini. È stata fondata a immagine e somiglianza del fondatore. In origine era l’azienda agricola della famiglia che poi si è ingrandita fino a diventare una città vera è propria. La sua grandezza non aveva eguali in Europa. Per anni è stata considerata, però, il luogo in cui si riuniva la feccia della società. 

Bisogna però considerare il contesto storico dell’epoca. Era l’Italia della fine degli anni ’70. Il periodo era critico.  Si veniva da un momento in cui le strade erano inondate di proteste, innumerevoli gli scontri poltici.  Erano gli anni di piombo, anni di paranorie, di attentanti. Era il periodo in cui i movimenti giovanili si stavano sgretolando, provocando crisi esistenziali nei giovani che, senza una guida, si avvicinavano all’eroina. Gli Hippy che di ritorno dall’Olanda portavano con sé il fumo che tanto piaceva ai giovani, lasciavano il posto alla mafia che inondava le strade di droghe sempre più forti. Lo stato era impreparato a questo caos improvviso.  Era impotente davanti a questo scenario e non riuscì a controllarlo per tempo. Per questo cominciarono a nascere delle comunità.

Le strade erano piene di zombie e la gente non sapeva come comportarsi. Si cominciò a emancipare tutti coloro che facevano uso di stupefacenti, abbandonandoli a sé stessi. I genitori erano disperati, avevano ormai venduto tutto per aiutare i propri figli. Li vedevano uscire e non sapevano se sarebbero ritornati. In questo scenario quasi surreale s’inserì un uomo, Vincenzo Muccioli, che volle creare un luogo dove i tossicodipendenti potessero rinascere a nuova vita, seppur con metodi molti criticati.

Dal docufilm “SanPa” sentiamo le parole che Muccioli ripeteva agli ospiti della comunità appena arrivati.

“Non è la roba che viene da voi, siete voi che andate dalla roba. Voi venite qui dentro per uscire da questa situazione. Ci sono tante strutture nelle quali voi potete entrare e uscire a piacere vostro. Che cos’è San Patrignano lo sapete. Qui se ci entrate, ci state! Ma se voi volete mollare e tornare indietro… Eh no! Perché voi l’aiuto lo volete avere nel momento in cui dovete desistere dal camminare su una strada difficile che però vi porta alla meta che volete raggiungere. E allora è in quel momento che vi devo dare aiuto. In quel momento non vi lascio andar via. Se volete andare a tutti i costi, allora ragazzi io vi isolo. Vi metto per conto vostro!”

Voci strane al tempo giravano sulla comunità e su Muccioli stesso. Chi diceva che fosse un truffatore, chi lo esaltava come se fosse un santo. Era comunque un uomo dal grande carisma. Si presentava affidabile e pieno di voglia di aiutare gratuitamente ragazzi che ormai per la famiglia erano diventati un peso.

“Come li aiutate?” Gli chiedevano.

“Li curiamo con delle iniezioni potentissime. Amore si chiamano. E fiducia, e comprensione!” Rispondeva Lui.

Per fare del bene si può effettivamente usare qualsiasi metodo?

San Patrignano era per molti un nuovo inizio, con una nuova famiglia che amava tutti senza distinzioni. Lì ci si divertiva, si lavorava, si aveva una nuova rinascita. Lì nessuno era considerato malato. Sembrava una grande comunità Hippy, più che una comunità di recupero per casi di tossicodipendenza. 

Non c’erano medici e non venivano usate terapie farmacologiche per la disintossicazione perché l’assuefazione data dai farmaci, per Muccioli, era nociva. Qui si usavano sistemi primitivi, con erbe per lenire le crisi di astinenza, massaggi allo zafferano per sciogliere i crampi muscolari. L’ospedale, nella comunità, fu costruito solo in un secondo momento, quando la piaga dell’AIDS scoppiò in Italia a metà degli anni ’80.

Per il tossicodipendente la droga è vita. Superata l’astinenza fisica, bisognava pensare a quella psicologica. Non bastava disintossicarsi. C’era bisogno di creare un mondo alternativo con nuovi interessi e passioni che portassero a una nuova dimensioni dell’esistere.

Per Muccioli, non c’era persona più idonea a curare un tossicodipendente se non un ex tossicodipendente.  Grazie al duro lavoro svolto giornalmente, si poteva ricominciare la propria vita.

Nonostante i racconti di vita utopica all’interno della comunità, tutti o quasi, almeno una volta, sono scappati. Chi andava via per astinenza, chi era troppo debole per sopportare umiliazioni o “torture”. Tutti, però, venivano subito cercati, trovati e riportati anche con metodi forti.

Da questo sono poi nati tutti i problemi di San Patrignano. Si raccontava di persone incatenate nei sotterranei per giorni, segregate negli scantinati in condizioni disumane. Diverse furono anche le denunce che poi portarono al famoso “Processo delle catene”.

Grazie a questo processo, l’opinione pubblica si unì intorno a Muccioli che si salvò in quanto la Corte d’Appello dichiarò che i fatti non sussistevano. Il terapeuta poteva intervenire contro la volontà del tossicodipendente perché non era una volontà piena. C’era sì volontà piena d’intendere, ma non di volere. Il terapeuta, che aveva vincolato con contratto la persona, poteva e doveva intervenire.

Muccioli era abituato a seguire personalmente tutti i propri “figli”. Col tempo, i ragazzi nella comunità erano diventati così tanti che divenne complicato tenerli a bada tutti. Iniziò la “Politica del Controllo”. Tutti i nuovi arrivi erano divisi in gruppi con un capogruppo scelto che rapportava tutti i problemi da risolvere. Questa soluzione iniziò a vacillare nel momento in cui Muccioli cominciò a occuparsi di impegni maggiori a livello sociale e politico. Così, i caposettori della comunità presero sempre maggior potere. Spesso non erano persone con un adeguato equilibrio interiore tale da renderli adeguati a ricoprire quei ruoli. Iniziarono gli abusi di potere e molti andarono via non condividendo più i modi usati.  

Quando fu riaperto il caso della morte di Roberto Maranzano, ex tossicodipendente di San Patrignano, si scoprì che fu ucciso nella comunità e che Muccioli aveva coperto tutto. Iniziò il vero declino. Molti suoi cari amici lo abbandonarono, persone di fiducia lo tradirono. Si riaprirono le polemiche. Aumentarono le testimonianze di violenze.  Molti ragazzi abbandonarono il percorso.

Da santo, Vincenzo cominciò a essere considerato un criminale.Tutti questi tradimenti, avevano colpito il fondatore facendolo cadere in una profonda depressione. Iniziò a non recarsi più tanto spesso alla comunità, non si occupava più di tutti i problemi. Era stremato! Morì all’età di 61 anni per cause non rese note al pubblico. Con lui non è morta la sua grande famiglia.

La comunità, a cui aveva dedicato la vita e che aveva difeso ad ogni costo, è ancora in piedi. Al oggi gode ancora di grande fama. Porta avanti i principi sui quali, inizialmente, era stata fondata. Si è impegnata anche alla prevenzione e all’organizzazione di programmi per gli studenti (Progetto WeFree).

Dal sito online, si può leggere: “San Patrignano è una casa, una famiglia per i giovani che hanno smarrito la strada,  che hanno perso motivazione e devono riprendere un cammino fatto di autostima, di dignità, di responsabilità, di entusiasmo!”

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