A lungo si è discusso su come il tre giugno si sarebbe dovuto riaprire alla circolazione tra regioni, se tenendo conto dell’oggettiva eterogeneità in termini di presenza di virus sul territorio oppure se, per ragioni chiaramente non di natura sanitaria, prendere una decisione omogenea per l’intero Paese.

Gli stessi scienziati spesso hanno avuto modo di ricordare come l’incidenza dei casi sia molto differente sul territorio nazionale, basti pensare che alla vigilia della riapertura nella sola Lombardia in più occasioni si è concentrato circa il 60% dei nuovi casi.

Le possibilità dunque sulla carta apparivano tre: riaprire i confini interni senza distinzioni, rimandare l’apertura totale di una settimana (o dieci giorni) per permettere a regioni come la Lombardia e il Piemonte di riuscire ad amministrare in maniera ancora più concreta il contagio oppure riaprire a velocità differenziate. Come noto, per ragioni soprattutto economiche e simboliche, si è deciso di percorrere la prima via, così il 3 giugno sono stati riaperti totalmente i confini tra regioni fermo restando che, nel caso in cui si dovessero identificare dei nuovi focolai, si potrebbe intervenire con misure ad hoc a seconda delle esigenze e dei territori a rischio.

Le opinioni dei rappresentanti delle Regioni

Quello che è avvenuto il 3 giugno non rappresenta ovviamente il tanto frequentemente citato “libera tutti”, dal momento che in ogni caso persistono delle regole la cui finalità rimane quella di permettere una convivenza con il virus. Tra queste si ricordano quella relativa al mantenimento della distanza di sicurezza, al divieto per i non conviventi di abbracciarsi in luoghi pubblici e infine le limitazioni agli spostamenti in auto o in moto; in ogni caso, ciascuna regione ha la possibilità di gestire le regole di convivenza in maniera autonoma, tanto che si è venuto a definire quello che in termini giornalistici è stato ribattezzato il “federalismo delle mascherine”, in quanto territori come la Lombardia, la Campania, il Trentino, il Friuli Venezia Giulia e il Comune di Genova hanno stabilito l’obbligo di indossare detti dispositivi sanitari anche all’aperto, mentre nelle altre regioni sarà obbligatorio tenerle solamente nei luoghi chiusi (salve diverse disposizioni).

Ogni regione è chiamata a decidere in che modo accogliere i propri turisti: tra le varie proposte, si segnalano quelle del Presidente della Regione Sardegna, Christian Solinas, e quella del Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Tra le due, quella di Solinas è stata l’idea che ha determinato più polemiche in quanto il governatore aveva proposto un modello di “passaporto sanitario” per coloro i quali fossero in procinto di arrivare in Sardegna, ossia un’attestazione di aver fatto un test che dimostri la negatività del turista.

La proposta ha destato molte critiche, sia sotto un punto di sta ideologico che sanitario: sotto il primo aspetto infatti, sottoporre gli stessi italiani (qualunque sia la loro provenienza) a misure di controllo di questo tipo per trascorrere delle vacanze sul territorio nazionale rappresenterebbe un controsenso, specialmente in considerazione del fatto che ad oggi il passaporto sanitario esiste già, ma è necessario solamente per andare in determinati Paesi esteri; d’altro canto invece, aver fatto un test che dimostri la negatività in un periodo di tempo anteriore alla visita non garantisce alcuna certezza che al momento della visita in Sardegna non si sia positivi, dal momento che misure come il tampone rappresentano una fotografia della condizione della persona e, in quanto tale, non possono assicurare che non si sia stati contagiati tra il periodo del test e la successiva visita turistica.

Al contrario, la proposta di Emiliano sembra di più facile attuazione e forse più ragionevole, in quanto il Presidente di Regione ha stabilito che chiunque si rechi in Puglia per motivi differenti da quelli di lavoro, salute o grave urgenza, dovrà scaricare dal sito della regione un modulo per comunicare dove si alloggia; inoltre, dette persone dovranno mantenere gli appunti sulle persone che si incontrano nel corso del periodo in questione per agevolare una futura eventuale necessità di rintracciare le persone incontrate da un nuovo positivo.

La riapertura omogenea dei confini tra le regioni è stato solamente un gesto simbolico?

La riapertura dei confini regionali rappresenta un ulteriore passo verso il ritorno alla tanto attesa normalità, sebbene la decisione di prendere una decisione omogenea per tutto il territorio ha determinato la critica di numerose figure appartenenti alla scena politica italiana, su tutte il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, il quale avrebbe preferito una decisione capace di tenere conto delle differenti situazioni territoriali. In questo senso, tenuto conto dei dati forniti nell’ultimo periodo dalla Protezione Civile, detta richiesta non sembra assurda se si considera che tutt’oggi la maggior parte dei nuovi contagi è concentrata nella sola regione Lombardia.

La decisione di prendere una misura omogenea per tutto il territorio prevalentemente sulla base “del rispetto dell’unità nazionale” o della necessità di dare “un segnale simbolico” risulta sotto certi aspetti incomprensibile. Sebbene sia da ricordare che ad oggi la situazione sanitaria non risulti più critica come a marzo – sia in termini di nuovi contagi che di pressione sulle strutture ospedaliere -, il virus è ancora presente ed altamente contagioso e forse la politica non avrebbe dovuto rimandare gran parte del contenimento del virus al buon senso dei cittadini o alla loro facoltà di rispettare le regole di convivenza, ma si sarebbe dovuta assumere le proprie responsabilità, anche quando questo significa prendere decisioni scomode come quella di isolare – per ragioni sanitarie e non ideologiche – intere aree che si dimostrino non ancora pronte a ritornare a questa nuova normalità.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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