Quello spettacolo di Narcos

Il mercato del traffico di droga si stava espandendo in Colombia già alla fine degli anni sessanta attraverso la coltivazione della marijuana. Successivamente il mercato nordamericano , cliente principale degli stupefacenti, incominciò a richiedere quasi esclusivamente cocaina, prodotto proveniente dalla pianta di coca estraendone gli alcaloidi dalle foglie, e coltivata e importata originariamente da Bolivia e Perù; ma vari anni dopo, i narcotrafficanti colombiani incominciarono a promuovere la coltivazione della pianta nel loro Paese, rendendo inutile l’importazione delle foglie in maniera clandestina.

Quindi, i carichi di foglie arrivavano ai laboratori nel sud del Paese, dove veniva lavorata, da qui la coca viene redistribuita dalle mafie locali negli Stati Uniti. I primi gruppi di narcotrafficanti sorti nella prima parte degli anni settanta, e presenti soprattutto a Medellín e nel centro del Paese (in grande parte erano vecchi contrabbandieri), furono decimati nelle guerre interne; nacque quindi una nuova generazione più violenta ma più attiva e intraprendente, della quale il principale esponente fu Pablo Emilio Escobar Gaviria.

Nato a Rionegro e cresciuto a Medellìn, Pablo Escobar è stato il più ricco e sanguinario narcotraffiacante della storia: nel 1989 la rivista Forbes lo ha inserito al settimo posto nella classifica degli uomini più ricchi al mondo e pare che dall’inizio alla fine della sua carriera abbia ucciso, e fatto uccidere, circa 4mila persone. A raccontare la sua ascesa e il suo declino, nel mezzo di una vastità di film e serie, c’è Narcos.

Rilasciata su Netflix il 28 agosto 2015, è una serie televisiva statunitense-colombiana creata da Chris Brancato, Carlo Bernard e Doug Miro. Le prime due stagioni si incentrano, appunto, sulla lotta contro Pablo Escobar da parte delle autorità colombiane e della DEA statunitense, mentre la terza e ultima stagione racconta le vicende del cartello di Cali.

Serie di eccellente qualità caratterizzata da una tensione narrativa puntualmente ben bilanciata, in grado, cioè, di restare costante non solo durante i 50 minuti di ciascun episodio, ma durante tutte le stagioni. Quello di Pablo Escobar è (ahimè) un personaggio magnetico e contradditorio, non solo per merito della sceneggiatura e dell’eccellente interpretazione di Wagner Moura.

Il personaggio del temibile narcos inevitabilmente conquista lo spettatore: un lato, forse, negativo ma comune a quasi tutte serie e film di questo genere (basti pensare alla serie italiana Romanzo Criminale e alla tristezza provata da tutti, chi dice il contrario mente, alla morte del Libanese). Immancabilmente dunque lo spettatore, in particolare nella prima stagione, si schiererà con il narco ma, badi bene, solo con lui: tutti i suoi sicarios, fatta eccezione per il semper fidelis cugino Gustavo, sono rappresentati come uomini di bassa lega, che vanno con le prostitute, con la pistola facile tanto che arrivano ad uccidere dei bambini.

Con Escobar non accade questo: come nella vita reale, il suo personaggio è forte e carismatico. Durante la sua vita, Escobar investì molto sulla cura della propria immagine affinché fosse rispettato e sostenuto. Sicuramente il mezzo più efficace era la violenza, il suo celebre “Plata o plomo” lasciava poca scelta. Ma migliaia di persone videro e vedono ancora in Pablo una figura positiva, stregati dalla sua immagine. Escobar intraprese negli anni ’80 una carriera politica, fino ad essere eletto alla Camera dei Rappresentanti nel 1982. Inoltre investì in un progetto chiamato “Medellín sin Tugurios” volto alla costruzione di oltre 500 abitazioni per famiglie povere: questo progetto contribuì alla sua popolarità, tanto che venne definito da una rivista colombiana “Un Robin Hood”.

La critica, comunque, come anche per altre serie del genere (Breaking Bad, Gomorra, Suburra) si divide sempre tra coloro che le apprezzano in quanto utilizzate come metodo per far conoscere meglio fenomeni di grande importanza e coloro che invece vi vedono un esaltazione di figure che andrebbero condannate e invece si rischia di vedere chi vuole emularli. Tra l’altro, un fenomeno che va assolutamente considerato riguardante questo aspetto, è il Narcoturismo, il viaggiare al fine di acquistare e consumare sostanze stupefacenti, cosa che accade per esempio in Olanda grazie alla legalizzazione della droga leggera. Ma in Colombia vengono organizzati (anche da Trip Advisor) “Narcos Tour” per visitare i luoghi della vita di Pablo Escobar. Personalmente ho amato questa serie e il personaggio di Escobar mi ha molto affascinato, ma non riesco a comprendere come non si riesca a vedere la sua figura per quello che effettivamente era, cioè un criminale.

In ogni caso Narcos è una serie che non si dimentica, soprattutto per la cura dei dettagli che ti fanno immergere completamente nella una cultura latina. La musica, rigorosamente Sud Americana, sembra trascinare in quei vicoli pieni di colore e di danze; le ambientazioni mostrano la doppia faccia della Colombia: da un lato paese martoriato dal narcotraffico, in cui vi è ancora un reale ed effettivo pericolo dovuto ai vari cartelli e alle gang, ma anche un paese di straordinaria bellezza, ricco di paesaggi, dalle montagne alle spiagge, la patria del surrealismo.

Anche la seconda stagione non delude anche se si trasforma in un “guardie e ladri” continuo abbassando, di pochissimo, il target raggiunto con la prima stagione. Rimangono ineccepibili la sceneggiatura, la scenografia e, ovviamente, la recitazione. Nonostante tutti si aspettassero un flop dalla terza stagione, data l’assenza dell’ingombrante figura di Escobar, questa non fa rimpiangere né Medellìn né Pablito.

Alla morte di Escobar, è il cartello di Cali a comandare il narcotraffico, nuovi leader che si muovono con metodi diversi da quelli di chi li ha preceduti: meno violenza che possa catalizzare l’attenzione generale, ma piuttosto una preferenza per la corruzione ed il controllo di uomini di governo attraverso tangenti e mazzette. Un gruppo che con i suoi metodi arriva a controllare l’80% della cocaina mondiale e dare impiego, se così si può dire, ad oltre settecentomila persone. Il tutto accompagnato da una musica meravigliosa che conquista il cuore, dalle luci, dai colori, dalla lingua che ha caratterizzato le prime due stagioni.

Per concludere, consiglio la visione di Narcos a chiunque. E’ una serie che fa riflettere sui giochi di potere, sulla corruzione, sulla figura della donna (vista puramente come un oggetto a scopo sessuale); è una serie che mostra la lealtà, l’amicizia, il tradimento, l’amore di una famiglia, il senso del dovere, l’abbandono; è una serie che mostra un mondo nuovo, molto diverso dal nostro; è una serie che non si limita a raccontare una storia ma ne intreccia tantissime, le lega, ci fa appassionare senza mai concederci un momento di pace.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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