All’indomani dell’ultima crisi in ordine temporale che ha investito il Movimento 5 Stelle, ci si interroga su quale futuro possa avere questo partito che, nato come movimento politico ha cavalcato in più di un decennio il malcontento verso la vecchia classe politica fino a divenire prima forza del paese, in una parabola che sembra oggi aver raggiunto la sua fase discendente. L’ultimo scontro, che in questi giorni ha lasciato presagire persino la scissione di un partito che appare piuttosto frammentato e scosso dalle lotte interne ormai da tempo è l’ennesimo scontro per la leadership. Dalle “Stelle” allo stallo: breve disamina della crisi del Movimento 5 Stelle Direttore responsabile Claudio Palazzi
La figura di Grillo, un tempo considerato fautore e padre spirituale del movimento, ha perso il suo appeal gradualmente, e sebbene siano già molti anni che la lotta per la leadership ne minaccia la sua frammentazione in correnti, per la prima volta viene messo in discussione il suo ruolo – per la verità di per sé abbastanza ambiguo – di leader e di garante del partito. Gli scenari inquietanti che si aprono per il Movimento 5 Stelle rimandano alla numerose altre crisi che lo hanno scosso specialmente a partire dal 2018, anno in cui i pentastellati sono andati al governo, e in cui i consensi – come è fisiologico che sia – sono iniziati a calare vertiginosamente.
Ci si interroga perciò su quali siano stati gli avvenimenti che hanno scosso fin dalle fondamenta il partito di Grillo negli anni, sulla ricerca delle cause profonde di una crisi che se non ricomposta proporrà lo scenario più drammatico per un partito politico, quello della scissione. È ragionevole ritenere che il seme di tale profonda crisi si evidenzi in primo luogo nel calo degli elettori. Il Movimento 5 Stelle, a partire dal 2018, con la formazione del primo governo a tinte gialle ha iniziato a perdere progressivamente consensi. E non sorprende il fatto che tutto questo sia avvenuto in seguito ad un tale successo politico. Governare è soprattutto saper mediare e trovare compromessi con le compagini forzatamente alleate, snaturarsi, tanto più in tre esecutivi cosi colorati politicamente. Già nel febbraio di quest’anno Di Maio, parlando della trasformazione del partito pentastellato, l’aveva definito come ‘’forza europeista, moderata e liberale’’, di fatto sconfessando le premesse con cui il movimento era sceso nelle piazze, al grido di slogan politici antieuropeisti e antisistema. E la realtà è che l’inversione di rotta non si è limitata alle dichiarazioni dei suoi leader politici, ma si è tradotta in primo luogo in provvedimenti e riforme in aperta contraddizione con i principi che il Movimento 5 Stelle aveva professato nei suoi primi anni di vita.
Entrati in Parlamento dalla porta principale, alle elezioni politiche del 2013 i Cinquestelle registrano un risultato inaspettato e travolgente, ottenendo più del 25% dei consensi. Sebbene le coalizioni di centrodestra e centrosinistra raggiungano migliori risultati, il Movimento 5 Stelle già si afferma come partito più votato. E’ un successo assoluto, destinato a crescere nei successivi 5 anni. Lo slogan con cui Grillo si presenta in Parlamento è la minaccia di aprirlo ‘’come una scatoletta di tonno’’. A distanza di 8 anni, il Movimento sembra aver disatteso queste aspettative, e pare essersi uniformato ai partiti che tanto criticava al momento della sua nascita.
L’inversione di rotta più evidente e emblematica per certi versi, è quella che riguarda le posizioni del partito nei confronti dell’Europa e dell’Euro. Da una forte posizione euroscettica, critica nei confronti dell’UE e della moneta unica, si è arrivati alle recenti dichiarazioni di Di Maio sopra citate e infine al sostegno ad un governo fortemente europeista come quello attuale. L’impressione è che il Movimento abbia cavalcato nei suoi primi anni di vita la stagione florida del sovranismo, salvo poi scoprire la dura realtà e la volontà o forse la necessità di abbassare il tiro e di tradire se stesso e i propri elettori una volta al governo. Sotto quest’ottica andrebbero letti anche i recenti avvenimenti politici e il successo che Fratelli d’Italia sta ottenendo restando fermamente all’opposizione. Fin quando il partito pentastellato è rimasto all’opposizione ha potuto salvare la faccia, apparendo agli occhi dell’elettorato come partito estraneo a certe logiche di gestione del potere e antichi retaggi politici da spazzare via, e di conseguenza vedendo crescere sempre più i consensi cavalcando un diffuso malcontento. Dunque l’appoggio al governo Draghi e la svolta europeista sono solo i due ultimi passaggi di questo catastrofico voltafaccia politico.
Il sostegno al governo Draghi non solo ha deluso parte dell’elettorato, ma è apparso come una mossa azzardata e discutibile anche sul piano interno: molti sono stati i dissensi tra gli stessi parlamentari pentastellati, non convinti o apertamente contrari al sostegno ad un governo che sembra incarnare in sé tutte i tratti e i caratteri di quelle forze filoeuropeiste e legate ai poteri forti individuate come i nemici acerrimi del movimento nella prima stagione politica dei 5 Stelle. La credibilità del M5S ne è risultata irrimediabilmente compromessa. La realtà è che, come già detto, questa sembra essere solo la punta dell’iceberg, sebbene rappresenti per certi versi il culmine di un processo di riformazione e di rinnovamento che interessa da anni il partito, e che sistematicamente rimette in discussione o contraddice le linee programmatiche con cui il movimento si è imposto nel panorama politico italiano.
Che il partito sia stato sempre attraversato da tensioni interne e da espulsioni è cosa risaputa. Si è scelta la linea dura nei confronti di molti che, forse scossi dai continui cambiamenti di rotta, sceglievano di osteggiare le decisioni più controverse. E questo è stato un trend che da sempre ha riguardato il partito di Grillo. ‘’Uno vale uno’’ era uno dei tanti slogan con cui entrò in politica, salvo poi mettere a tacere le opinioni contrarie e allontanando le voci dissenzienti. Conta l’opinione di ognuno, a patto che questa sia allineata con quella del Movimento. Se tuttavia i tumulti interni sono stati una delle cause di crisi, sono anche stati una costante sin dall’inizio della sua storia, un tipo di dinamica a cui ci si è abituati nel tempo. Il tradimento della fiducia dell’elettorato resta la più grande sconfitta del movimento, e questa è dipesa soprattutto dalle intenzioni e dalle promesse disattese, dai compromessi prima rifiutati a ogni costo e poi accettati forse troppo a cuor leggero.
Altri snodi cruciali, solo per citare i più evidenti, sono rappresentati dal cambio di posizione sulla regola del vincolo dei due mandati, prima elevata a pilastro del movimento e cavallo di battaglia di Grillo tutt’oggi, e poi messa in discussione nei fatti da molti. Ora è divenuta arma di ricatto per coloro che minacciano di abbandonare il partito nel caso in cui venisse confermata nel nuovo statuto. La partita tra Grillo e Conte si gioca anche su questo delicato tema, con il primo che riafferma l’importanza di una regola che lui considera un presupposto irrinunciabile, e il secondo che sembrerebbe intenzionato a cedere alle pressioni di chi già siede in Parlamento. La credibilità del movimento si gioca anche su questa delicata questione. Ora alcuni parlamentari 5 Stelle indicano questa regola come un ostacolo alla formazione di una classe politica competente e all’altezza dei compiti che il ruolo richiede, mostrando al proprio elettorato di somigliare sempre più ai parlamentari delle altre forze politiche.
Anche su altre questioni come quella ambientale, i grillini sembrano aver disatteso le promesse fatte o non essere stati in grado di incidere sui provvedimenti adottati dai governi di cui sono stati parte. La questione ambientale è stata sin da subito considerata una delle 5 questioni prioritarie su cui si fonda l’essenza stessa del movimento – una appunto delle ‘’5 stelle’’. In questo ambito non si può negare che non siano stati rispettati gli impegni presi anni fa. Su questioni spinose come le grandi opere (Tav e Tap), il movimento non è riuscito ad imporre la propria posizione, a dare incisività alle proprie intenzioni e far sentire la propria voce nei governi che si sono succeduti, e in cui pure ha occupato un ruolo preminente rispetto alle altre forze politiche. Anche per quanto riguarda l’Ilva la linea promossa per anni dal partito è venuta meno o è stata messa a tacere dalle altre forze di governo. Altre volte, con clamorose retromarce, si è direttamente ritrattata la posizione del movimento su queste grandi questioni, tradendo per l’ennesima volta le promesse fatte in campagna elettorale.
In conclusione è evidente che il movimento sia ad un momento di svolta in cui la sua stessa sopravvivenza è a rischio. La fiducia ormai tradita degli elettori è difficilmente recuperabile. Salvare la faccia dopo essere passati con disinvoltura da un governo di centro-destra, ad uno di centro-sinistra per infine approdare ad un governo tecnico è compito assai arduo per chiunque. Figuriamoci per un Movimento che ha sempre affermato a gran voce la ferma intenzione di non cedere a compromessi. In attesa che il braccio di ferro tra Conte e Grillo giunga a una conclusione, una cosa è certa: se si ripartirà con un nuovo corso, la priorità politica dovrà essere quella coerenza tanto ostentata agli albori quanto disattesa alla prova dei fatti.