Globalizzazione e trasporti: dalle rotte oceaniche all’Alta Velocità

Il mondo in cui viviamo è un mondo globalizzato. Dalla nascita del capitalismo ad oggi, non abbiamo mai visto un periodo caratterizzato da relazioni commerciali così tanto fitte e incisive per la vita politica ed economica delle nazioni. A tal riguardo, in un periodo di grandi investimenti internazionali, un settore decisivo è quello dei trasporti, da cui nessuna grande potenza può ormai sottrarsi. Nella storia più o meno recente, infatti, trasporti e globalizzazione sono due compagni che sembrano essere imprescindibili l’uno dall’altro. Quando ha inizio questo stretto legame? Quali sono le conseguenze nelle politiche degli Stati? Quali le conseguenze geopolitiche?

Dai traffici marittimi alla ferrovia: le origini

La prima forma di globalizzazione risale all’epoca delle grandi scoperte geografiche, quando lo sviluppo del trasporto marittimo permise l’ampliamento degli orizzonti oceanici e una significativa riduzione delle distanze, sia da un punto di vista dello spazio che da un punto di vista del tempo. Era l’epoca delle esplorazioni, in cui i paesi europei investivano parecchi fondi per garantirsi la propria fetta di torta in un mondo che non sembrava più tanto piccolo.  In questo periodo l’oceano Atlantico divenne il fulcro dei traffici mondiali e si svilupparono numerose rotte specializzate, dapprima relative a prodotti agricoli come caffè e grano e successivamente a prodotti minerari. In questa fase di “preglobalizzazione”, era evidente la superiorità dei fronti marittimi del Mare del Nord e della costa est degli Stati Uniti. Nel collegamento fra Vecchio Mondo e Nuovo Mondo, dunque, le compagnie commerciali di tutto il mondo videro infinite possibilità di ampliamento dei traffici. Intorno alla metà del XIX secolo, non sembravano esserci limiti allo sviluppo di nuovi mezzi per facilitare gli scambi commerciali.

È in questo periodo che gli Stati incominciarono a investire in nuove infrastrutture che potessero garantire maggiori collegamenti fra il mare e l’entroterra. La ferrovia, sicuramente, rappresentò l’innovazione più decisiva, sia economicamente, che da un punto di vista simbolico e politico. Anche se la ferrovia ebbe uno sviluppo diseguale nel mondo, senza di essa la crescita mondiale non sarebbe stata di queste dimensioni e la Rivoluzione Industriale sarebbe stata circoscritta solo ad alcuni paesi, ovvero quelli maggiormente interessati dai traffici oceanici. I pionieri dei primi sistemi ferroviari furono senza dubbio l’Impero britannico, il Belgio, la Francia e la Germania, che addirittura si dotò di ferrovie capaci di valicare i propri confini nazionali. Nel 1843, ad esempio, fu inaugurata la prima tratta internazionale Colonia-Anversa, che unì l’entroterra europeo a uno dei porti più grandi e rilevanti del mondo. Negli Stati Uniti, inoltre, lo sviluppo di un sistema ferroviario fu centrale da un punto di vista politico e simbolico, poiché avvicinò la civilizzata costa orientale alle terre selvagge d’occidente.

Nel crescente collegamento fra i paesi, dunque, incominciava a farsi strada il fenomeno inarrestabile che oggi conosciamo come globalizzazione.

Dal XX secolo ad oggi: Alta Velocità e geopolitica

Il ventesimo secolo rappresentò sicuramente un periodo estremamente florido per lo sviluppo dei trasporti e degli scambi commerciali, politici e sociali. Dall’invenzione delle navi container all’aereo, fu possibile scambiare tonnellate di merci e, alla metà del secolo, raggiungere New York da Londra era fattibile in mezza giornata. La ferrovia, d’altra parte, dopo un periodo di splendore che precedette la Prima Guerra Mondiale, sembrò avere una battuta d’arresto intorno agli anni ’40, per poi risorgere qualche decennio dopo. L’inaugurazione nel 1964 della Tokyo-Osaka (la famosa Tokaido Shinkansen) portò le ferrovie in una nuova era. La nuova linea, del tutto indipendente dal resto della rete ferroviaria, raggiungeva velocità di oltre 200 Km/h: nasceva in Giappone l’Alta Velocità. Dopo qualche anno, l’Alta Velocità giungerà pure in Europa, con l’inaugurazione della Parigi-Lione nel 1981.

Le conseguenze della nascita dell’Alta Velocità sono enormi, ed è centrale comprendere questo fenomeno per capire come funziona oggi la globalizzazione. Un perfetto esempio è quello della Cina.
La Cina sta facendo dell’investimento in Alta Velocità un aspetto centrale della propria strategia d’espansione come potenza economica e politica. Con la sua “Strategia del Filo di Perle”, Pechino ha elaborato un progetto di corridoio ferroviario dalla regione della Cina occidentale dello Xinjiang fino al porto di Gwadar, in Pakistan, raggiungendo così l’Oceano Indiano tralasciando la rotta marittima. Questo permette ai cinesi di evitare attriti con l’India ed è, soprattutto, una mossa decisiva per l’approvvigionamento del petrolio: una volta collegato il porto di Gwadar ad un oleodotto, esisterebbe una valida alternativa allo Stretto di Malacca, territorio fortemente controllato dagli Stati Uniti e non di rado oggetto di attacchi di pirateria.
La Cina, attraverso l’Alta Velocità, aumenterebbe anche la propria influenza politica in Africa, con la costruzione di reti in Tanzania, e in America Latina, con il progetto di costruzione di un corridoio ferroviario alternativo al Canale di Panama.
È opportuno inoltre citare il progetto della Nuova Via della Seta che, attraverso massicci investimenti infrastrutturali, permetterebbe alla Cina di diventare un enorme partner commerciale dell’Europa.

Sembra, insomma, che l’Alta Velocità, oltre ad aver rivoluzionato il mondo dei trasporti e aver dato vita a nuove forme di pendolarismo, stia diventando un elemento centrale per gli Stati nell’elaborazione delle proprie strategie di espansione ed influenza politica.

Un caso italiano: la TAV

L’Alta Velocità costituisce un elemento centrale anche nel processo di integrazione europea, sia per una questione prettamente economica e di scambi commerciali, sia per la valenza politica che una maggiore unità spaziale fra gli Stati ha.
Per quanto riguarda l’Italia, è da quando è stato concepito come progetto che si parla tanto della TAV, più propriamente della tratta Torino-Lione ad alta velocità appoggiata dall’Unione Europea. Bisogna fare una premessa: il sistema urbano italiano non rende facile la progettazione di linee ad alta velocità. La realizzazione delle linee più recenti ha posto parecchie problematiche di carattere ambientale.
Per quanto riguarda la Torino-Lione, esistono due diversi schieramenti. L’opposizione, che si è concretizzata nelle massicce proteste avvenute in Val di Susa, è tra chi sostiene che i traffici di merci non siano di entità tale da giustificare un intervento infrastrutturale di questa portata, portando alla devastazione di un territorio. L’Unione Europea e i governi, d’altra parte, sostengono che la Torino-Lione sia l’unica strada per evitare la marginalizzazione di una zona economica importante quale è il Nord Italia.
Al netto di tutte le considerazioni sulla questione, una cosa è certa: l’Italia è caratterizzata da una miriade di città di medie dimensioni e potrebbe essere un rischio non considerare i collegamenti fra le varie provincie, soprattutto in un contesto come il meridione che appare assolutamente inadeguato da un punto di vista infrastrutturale. Per la sua posizione, l’Italia potrebbe diventare un gigantesco Hub nel Mediterraneo, ma non sembra che il governo abbia una strategia adeguata per quanto riguarda questo.

Quali prospettive?

È evidente che la globalizzazione, oggi, appaia difficilmente evitabile dagli Stati. Comprendere questi fenomeni e saperli governare è una delle sfide maggiori della politica, e pare che al momento i casi virtuosi in materia siano rari. La volontà di alcune forze politiche di chiudere le proprie nazioni in un guscio non tiene conto di quanto possa essere pericoloso avere a che fare con grandi superpotenze che si muovono nella direzione di accrescere sempre di più la propria influenza. Investire sui trasporti e sulle infrastrutture in maniera intelligente e oculata è centrale in un mondo globalizzato e gravano grandi responsabilità sui governi.
Una cosa è certa: in Italia non possiamo permetterci altri Toninelli.

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