Il termine “Corano”, con cui normalmente viene indicato il libro sacro dell’Islam, deriva dall’arabo al-Qur’an, parola che si ricollega a una forma del verbo qara’a, ovvero “leggere”. Dunque, il Corano è una “lettura (ad alta voce)”, una “recitazione”. Nonostante per tutti i musulmani esso sia considerato la trasposizione diretta e letterale della parola divina, nel mondo islamico rimane aperta la questione su quale sia la corretta interpretazione del Corano. Il Corano e la difficoltà di interpretare il suo messaggio Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Le tensioni e le contraddizioni scaturite da questo dibattito all’interno dell’Islam hanno contribuito, soprattutto in Occidente, a generare un clima di ostilità nei confronti della religione musulmana che, nell’immaginario comune, viene ormai erroneamente associata al terrorismo. In realtà, violenza e attentati terroristici sono la conseguenza di un’interpretazione estremista del Corano che non è assolutamente condivisa da tutti i credenti. Ecco perché il dibattito sulla corretta lettura e applicazione degli insegnamenti di Maometto è tutt’ora aperto e per capirne le reali motivazioni occorre conoscere il contesto in cui si è diffusa la parola del Profeta.

Il fatto che il Corano sia sempre stato oggetto di interpretazioni discordanti è testimoniato già all’epoca del terzo califfo, Uthman. Con lui assistiamo infatti al primo tentativo di uniformare il Libro sacro. Uthman prese la decisione di varare un testo unico, una sorta di “Vulgata” che si imponesse a tutti i fedeli perché, dopo la morte del Profeta, il messaggio divino trasmesso da Maometto era stato affidato alla memoria dei suoi compagni che tramandavano oralmente le sue parole. Perciò iniziarono a diffondersi già allora diverse versioni del Corano e per questo motivo l’operazione messa in atto da Uthman, volta ad evitare che la pluralità di interpretazioni potesse nuocere all’unità del mondo musulmano, incontrò molte resistenze da parte dei credenti che avevano ormai sviluppato un attaccamento alla propria versione del Libro.

E forse è proprio da questo rifiuto di accettare la decisione del califfo che comprendiamo quanto il dibattito relativo alla tradizione coranica sia sempre stato acceso e non ci dovrebbe stupire il fatto che queste discordanze persistano nell’attualità all’interno della comunità islamica.

Al giorno d’oggi il dibattito riguarda principalmente due visioni contrastanti: quella dei musulmani liberali e quella degli integralisti islamici.

I movimenti liberali sono sorti a partire dal XIX secolo, proponendo una pratica della religione basata sull’ijtihad, ovvero sullo “sforzo interpretativo” delle sacre scritture. Essi non condividono le interpretazioni conservatrici del Corano e la formulazione delle leggi islamiche basata sui singoli versetti del Libro ma preferiscono rileggerlo in modo da adattarlo alla società moderna, all’attualità.

Al contrario, gli integralisti – il cui movimento nasce a partire dagli anni ’20 con i “Fratelli Musulmani” – mirano a sottomettere la politica e le leggi dello stato ai precetti della religione. Un ideale che, se portato alle estreme conseguenze, come del resto ne è stata diverse volte testimone l’Europa, culmina in atti di violenza nei confronti di chi viene considerato un miscredente.

Elementi di contrasto evidenti tra queste due visioni dell’Islam riguardano, per esempio, il ruolo della donna nella società.

All’interno del Corano sono riportati molti versetti dedicati alla donna e alla sua condizione, ai suoi diritti e ai suoi doveri. Da un punto di vista religioso, dunque, possiamo affermare che l’Islam pone la donna e l’uomo su un piano di completa uguaglianza. Basta pensare a Maria, madre di Gesù, a cui è dedicato un intero capitolo del Corano. Tuttavia, da un punto di vista sociale è innegabile che i paesi arabo-islamici adottano trattamenti molto diversi tra loro e che i diritti delle donne non sono ovunque tutelati alla stessa maniera. Il tema del velo islamico, ad esempio, è interpretato in maniera diversa da integralisti e liberali.

Come mettono in luce questi ultimi, il testo del Corano non parla esplicitamente dell’obbligo di indossare il velo eppure gli integralisti utilizzano i riferimenti al velo come pretesto per imporre la superiorità dell’uomo nei confronti della donna, rendendo l’Islam, soprattutto agli occhi di noi occidentali, una religione misogina e sessista.

Da molto tempo sono attivi movimenti femministi, sostenuti dall’Islam progressista e liberale, che incoraggiano una lettura diversa dei versetti del Corano mettendo in luce quanto la visione degli integralisti non coincida con la volontà del Profeta. Storicamente, infatti, è certo che grazie a Maometto lo status delle donne arabe migliorò, poiché prima della sua predicazione in Arabia predominava il principio del patriarcato che attribuiva al maschio il possesso esclusivo della donna. Dunque, anche nei confronti dell’hijab, i musulmani più moderati guardano al velo semplicemente come simbolo culturale della società islamica, non come uno strumento per sottomettere la donna e renderla inferiore all’uomo – del resto, molte donne continuano ad indossarlo come scelta personale per auto-identificarsi nella propria cultura.

Inoltre, ripensando ai recenti attentati terroristici avvenuti in Francia, occorre soffermarsi su un altro aspetto che è oggetto di interpretazioni discordanti, ovvero la questione del jihad.

Questo termine, nell’immaginario collettivo occidentale, è viene associato esclusivamente al concetto di “guerra santa” e sulla base di questa accezione, i movimenti fondamentalisti e integralisti (da Al-Qaeda allo Stato Islamico) hanno avuto la possibilità di portare avanti un ideale di fede con gli strumenti del terrore e della violenza.

Tuttavia, nel Corano la parola jihad è presente 41 volte e in varie declinazioni ma è utilizzata soprattutto con il significato di “sforzo” spirituale e intellettuale di miglioramento del credente (“jihad superiore”), oppure di “guerra condotta per la causa di Dio”, ossia per l’espansione dell’Islam al di fuori dei confini del mondo musulmano (“jihad infriore”).

Seguendo la propaganda dei leader estremisti, questi ultimi sembrano ignorare del tutto il duplice significato a cui allude la parola e di conseguenza la interpretano come una legittimazione a compiere atti di violenza e di guerra.

Nonostante ciò, anche se i fatti di cronaca francesi spingono facilmente a etichettare l’Islam come una religione violenta, la maggior parte dei musulmani sono moderati e non condividono tale interpretazione. I seguaci dei movimenti liberali interni all’Islam, infatti, rigettano l’identificazione del jihad con la lotta armata, scegliendo di porre in evidenza i principi di non violenza su cui si fonda l’Islam. Sicuramente, sono presenti nel Corano dei versi in cui si sottolinea quanto, all’epoca di Maometto, fosse importante l’autodifesa per i musulmani, però vanno contestualizzati nell’ottica del periodo coloniale, quando i musulmani insorsero contro gli occupanti stranieri.

Dunque, da un lato l’utilizzo del termine come guerra agli infedeli viene preso a pretesto dagli integralisti per perseguire i propri obiettivi, dall’altro la maggior parte dei musulmani, tra cui i liberali, lotta per smontare l’ideale dell’Islam come religione violenza mettendo in luce la sua causa pacifista.

In conclusione, come mette in luce la tradizione, la religione islamica è sempre stata oggetto di interpretazioni discordanti e attualmente questo ha prodotto visioni diverse tra i credenti. In parte questa situazione è legata alla struttura della lingua araba che si caratterizza dalla sola presenza di consonanti. Perciò, dal momento che un gruppo consonantico cambia il significato in base alle vocali con cui viene pronunciato, non si avranno mai elementi sufficienti per prediligere una versione del Corano piuttosto che un’altra. Quello che è certo è che alimentare l’ostilità verso una fede religiosa che non nasce con l’intento di promuovere violenza e odio nei confronti di chi non la pratica, allontana sempre di più dagli ideali di tolleranza e di umanità che, tra l’altro, sono esattamente ciò che promuovono gli insegnamenti del Profeta.

Conoscere e approfondire il Corano da un punto di vista culturale e prendendo in considerazione il contesto in cui è stato scritto, è l’unica strategia per comprendere appieno il messaggio di Maometto e ostacolare l’estremismo che, come già detto, non rappresenta la maggioranza della popolazione musulmana.

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