Il ruolo della memoria nella rappresentazione della follia: Leonard Shelby come «proto-Joker»?

Aspettando i verdetti della notte degli Oscar del 9 febbraio, cresce sempre più l’attesa per Joker. Inevitabilmente, Phoenix si è confrontato con la performance di Heath Ledger, che aveva vestito i panni dello stesso personaggio nel secondo capitolo della trilogia del Cavaliere oscuro. Descrivendo le due interpretazioni, si prova di seguito a condurre un’indagine psicologica su una possibile evoluzione dell’idea dei fratelli Nolan. Come mai il Joker di Ledger pesa ancora così tanto dal punto di vista attoriale? Cosa rende la figura tanto affascinante? Da dove nasce l’idea di un tale personaggio e quali aspetti lo caratterizzano?

Già vincitore del Leone d’oro a Venezia lo scorso settembre, e con l’attore protagonista e la colonna sonora già premiati sia ai BAFTA che ai Golden Globes, a Los Angeles, Joker è candidato a ben 11 nomination agli Oscar. Tra esse: miglior film, miglior attore e migliore regia a Todd Phillips. La pellicola fin da subito ha avuto grande successo, che è stato alimentato dal network e dalla vicinanza della sua uscita ai festeggiamenti di Halloween.

Tralasciando lo spopolare della maschera da clown per le strade e nei selfie di tutto il mondo, fortunatamente gran parte del pubblico sembra aver davvero compreso il dramma del personaggio. Incarnato da uno spettacolare Joaquin Phoenix, con lui il pubblico soffre, piange, si arrabbia e si spaventa. Chi ha vissuto intensamente la visione viene trascinato dalla sua follia attraverso ingiustizie sociali, omicidi a dir poco macabri e una rivoluzione finale inaspettata che riecheggia di anarchia e desiderio di sovversione.

Lo scorso 19 gennaio, dopo la premiazione agli Screen Actors Guild Awards, Phoenix ha omaggiato l’amico e attore Heath Ledger. Il ricordo di lui, sfortunatamente deceduto giovanissimo nel 2008 per una combinazione fatale di psicofarmaci, è sempre velato di dolore e malinconia. Per l’interpretazione dello stesso personaggio in The Dark Knight (2008) di Christopher Nolan gli fu attribuito postumo il premio Oscar come migliore attore non protagonista. 

Tra i due clown le differenze sono molte, favorite dalla mancanza nel film di Phillips dell’ingombrante figura dell’alato eroe positivo, Batman. La sua è infatti una libera rielaborazione del soggetto fumettistico, che consente però di immedesimarsi totalmente con l’antieroe protagonista. Ad accomunarli vi è però la presenza costante della pazzia, disturbante perché non accettata dal giudizio sociale, ma affascinante proprio in quanto ignota.

Phoenix ha certamente creato un nuovo Joker, ma per personalizzarlo così tanto è dovuto stare attento a scansare i tratti più singolari -e per questo geniali- del clown interpretato da Ledger. A differenziarli c’è che il Joker dell’omonimo film è un carattere in evoluzione, e la sua mente è afflitta da un presente che non lo comprende e non lo accetta, e  che a lui tocca rendersi colorato e accettabile, seppur in modo folle. Nel Joker avversario di Batman si nota invece un forte peso del passato, anch’esso oscuro come il presente: poiché lo spirito criminale è ormai consolidato, non può fare a meno di comportarsi in tal modo.

Riguardo quest’ultimo, chi conosce i film di Nolan non farà tanta fatica a notare alcune somiglianze con Leonard Shelby, protagonista di Memento (2000), il secondo lungometraggio del regista. Analizziamo i caratteri dei due soggetti, e proviamo a scorgerne una lettura complessiva del messaggio del cinema di Nolan.

L’uno, protagonista impegnato nella lotta contro sé stesso e contro un mondo di cui diffida perché gli ha portato via tutto. L’altro, un criminale dotato di grande potenza distruttiva e persuasiva. L’uno falso-eroe che lotta contro le mancanze della sua memoria, l’altro anti-eroe per eccellenza ma con un ferreo codice etico e con una grande motivazione. Così diversi, eppure la follia non è la sola caratteristica ad accomunarli: ad accompagnarla c’è il dolore per un passato che ha originato disturbi e ossessioni. Il genio dei fratelli Nolan è riuscito, grazie agli smisurati talenti di Guy Pierce e di Heath Ledger, a creare due personaggi disturbanti e affascinanti al contempo.

Diverse sono però le motivazioni che li spingono alla vendetta: un amore spassionato per Shelby e un odio smisurato per Joker. In Memento la narrazione segue due versi lungo la stessa direzione. La freccia rivolta al passato mostra, a colori, scene di cui ogni successiva aggiunge un tassello avvenuto prima della precedente. Le sequenze in bianco e nero raccontano la vicenda di Sammy Jenkis, caso clinico analogo a quello di Shelby, importante e perciò tatuato sul taccuino della sua stessa pelle. Attraverso una misteriosa telefonata del protagonista, ogni particolare della vita di Sammy è strettamente collegato alla storia di Leonard, prontamente mostrata a colori di seguito.

Il dualismo della struttura narrativa accompagna la scissione psicologica del personaggio. Un violento trauma ha provocato lo sdoppiamento della personalità che porta Leonard a dare la caccia a sé stesso, al “John G.” che lui non vuole accettare di continuare ad essere. Non si perdona di non essere riuscito ad impedire la morte della moglie (Jorja-An Fox) avvenuta in seguito all’irruzione di due uomini in casa, occasione nella quale lui ha ricevuto un colpo al cranio che gli ha causato una grave amnesia anterograda. In base ai ricordi confusi che gli si ripresentano alla mente, crede di aver ucciso uno degli uomini, e di essere stato colpito dall’altro, del quale però la polizia in seguito al suo svenimento non ha trovato traccia e perciò non ne ha effettuato le ricerche.

E così John diventa una vittima come Shelby, che crede sia stato il soggetto di un suo caso trattato superficialmente quando lavorava come investigatore assicurativo. Proietta su di lui la consapevolezza che la moglie sia sopravvissuta dopo l’aggressione e la reale causa della sua morte, traslando invece tutte le colpe che ha su qualsiasi altro John G. in cui incappa, e della cui identità si appropria. Come gli fa sapere Teddy (Joe Pantoliano) –forse unica figura sincera, seppur non del tutto positiva, nella lunga serie di equivoche omonimie-, Leonard ha già vendicato la moglie una volta. Ciononostante, non riesce a «ricordarsi di dimenticarla», a lasciarla andare via per sempre.

Veniamo ora al Joker di The dark Knight. La pellicola è ispirata al fumetto di Batman che, insieme a Superman, tanto ha appassionato fin da ragazzi i fratelli Nolan. La fedeltà a trama, costumi e personaggi è arricchita dalla ripresa ambientazione noir, che consegna al pubblico un realismo crudo e violento delle vicende e una indagine psicologica dei caratteri molto verosimile e di grande impatto. L’eroe-pipistrello è caduto nel buio e nel buio è stato addestrato, ma il suo antagonista in esso vi è cresciuto e vi ha agito per anni, covando il suo progetto futuro.

Il trauma scatenante questa volta è riportato con versioni sempre diverse dal personaggio, che mente al pubblico come a sè stesso. Prima parla dell’omicidio della madre da parte del padre, commesso di fronte ai suoi occhi da bambino. L’atto, a detta di Joker, fu seguito dall’incisione dei lati della bocca del figlio con un coltello, per rimediare alla mancanza di un sorriso su quel volto spaventato –Why so serious? Perché così serio? chiede l’uomo al bambino-. Poi racconta del suo presunto atto, ormai da adulto, di procurare la stessa sorte a sua moglie, infliggendole le stesse terribili cicatrici ai lati della bocca.

Da tutto ciò pare essere nata la volontà di distruzione della peccaminosa Gotham City, metropoli abbandonata da Dio, simbolo della peggiore corruzione capitalistica. Questa avverrà andando a colpire nel profondo i sentimenti delle figure simboliche di maggior valore presenti nella città che vuole abbattere: Batman (Christian Bale), il procuratore distrettuale Harvey Dent (Aaron Edward Eckhart), perfino le altre bande criminali.

Tornando a Memento (dal latino Ricordati), il finale si ricongiunge ciclicamente all’inizio, e il bianco e nero del montaggio sbiadisce diventando definitivamente a colori. Qui avviene lo smascheramento del protagonista, mostrando la sua seconda uccisione, la sua seconda appropriazione di identità altrui e, nei suoi due minuti di memoria breve a disposizione, la decisione di voler uccidere Teddy. Lo fa per darsi uno scopo di vita, un movente di vendetta per una causa che non vuole ammettere di aver perso anni prima, seppur non per colpa sua, nel momento in cui ha inconsapevolmente somministrato molteplici dosi di insulina alla moglie diabetica, dimenticando di averlo già fatto.

In definitiva, sia John/Leonard che Joker sono sofferenti ma colpevoli, motivati da propositi che credono buoni ma sono invece scellerati. In loro non c’è più spazio per alcun disperato bisogno di fidarsi degli altri, né per la compassione verso il prossimo. La loro vulnerabilità li condanna, e così Natalie (Carrie-Anne Moss) e il Cavaliere oscuro li sconfiggono rispettivamente: l’una manipola e sfrutta John, l’altro uccide il Joker, beffardo finanche in punto di morte.

Si rivela quindi la miseria dei progetti e dei metodi dei due personaggi. Seppur in contesti e con moventi differenti, entrambi sono destinati al fallimento. Ma il lavoro del regista non si ferma qui. Parallelamente Christopher Nolan riesce a dimostrare la superficialità della società contemporanea: essa ignora, sottovaluta o teme la follia senza mai riuscire a gestirla. La memoria della mente che ne è affetta è un peso troppo grande se macchiata di sangue, e nessuno può comprenderla se non chi sostiene un macigno altrettanto pesante. 

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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