Kashmir; regione instabile tra terrorismo, manifestazioni e separatisti

L’area negli ultimi anni è stata teatro di vari scontri, a partire da agosto 2019, le tensioni sono divenute più accese. Precisamente il 5 agosto, il governo di Nuova Delhi con decreto presidenziale ha modificato gli articoli della propria costituzione che riconoscevano uno statuto speciale di autonomia al Jammu e Kashmir; fino a quel momento, la regione beneficiava di ampie libertà su tutte le questioni interne tranne la difesa, le comunicazioni e gli affari esteri.

La scelta della rimozione dell’autonomia ha portato a varie proteste con conseguente imposizione di coprifuoco e blocco delle comunicazioni e di internet. Amnesty International, ha affermato che la situazione in Kashmir è “senza precedenti” nella recente storia della regione. Secondo l’organizzazione le detenzioni e le repressioni del dissenso hanno contribuito a diffondere un clima di paura.

A fine giugno 2020 arrivano notizie di due scontri a fuoco tra ribelli indipendentisti e paramilitari indiani. Almeno cinque persone, tra cui un bambino di sei anni, sono decedute nella regione del Kashmir amministrata dall’India. Il bambino era in auto quando è stato colpito dal fuoco tra i separatisti e i paramilitari indiani. Altri tre ribelli sono stati uccisi a Chewa vicino alla città di Srinagar episodio che si verifica quando nell’arco di pochi giorni almeno undici combattenti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza indiane. Dall’inizio delle restrizioni a livello nazionale per il coronavirus, Nuova Delhi ha intensificato le operazioni militari nel Kashmir, con almeno trenta combattenti separatisti uccisi nel mese di giugno, se invece si considera l’intero anno il numero sale oltre le cento unità.

Il 19 settembre l’Agenzia nazionale per le indagini dell’India ha dichiarato di aver arrestato nove militanti islamici legati all’organizzazione di al-qaeda che stavano pianificando attacchi in varie località indiane. I terroristi erano stati radicalizzati attraverso i social media e con l’aiuto di contatti in Pakistan. Possiamo ricordare la strage di Mumbai, avvenuta tra il 26 e il 29 novembre 2008, quando dodici attacchi diretti in diverse zone della città avevano causato oltre 150 morti e 300 feriti. In quel caso la responsabilità dell’attacco ricadde sul gruppo lashkar-e-taiba, fondato in Afghanistan nel 1987.

Il Kashmir è ancora una questione in sospeso tra India e Pakistan

La regione del Kashmir è attualmente controllata per due terzi dall’India, per una piccola parte dalla Cina e per il resto dal Pakistan. La parte indiana è compresa nello Stato di Jammu e Kashmir, il Ladakh e il ghiacciaio Siachen. L’Azad Kashmir “libero kashmir” e il Gilgit-Baltistan sono sottoposti al controllo indiretto del Pakistan. L’Aksai Chin, insieme alla valle Shaksgam e il distretto di Demchok, sono le aree amministrate dalla Cina.

Il territorio del kashmir è stato per secoli sotto il controllo dell’impero musulmano fino al 1820 quando i sikh lo occuparono riuscendo a governarlo fino al 1846. Nel 1847 gli inglesi lo conquistarono imponendovi un principato, che rimase sotto il loro controllo fino alla concessione dell’indipendenza nel 1947, quando furono creati i due Stati dell’India e del Pakistan. Da quel momento in poi la regione divenne oggetto di contesa; infatti con la fine del dominio coloniale britannico in Asia meridionale, i principati indigeni furono invitati a scegliere se voler aderire all’India o al Pakistan oppure proclamare l’indipendenza. Il kashmir, stato a maggioranza musulmana con un monarca indù al potere, optò per l’indipendenza, ma la fragilità interna e altre problematiche portarono nel giro di poco tempo a firmare l’adesione all’India.

L’India e il Pakistan videro la luce come stati indipendenti nel 1947 in seguito allo smembramento dell’impero britannico in quell’area, i criteri utilizzati per la suddivisione furono più che altro geografici e religiosi. Questi principi erano ancora più complicati se applicati alla realtà della regione del Jammu e Kashmir.

Il Pakistan nacque come patria degli indiani musulmani ed essendo il kashmir a maggioranza musulmano rappresenta un elemento fondamentale per la sua identità nazionale, basata sull’unione di tutti i musulmani del sub-continente e la sua perdita avrebbe generato una situazione di grave instabilità interna. Per l’India, che al contrario è uno Stato federale nel quale è presente una forte multi-religiosità, composta dalla maggioranza indù e da consistenti minoranze islamiche, cristiane, sikh e buddiste, si verifica una situazione opposta, nella quale il governo centrale cerca di limitare le tendenze centrifughe annettendosi uno Stato a maggioranza musulmana e giustificando la forzata convivenza pacifica fra le varie etnie.

Tensioni e secessioni

Quando nel 1947 fu attuata la separazione dell’Unione Indiana dal Pakistan, lo Stato di Kashmir e Jammu fu inserito nell’Unione indiana, mentre circa un terzo del Kashmir rimase sotto il controllo del Pakistan, che volse le sue mire anche verso il Kashmir indiano, con grave stato di tensione. Con la mediazione degli inglesi e dell’O.N.U, si giunse nel 1949 ad un cessate il fuoco che istituì la cosiddetta “Linea di controllo” in previsione di un referendum popolare che non si è mai verificato. Nel 1962 un’incursione cinese susseguita da un azione militare del Pakistan portarono allo scoppio di conflitti a cui l’India rispose con una controffensiva vittoriosa; l’O.N.U impose un nuovo cessate il fuoco e nei successivi negoziati i due paesi si impegnarono a rispettare i confini provvisori antecedenti alla guerra. Discriminazioni linguistiche, politiche ed economiche portarono ad agitazioni popolari che nel 1971 scoppiarono in un ulteriore episodio di secessionismo con la “guerra di liberazione del Bangladesh”; un conflitto armato che vide schierati Pakistan dell’est (oggi Bangladesh) ed India contro il Pakistan dell’ovest. La fine del conflitto richiese diversi mesi di negoziati, conclusi infine dalla firma dell’accordo di Simla il 2 luglio 1972; il Bangladesh ottenne una piena indipendenza come Stato sovrano, e venne ribadito il confine di fatto indo-pakistano nella regione del Kashmir lungo la “Linea di controllo”. La regione rimase teatro di violente tensioni negli anni seguenti, quando movimenti insurrezionali favorevoli all’indipendenza dello Stato o alla sua adesione al Pakistan indussero il governo indiano a dispiegare l’esercito tra la popolazione civile. Alla fine degli anni Ottanta, gli scontri lungo la linea di controllo proseguirono e le autorità indiane rafforzarono ulteriormente la presenza militare. Nel 1999, si affrontarono ancora una volta tra le montagne del Kashmir, sull’altopiano del Kargil dove l’esercito indiano intervenne per ricacciare i militanti pakistani infiltratisi nella zona del Ladakh occidentale; anche dopo il ritiro di questi le schermaglie continuarono, fino al cessate il fuoco del 2004. Tutti questi Conflitti hanno causato migliaia di morti, milioni di profughi, rancori insanabili e dispute territoriali irrisolte. Nel 2005 un terremoto devastante creò le condizioni per una prima normalizzazione degli spostamenti dei civili attraverso la frontiera, cui seguì l’apertura controllata di valichi per scopi commerciali e di pellegrinaggio.

Perché è cosi importante il Kashmir per la stabilità dell’area?

Il Kashmir è il nodo geopolitico del subcontinente indiano, il fulcro attorno al quale vengono studiate le strategie di India e Pakistan. Le risorse idriche del Kashmir sono il valore primario; il Pakistan sta affrontando la scarsità d’acqua e il Kashmir ha fiumi ricchi, ghiacciai e altre risorse idriche. L’India sta costruendo impianti idroelettrici su alcuni dei fiumi nelle aree che controlla, che forniscono elettricità preziosa. A causa della sua natura montuosa, il Kashmir fornisce anche un’altura per i conflitti militari e alcune importanti rotte di rifornimento lo attraversano.

Dal punto di vista ideologico lo scontro tra laicità ed identitarismo religioso; oggi le ragioni dell’antagonismo potrebbero considerarsi superate, visti soprattutto i fallimenti a cui è andato incontro il Pakistan che palesano l’insussistenza delle sue teorie; vi sono perciò delle ragioni che vanno oltre al fattore ideologico, e che tengono conto del valore geopolitico del territorio.

La crisi è purtroppo destinata a durare nel tempo, ci vorrà probabilmente una nuova generazione di indiani e pachistani per risolverla, attraverso una diplomazia che non si limiti all’ascolto delle parti, ma punti a risanare i rapporti umani nell’area, superando il trauma storico che ancora divide questi due paesi.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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