Negli ultimi anni i prodotti di intrattenimento coreani sono diventati sempre più popolari. Oltre ad una serie di appassionati della prima ora, hanno raggiunto anche il grande pubblico e sono stati oggetto di premiazioni e riconoscimenti da parte della critica. Sicuramente, la loro diffusione massiccia è dovuta alla globalizzazione, che ha portato un numero sempre maggiore di prodotti internazionali sui nostri schermi.
Due esempi su tutti sono Parasite e Squid Game, che, oltre ai riconoscimenti, sono riusciti ad avere enorme successo anche tra il pubblico. Il successo di questi due prodotti si deve in parte anche grazie all’universalità del loro messaggio. Entrambi presentano infatti una critica alla società coreana, fortemente capitalista e polarizzata. Parte del merito del loro successo va anche al fatto che in Corea esiste un’industria dell’intrattenimento florida e con solide fondamenta. Ed entrambi (insieme anche alla musica pop coreana, il k-pop) si inseriscono nella cosiddetta Hallyu, l’onda coreana.
L’Hallyu: l’onda coreana
Il neologismo Hallyu (letteralmente “flusso/onda dalla Corea”) è nato negli anni ‘90 e sta ad indicare la popolarità dei prodotti culturali sudcoreani all’estero. Il successo del cinema coreano, dei drama e della musica è iniziato a partire dalla fine degli anni ‘90 in maniera spontanea e non pianificata. Tuttavia, il governo sudcoreano, capendone il potenziale, ha iniziato a fornire sussidi e finanziamenti alle industrie creative. Nelle intenzioni politiche e socioeconomiche c’è stata sicuramente una strategia di soft power operato nei confronti delle nazioni estere.
Inizialmente i prodotti mediali coreani si sono diffusi in Asia (in particolare in Cina), e poi, in seguito, grazie alla digitalizzazione e alla presenza dei social network, anche negli Stati Uniti e in Occidente.
I benefici in termini economici e politici per la Corea del Sud sono stati notevoli, tanto che l’immagine all’estero del paese è nettamente migliorata e ci sono stati incrementi nelle esportazioni e nel turismo. Si calcola che il gruppo più popolare al momento, i BTS, nel 2020 abbia generato 4,65 miliardi di dollari in esportazioni, pari all’ 0,3% del PIL del paese.
Il cinema coreano
Il cinema coreano, dopo un periodo di crisi e poi di lenta ripresa, dal 1997 in poi ha visto una vera e propria rinascita. In particolare, nei primi anni 2000, i film coreani hanno ottenuto moltissima attenzione da parte dei festival internazionali di cinema. Alcuni tra i registi più noti e famosi sono Park Chan-wook, Kim Ki-duk e Bong Joon-ho. La vittoria di Parasite come Miglior Film agli Oscar nel 2019, si inserisce, quindi, in un contesto florido di esportazione e riconoscimento da parte della critica globale.
Parasite: chi sono i veri parassiti?
Parasite (per la regia di Bong Joon-ho) parla di capitalismo e di una società divisa in classi sociali la cui polarizzazione è sempre più evidente. La borghesia nutre con i suoi profitti il proletariato e, al contempo, il lavoro del proletariato alimenta i profitti della borghesia. Si crea quindi un rapporto di co-dipendenza in cui la domanda da farsi è: chi è il vero parassita tra le due classi? Il capitalismo garantisce l’accumulo di ricchezze per pochi, a discapito della scarsità e della povertà di molti.
Bong Joon-ho sviscera i rapporti tra classi sociali, mette a nudo la struttura di una società fortemente verticalizzata. I ricchi, infatti, sono caratterizzati anche visivamente dall’altezza della loro posizione, mentre i poveri sono relegati nella parte bassa e nascosta della città e delle architetture. La casa della famiglia Park si trova nella parte alta di Seul. Quella dei Kim, invece, non solo si trova in una zona periferica, ma è anche un seminterrato le cui condizioni igieniche sono molto precarie. E anche nella casa dei Park è presente uno scantinato/bunker in cui abita e si nasconde il marito della loro ex domestica.
Sembra evidente, quindi, che in una società liberale, costruita sul perbenismo borghese, la povertà sia qualcosa da nascondere, da allontanare e da relegare in spazi privi di luce e angusti. Tuttavia, la borghesia, nonostante cerchi di evitare il più possibile il proletariato, se ne serve per assicurare il suo benessere e i suoi privilegi.
L’industria dei k-drama
Anche l’industria dei drama (formato serial televisivo sudcoreano) ha iniziato ad avere un mercato all’estero sul finire del Ventesimo secolo. In particolare, nel 1997 in Cina venne trasmesso il drama What is Love che ebbe un notevole successo. Inoltre, a causa della crisi finanziaria del 1997, le emittenti asiatiche iniziarono ad acquistare i diritti di trasmissione dei drama perché molto economici.
Negli ultimi anni, vista l’ondata di popolarità dei drama all’estero, il colosso dell’intrattenimento Netflix ha deciso di acquistare e distribuire una serie di prodotti di intrattenimento coreani. L’impostazione della piattaforma, tesa alla globalizzazione e alla distribuzione di prodotti internazionali, ha sicuramente reso possibile la loro diffusione. Squid Game, infatti, non è la prima serie coreana presente sul Netflix. Tuttavia, nel giro di pochissimo è diventata non solo uno dei drama più popolari, ma anche una delle serie più viste a livello globale, oltrepassando molti prodotti in lingua inglese.
Squid game: il gioco come allegoria
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un’allegoria non troppo velata di come funziona una società fortemente capitalista. Un gruppo di persone schiacciate dai debiti e in forti difficoltà economiche si dovrà sfidare in una serie di giochi mortali per vincere un premio monetario. Come meglio spiegare il modo in cui i lavoratori vengono messi l’uno contro l’altro per far sì che lo status quo dei ricchissimi venga mantenuto? Chi organizza questi giochi mortali, infatti, è un ricco investitore che ha costruito su un’isola la struttura dello Squid Game e degli altri giochi. I finanziatori non sono solo coreani. Sono infatti una serie di uomini ricchissimi che da tutto il mondo arriva per assistere ai giochi e scommettere sui giocatori.
Nel finale l’organizzatore spiegherà al protagonista che super-ricchi e poveri sono accomunati da una cosa: l’infelicità. Tuttavia, la sua prospettiva non sembra mettere in conto delle effettive difficoltà che i poveri devono affrontare al contrario di chi ha possibilità economiche. E soprattutto, sembra non considerare che chi è ricchissimo, per non annoiarsi, si diverte guardando persone disperate uccidersi tra di loro. La similitudine con la realtà è quindi evidente. Il capitalismo fa sì che i lavoratori si scontrino tra di loro affinché il ruolo di chi sta ai vertici possa non essere mai messo in discussione.
Musica: i testi dei BTS
E anche nella musica troviamo critiche alla società coreana che sono facilmente universalizzabili. Uno dei gruppi di maggior successo globale, i BTS (acronimo di Bangtan Sonyeondan), attivi dal 2013, è stato a lungo acclamato per suoi testi. Nelle canzoni, infatti, i membri del gruppo riflettono su temi attuali quali salute mentale, ingiustizie, sistema scolastico coreano e, appunto le iniquità della società.
BTS: tra Baepsae e polarizzazione
In una canzone del 2015, il cui titolo in coreano è Baepsae (che si traduce in crow-tit, in italiano “panuro”, un tipo di uccellino) si sottolineano le fortissime disuguaglianze socioeconomiche della società sudcoreana.
Il titolo della canzone fa riferimento ad un detto coreano: “Se un panuro prova ad inseguire una cicogna, si spezzerà le gambe.” Il proverbio insegna che ognuno dovrebbe misurare le proprie aspettative e le proprie ambizioni sulla base delle sue disponibilità. Nel testo il gruppo si identifica con il baepsae a causa delle difficoltà economiche a cui ha dovuto far fronte (la loro etichetta discografica, infatti, rischiava il fallimento). Nella canzone, quindi, si discute di come non tutti abbiano stesso punto di partenza a causa delle disuguaglianze della società. Si fa particolare riferimento alla generazione dei giovani, che deve affrontare precarietà e disoccupazione e che viene accusata dagli adulti di essere manchevole di voglia e passione. Nel testo possiamo leggere:
Io ho le zampe del panuro, voi quelle della cicogna;
Loro dicono: “le mie zampe valgono un milione di dollari”,
come possiamo competere nello stesso sport quando le mie sono più corte?
Loro dicono: “è corretto se il campo di gioco è lo stesso!”
Se guardiamo alla produzione più recente, troviamo Strange, canzone del 2020 presente nel side project album di due rapper del gruppo, SUGA (che qui usa lo pseudonimo di Agust D) in collaborazione con uno degli altri due rapper, RM. In questo caso si parla di come la società al giorno d’oggi sia fortemente polarizzata tra coloro che hanno e coloro che non hanno. Nel testo possiamo leggere:
La ricchezza crea ricchezza e mette a prova la nostra avidità.
I ricchi diventano avidi anche della povertà,
In un mondo in cui esistono solo bianco e nero,
In un infinito gioco a somma zero,
la fine diventa intrattenimento da guardare.
Interessante notare il fatto che, nonostante la canzone sia precedente a Squid Game, si faccia riferimento ad un gioco e alla sua visione come fonte di intrattenimento.
Tra critica socioeconomica e capitalizzazione
Non suona quindi strano che prodotti simili sono diventati famosi in tutto il mondo, generando dei veri e propri fenomeni di massa. È evidente come il loro messaggio sia facilmente interpretabile e adattabile, nonostante siano il prodotto particolare di un tipo di cultura e di società.
È particolarmente interessante, però, osservare il modo in cui il sistema capitalista abbia cercato di riassorbire questi messaggi e, in alcuni casi, ci sia sicuramente riuscito. Basti pensare al fenomeno di massa che ha generato Squid Game. Le Vans indossate dai protagonisti sono andate sold out grazie alla popolarità della serie, è stato creato merchandising da numerose industrie di fast fashion e, addirittura, uno youtuber milionario ha espresso la sua intenzione nel voler provare a ricreare l’universo di Squid Game. La capitalizzazione di alcuni elementi della serie (ma del resto, la capitalizzazione di qualsiasi prodotto di intrattenimento), ci ricorda tristemente, quindi, che questi messaggi di critica possono arrivare al grande pubblico ma che, alla fine, il capitalismo vincerà sempre.