L’orrore nei lager libici è il volto nero dell’immigrazione, che ha gli occhi di una mamma colmi di lacrime e le sue urla che risuonano nel mezzo delle acque del Mediterraneo, le stesse dove è affogato il suo bambino, che aveva solo sei mesi. Nessuno metterebbe a rischio la vita dei propri figli e la sua stessa incolumità per raggiungere l’Europa con lo scopo di “rubare il lavoro” o commettere reati in un dibattito elettorale di cui non è neanche a conoscenza. Nessuno deciderebbe di intraprendere un viaggio infernale senza sapere come andrà finire, a meno che questa non sia l’unica scelta possibile. L’orrore nei Lager Libici Direttore Claudio Palazzi
È quello che accade a milioni di migranti provenienti perlopiù da Nigeria, Senegal, Mali o Sudan, dove povertà, conflitti e terrorismo distruggono la vita delle persone a tal punto che preferirebbero morire piuttosto che continuare a vivere in un mondo che ha polverizzato ogni forma di bellezza e di pace. È la storia di Atiq, che ha soltanto 14 anni quando si mette in viaggio per raggiungere le coste europee con un solo borsone, e dovrà lasciare anche quello prima di salire sul gommone, minacciato dai trafficanti armati. Di chi ha dovuto attraversare il deserto vedendo morire i compagni di viaggio durante il tragitto, lasciati indietro, senza che nessuno possa fare niente, si va avanti, c’è chi si salva e chi no. Imbarcarsi poi non è sinonimo di salvezza, salire su un gommone, costipati, cercando di lasciare spazio ai bambini e alle donne incinte, cercando di rimanere attaccati saldamente per non cadere in acqua, e sperando che il gommone stesso regga fino alla fine dell’incubo.
Questo è il motivo per cui, coloro che riescono a completare questo viaggio decisivo, non hanno intenzione di tornare nuovamente indietro, di essere rimpatriati dove hanno lasciato solo sofferenza, fame e guerra. E poi, come se non bastasse, c’è la Libia e i suoi lager.

Lager libici
La costa ed est di Tripoli è tra i punti di partenza dei migranti più trafficati, dove si trovano i maggiori gruppi criminali che approfittano della tratta per guadagnare prestigio e denaro. Sì, perché a partire da lì ogni singolo migrante diventa merce di scambio, senza nome, identità, dignità o passato. I lager rappresentano il destino di tutti coloro che hanno tentato di raggiungere l’Europa e sono stati arrestati o salvati in mare, respinti e rinchiusi in centri di detenzione, molti dei quali illegali e gestiti da milizie armate. In totale risultano essere 17 i centri riconosciuti e attivi sul territorio (numero in costante mutamento, non sappiamo in realtà quanti ce ne siano effettivi) per circa 1.400 migranti detenuti.

All’interno dei centri le condizioni di vita appaiono insostenibili. Privati del cibo e dell’acqua, chiusi in stanze che superano la capienza massima, torturati al telefono mentre dall’altra parte c’è la famiglia ad ascoltare le grida di dolore, a pensare a come trovare i soldi necessari del riscatto per la liberazione. Ogni forma di protesta, richiesta o disobbedienza viene immediatamente soffocata, a volte fino alla morte.

A testimoniare tali condizioni è Francesca Mannocchi, giornalista e tra i maggiori esperti sul tema, la quale in uno dei suoi reportage ha raccontato ciò che ha visto: “Nel centro ufficiale di Garian ci sono circa 15 contenitori di lamiera e 1400 persone, di cui 250 minori, che sono in questi hangar 24 ore su 24, 7 giorni su 7. In ogni hangar ci sono circa 100 persone e spesso in questi contenitori è così tanta la gente stipata, che fa a turno per dormire perché non tutti riescono a sdraiarsi. Non c’è acqua, non c’è cibo a sufficienza.” Aggiungendo che “I funzionari del ministro libico, cioè gli ufficiali che hanno il dovere di controllare la gestione, mi hanno detto apertamente che, quando non arriva il cibo e non hanno più soldi per acquistarlo, aprono queste gabbie e fanno uscire le persone detenute. Ho avuto anche la possibilità di parlare con un trafficante che, in riferimento ai migranti, ha parlato di ‘stoccaggio merci’. In questi centri di detenzione i medici non possono entrare. Chi è malato è destinato a morire. A un ragazzo nigeriano malato di tubercolosi il console del Niger ha chiesto 1000 dinari libici per i documenti di rimpatrio volontario. Si è intascato i soldi e non si è fatto più vedere”.

L’intervento da parte delle Ong
Secondo i dati elaborati dall’ISPI dalla fonte UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) già a partire da maggio il numero dei migranti all’interno dei centri di detenzione è tornato a crescere e, a fine giugno, conta intorno alle seimila persone. Numeri che preoccupano in particolare le Ong, tra cui Medici Senza Frontiere, che ha annunciato di aver sospeso le attività in due centri di detenzione a Tripoli, e Oxfam, che da anni denuncia l’orrore dei lager libici e lancia appelli all’Italia affinché ponga fine ai finanziamenti alla guardia costiera libica. Finanziamenti che la rendono complice di veri e propri crimini contro ogni forma di umanità. L’Italia dal canto suo, alla luce del rapporto strategico con la Libia, ha definito questa regione come un “porto sicuro” in cui i migranti ed i loro diritti vengono tutelati. La realtà, lontano dai riflettori, è ben diversa e non tutte le Ong lavorano in maniera trasparente.

In un servizio del 2019 realizzato da Le Iene viene evidenziato come i soldi italiani arrivino a finanziare in parte i centri di detenzione libici tramite alcune organizzazioni no profit tra cui CEFA, CESVI, HelpCode o Emergenza Sorrisi. Milioni di euro che avrebbero dovuto avere lo scopo di migliorare le condizioni dei migranti, distribuire coperte, cibo ed acqua, kit sanitari e far fronte al disagio dei servizi igienici, i quali non solo si contano sulle dita di una mano ma versano in uno stato degradante. “C’era sempre il problema del bagno perché per 1.400 persone funzionavano solo 2 bagni”- “ti torturano finchè non perdi i sensi, il dolore lo senti solo dopo. Per esempio ti fanno sedere su una sedia e ti legano mani e piedi, poi ti ribaltano e ti torturano i palmi delle mani e le piante dei piedi”- “un giorno hanno portato un somalo e con un trapano hanno iniziato a bucargli i palmi delle mani” queste alcune delle testimonianze di un sopravvissuto nel campo Triq al Matar.

Un altro pericolo è rappresentato dalle malattie, tra cui la scabbia e la tubercolosi, per le quali ai migranti non viene riservata alcun tipo di cura medica. I soldi donati alle Ong dallo Stato italiano avevano come scopo proprio quello di organizzare interventi sanitari a sostegno dei detenuti nei lager, ma stando alle testimonianze riportate nel servizio, le guardie non davano la possibilità di accedere alle visite mediche: “c’era un ambulatorio esterno, ma non ci permettevano di andare”. Inoltre, durante i controlli da parte delle autorità nazionali venivano distribuite coperte, materassi e kit sanitari che venivano poi ritirati una volta terminata la visita: “durante le visite ufficiali le davano per far vedere che tutto andava bene”.

Di fronte alle accuse di collaborazione con coloro che dirigono i lager rivolte direttamente alle Ong, presidenti e direttori non riescono a fornire risposte chiare e trasparenti, insistendo sull’utilità dei servizi offerti ma senza aver modo di testimoniare che effettivamente i kit medici, ad esempio, arrivino ai migranti e non gli vengano sottratti una volta scattata la foto di “facciata”. Come afferma A. Grassini, direttore di Help Code, “ovviamente io questo non lo potrei dimostrare”. D’altra parte, sempre Oxfam, denuncia come i campi libici siano gestiti da milizie che utilizzano l’organizzazione dei campi per riciclare i proventi della tratta di esseri umani.

Complicità italiana
Tutto questo non è comunque bastato all’Italia che quest’anno ha deciso di rinnovare l’accordo con la Libia. Si tratta del quarto anniversario del “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo del contrasto all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani” voluto nel 2017 dal Ministro degli Interni Marco Minniti, per un totale di circa 785 milioni di euro emessi dall’Italia per contenere le partenze e limitare i numeri dell’immigrazione. Ció senza tener conto dei danni che tali finanziamenti hanno provocato, contribuendo di fatto a destabilizzare ulteriormente il territorio libico ed agevolare il business creatosi intorno all’industria della detenzione.

Proposte di modifica del testo, in una visione più garantista, sono arrivate dal Ministro degli Esteri Luigi di Maio. Secondo la bozza presentata, se da una parte l’Italia s’impegnerà ad offrire un valido supporto alla guardia costiera libica, dall’altra la Libia dovrà facilitare le attività dell’Onu di soccorso e garantire la chiusura dei centri di detenzione illegali. Ad occuparsi della questione sul piano internazionale dovrebbero essere l’Alto commissariato delle Nazioni Unite (Unhcr) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Il primo ha però sottolineato, in vista del Consiglio europeo sul Piano per le migrazioni, come non vi siano le condizioni adatte in Libia per un accordo bilaterale di questo genere “le persone recuperate in mare vengono sbattute in centri di detenzione con un trattamento disumano. Non è accettabile” ed ha aggiunto che, rispetto ad altre regioni, “la Libia è un’altra storia”.

Difatti parliamo di un paese che sta vivendo da anni una profonda crisi interna dettata dalla guerra che, a seguito della morte di Gheddafi nel 2011, ha provocato lo scontro tra le milizie armate del generale Haftar ed il governo sostenuto dall’Onu di al-Sarraj. Un conflitto all’interno del quale hanno proliferato vari interessi da parte di Italia, Russia e Turchia e che sembrerebbe aver trovato una precaria tregua con la nomina da parte dell’Onu del Primo Ministro Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh. Il Primo Ministro si trova così a capo di un governo ad interim che dovrebbe traghettare il paese verso le elezioni di dicembre, in un processo di pace sostenuto dalle Nazioni Unite per un governo di unità nazionale.

In ogni caso al momento i buoni propositi non hanno trovato applicazione, nonostante l’appello da parte dell’opinione pubblica, nonché delle Ong, affinché l’accordo non venisse modificato ma del tutto annullato. In particolare Oxfam ha chiesto:
• Un appello al Parlamento per mostrare un sussulto di umanità, non autorizzando gli stanziamenti previsti per quest’anno e votando una delle risoluzioni che saranno presentate da parlamentari che hanno a cuore i diritti umani.
• L’immediata istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta che faccia luce sui naufragi avvenuti nel Mediterraneo centrale, sulle palesi violazioni dei diritti umani compiute in Libia e sulle responsabilità politiche italiane a queste collegate.
• Che ogni forma di futura collaborazione sia subordinata ad un più ampio negoziato internazionale in grado affrontare la questione della detenzione arbitraria e di tutelare i diritti fondamentali di migranti e rifugiati.

Il tutto sta nello scegliere da che parte stare, le condizioni in cui versano i migranti e le ripetute violazioni dei diritti umani all’interno dei lager libici non possono più passare in secondo piano.

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