“Non distogliete lo sguardo da Myanmar” è un invito a non essere indifferenti davanti ad un grave attacco ai diritti umani che sta avvenendo in questi giorni nell’ex Birmania, dopo che l’esercito ha preso con la forza il potere ed ha assediato la città di Yangon con le proprie truppe sparando contro i manifestanti, tra cui ragazzi giovanissimi. Aung San Suu Kyi, eroina della democrazia, è stata arrestata ed ora il rischio è rappresentato da una nuova dittatura militare. Non distogliete lo sguardo da Myanmar  Il colpo di Stato militare Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Chi è Aung San Suu Kyi
La storia di Aung San Suu Kyi è un intreccio di successi, rinunce, dolore e amore in un continuo e particolare rapporto con il potere dell’esercito birmano.
La Lady, figlia del generale che aveva ottenuto l’indipendenza del paese dal Regno Unito, è considerata il simbolo della libertà a Myanmar. Suo padre fu ucciso proprio mentre stava avviando un nuovo progetto in grado di ricostruire lo Stato sulla base di democrazia e libertà. Per la popolazione divenne un martire, tanto che sua figlia, soprannominata Orchidea D’Acciaio, verrà da subito riconosciuta come colei che salverà la nazione dai soprusi e dalla coartazione. Ispiratasi ai principi di Gandhi, tramite la non-violenza, Suu Kyi ha completamente rivoluzionato il concetto di libertà in una continua lotta contro i poteri forti, che della violenza fanno la loro matrice.

Per molti anni Myanmar è stata dominata da una dittatura militare, motivo per il quale l’esercito in questa parte del sudest asiatico ha sempre rivestito un ruolo fondamentale nel paese, tanto che dal momento in cui la Lady decise di creare il suo partito d’opposizione, la Lega Nazionale per la Democrazia (LND), fu arrestata più volte, passando circa quindici anni agli arresti domiciliari. I suoi sostenitori vennero torturati, imprigionati ed uccisi.

Perché quando un’intera popolazione si schiera dalla parte della democrazia l’unico strumento che un regime totalitario ha in mano per reprimerla è quello del terrore e dell’isolamento. Fino a spingerti a pensare che poi, infondo, quella causa che sostieni e combatti, non vale poi la pena fino al punto di mettere a rischio la tua stessa vita e quella dei tuoi cari. Il sentimento più romantico della lotta per la libertà sta proprio in questo, nel mettere in gioco tutto ciò che hai pur di realizzare un valore più grande per un futuro migliore. Ed è quello che ha fatto Suu Kyi abbondonando la sua vita in Inghilterra dove viveva con il marito ed i figli per tornare in patria a cambiare le cose. Ha rinunciato a vedere la sua famiglia per anni, hanno cercato di isolarla, di indebolirla, di spingerla a disertare la causa, ma l’amore per la sua patria e per la sua gente non l’hanno mai abbandonata.

La vittoria della LND
In ben due momenti fondamentali la storia è stata testimone della vittoria del bene sul male. Le elezioni del 1990 furono le prime elezioni multipartitiche che si tennero dal 1960, quando il paese era caduto sotto la dittatura militare, e la LND ottenne l’80% dei voti, umiliando, de facto, il partito più vicino alla giunta militare, ovvero lo SLORC. Il risultato di queste elezioni non venne accettato ed iniziò una durissima repressione da parte dell’esercito che obbligò Suu Kyi ai domiciliari. L’anno successivo la comunità internazionale lanciò un forte segnale assegnando a Suu Kyi il prestigioso Premio Nobel per la Pace, ma questo non bastò ad intimidire la Forza Armata, che soltanto il 13 novembre del 2010 decise con un gesto simbolico di porre fine agli arresti; probabilmente per dare la possibilità al paese di aprirsi di più nei confronti della comunità internazionale e agli investimenti stranieri. A partire da questo momento è stato creato un governo di transizione che nel 2012, non solo ha permesso a Suu Kyi di ottenere un seggio in Parlamento, ma ha posto le basi per il secondo momento di svolta nella storia birmana.

Le elezioni del 2015 sono state una vittoria storica per la LND e per la sua leader, dopo anni di opposizione e reclusione, diventata finalmente primo ministro di Myanmar, grazie al notevole sostegno ricevuto dall’opinione pubblica che, nonostante la repressione, non ha mai smesso di credere in lei. Le strade prima tracciate dai carri armati, si riempirono di persone che festeggiavano quello che sembra essere l’inizio di una nuova era, dove tutto è possibile. I prigionieri politici vengono liberati, il governo inizia ad assumere una legislatura con caratteristiche più moderne e la libertà di stampa viene estesa come anche l’utilizzo di internet e dei social network. La democrazia è, però, ancora molto lontana dalla realtà, poiché le forze armate continuano ad influenzare fortemente il governo mantenendo il controllo sui tre ministeri principali: il ministero dell’interno, la difesa ed il ministero dell’integrità nazionale e della difesa dei confini. Inizia dunque una lunga convivenza al potere tra l’esercito e la Lady.

Elezioni Novembre 2020: il cambio di rotta
La difficile transizione democratica subisce una battuta d’arresto a seguito delle ultime elezioni svoltesi a seguito dei cinque anni al governo di Aung San Suu Kyi. L’esercito aveva fatto una scommessa, ovvero che la Lady non avrebbe retto la portata del potere, ma anzi, sarebbe stato il potere stesso ad indebolirla fino al punto di farle perdere il consenso fino a quel momento ottenuto tra la popolazione e che, di conseguenza, ciò sarebbe bastato per eliminarla. Ma le scommesse si vincono e si perdono, quella dell’esercito fu una scommessa radicalmente persa. I risultati delle elezioni dimostrarono una seconda vittoria schiacciante per la Lady, insostenibile per la Forza Armata. Il primo febbraio 2021 il generale Min Aung Hlaing ha quindi guidato le truppe verso il Golpe, ha ripreso il potere con la forza ed ha arrestato nuovamente Suu Kyi. Internet e i social network sono stati bloccati per non permettere a nessuno di entrare in contatto con il mondo esterno o di organizzare manifestazioni. I soldati sono tornati a sparare per le strade contro tutti coloro che osano manifestare in favore della democrazia e della politica rivoluzionaria che sembrava aver riportato la luce a Myanmar.

Il generale ha annunciato che questo governo militare durerà un anno, ma potrebbe protrarsi per più tempo e soprattutto compromettere l’equilibrio costruito negli ultimi cinque anni, in particolare con le numerose minoranze etniche che popolano la Nazione, molte delle quali comprendono gruppi armati. Aung San Suu Kyi difatti era riuscita a creare una forma di collaborazione tra una decina di formazioni armate regionali, decise ad aderire ad un “cessate il fuoco”, primo passo verso uno degli obiettivi della Lady: fare del Myanmar una federazione in grado di rendere conto di tutte le minoranze presenti.

L’importanza dell’intervento della comunità internazionale
Distogliere lo sguardo da Myanmar ora non vuol dire essere neutrali. È necessario che la giunta militare comprenda di non avere il consenso da parte dell’intera comunità internazionale e che quest’ultima agisca soprattutto nei confronti dei paesi asiatici con cui l’ex Birmania ha maggiori relazioni economico-commerciali. La Cina non si è particolarmente sbilanciata su quanto accaduto, preferendo salvaguardare l’aspetto economico su tutto il resto, a prescindere da chi è o meno al governo. Ma è proprio a su paesi come la Cina che l’occidente deve far leva affinché intervengano, in quanto sono gli unici ad avere una reale incidenza sul Myanmar.

La speranza risiede soprattutto nelle nuove generazioni birmane, cresciute in un periodo caratterizzato da un’ampia libertà  che difficilmente si lasceranno portar via. Poiché, aldilà di ogni violenza, il consenso appartiene alla Lady come simbolo di libertà e democrazia. Una grande donna contro uno degli eserciti più oppressivi e riservati al mondo.

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