Referendum: cosa è cambiato tra il SI del 2020 e il NO del 2016?

Nel referendum costituzionale tenutosi il 20 e 21 settembre 2020 sul taglio dei parlamentari ha vinto il SI con il 69,96% di voti favorevoli contrariamente al precedente del 2016 proposto dal Governo Renzi. La cosiddetta riforma costituzionale Renzi-Boschi dal nome dell’allora capo di Governo Matteo Renzi e del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi (entrambi ex PD) ha avuto esito negativo con il 59,12% di NO.

I quesiti dei due referendum erano diversi quanto alla formulazione ma sostanzialmente chiedevano entrambi una conferma sulla riforma per la riduzione della rappresentanza. Un’analisi dettagliata dei rispettivi quesiti permetterà di comprendere meglio le loro analogie e differenze nonché la prevalenza del SI nel 2020 contro il NO espresso nel 2016.

Il referendum costituzionale del 2016: 

La riforma era volta a modificare diversi aspetti dell’apparato statale. I punti discussi da anni e che accomunano questo referendum con il successivo del 2020 sono: il superamento del bicameralismo paritario e la riduzione del numero dei parlamentari.

Il bicameralismo paritario è una caratteristica unica del nostro Parlamento, nella maggior parte dei paesi con un ordinamento democratico non è dato lo stesso peso a entrambe le Camere. Il fatto che per l’approvazione di un testo di legge ci debba essere la maggioranza sia della Camera dei Deputati che del Senato sugli emendamenti approvati in seno all’altra Camera allunga i tempi di promulgazione della legge, provocando a volte dei blocchi legislativi. Finché le Camere non sono d’accordo sul medesimo testo legislativo scatta il meccanismo delle cosiddette “navette parlamentari” ossia il passaggio continuo del testo con i rispettivi emendamenti da una Camera all’altra.

Il Parlamento italiano è sostanzialmente debole rispetto a quello di altri paesi, la medesima composizione degli eletti in entrambe le Camere e gli stessi poteri (che allungano l’iter legislativo) fanno sì che il Senato sia un doppione della Camera. Il bicameralismo “perfetto” sembra essere più un ostacolo che una risorsa.

Per quanto riguarda la riduzione del numero dei parlamentari: la legge costituzionale di riforma prevedeva la modifica dell’art.57 e 59 Cost. La riduzione del numero dei parlamentari era diretta al solo Senato, il numero dei deputati sarebbe rimasto invariato.

Il Senato sarebbe stato trasformato con il passaggio da 315 a 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali più altri 5 nominati dal Presidente della Repubblica non più a vita ma con un mandato di 7 anni senza rieleggibilità. Questa riduzione netta del numero dei senatori era volta a trasformare la seconda Camera in un organo rappresentativo delle territorialità, una funzione precisa che rispecchia quella della Camera alta in altri Stati. L’obiettivo era evitare di avere un doppione della Camera dei Deputati, come già detto, snellendo così l’iter legislativo. Gli interventi del Senato nella formulazione delle leggi venivano elencati nel dettaglio all’art.70 anch’esso oggetto di riforma, al di là delle materie tassativamente previste in questo articolo solo la Camera dei Deputati si sarebbe espressa in via definitiva e sarebbe stata l’unica a dare la fiducia al Governo.

Il quesito del referendum costituzionale del 2020:

L’oggetto del quesito referendario del 20 e 21 settembre 2020 era la riduzione del numero dei parlamentari. Le modifiche concernenti gli art.56, 57 e 59 della Costituzione sarebbero state: il passaggio da 630 a 400 deputati con 8 eletti nella circoscrizione estero e da 315 a 200 senatori di cui 4 eletti in circoscrizione estero.

Il numero dei parlamentari per abitanti varia non più sulla base di un rapporto numerico costante tra rappresentati e rappresentanti ma sul rapporto tra il numero totale della popolazione italiana come dall’ultimo censimento e il numero dei deputati e senatori eletti in Italia ossia 392 e 196 (poiché i restanti sono nominati in circoscrizione estero). Distribuendo poi i seggi secondo la percentuale di popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti per la Camera. La ripartizione dei seggi per il Senato tra le Regioni e le province si effettua in proporzione alla popolazione quale risulta dall’ultimo censimento sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. Il numero minimo di senatori per le Regioni e province autonome passa da 7 a 3, per il Molise e la Valle d’Aosta rimangono rispettivamente 2 e 1. Il Presidente della Repubblica potrà nominare solo 5 senatori a vita.

In sintesi per ciascun rappresentante il numero medio di abitanti si alza, determinando così una minore rappresentatività. All’interno del Senato questo fattore incide molto sulle Regioni con un minor numero di abitanti: con soli 3 seggi occupati invece di 7 in queste Regioni le minoranze sarebbero sacrificate dalla vittoria dei partiti più forti senza possibilità di acquisire un seggio e le Regioni popolose del Nord potrebbero avere più peso.

In assenza di una riforma del funzionamento delle Camere, rimane il bicameralismo perfetto ciò significa che il Senato si configura ancora come uno specchio della Camera con il rischio di blocchi legislativi e con meno rappresentanti per i rappresentati.

Conclusioni

A seguito della vittoria del SI del referendum 2020 urge la definizione di una legge elettorale che riformi i collegi e dia la possibilità anche alle minoranze di essere rappresentate, per questo le forze di Governo sono orientate verso il cosiddetto Brescellum una legge elettorale proporzionale votata in commissione, che seppur preveda una soglia di sbarramento superiore (il 5%) assicurerebbe il diritto di tribuna. Ai partiti non resta che valutare questi punti prima dell’attuazione della riforma costituzionale che coinciderà con lo scioglimento delle Camere al termine di questa legislatura.

Tornando al referendum del 2016 forse la vittoria del NO è stata dovuta alla posta in gioco che aveva pattuito l’allora Premier Matteo Renzi, il quale in caso di esito negativo del referendum si sarebbe dimesso. L’antipatia verso il leader di Italia Viva sicuramente ha avuto un ruolo nella scelta degli elettori ma non solo. Il quesito proposto nel 2016 è stato criticato da diverse forze politiche per la scarsità dei dettagli e l’eterogeneità dei punti soggetti alla riforma, gli elettori avrebbero dovuto votare senza sapere esattamente le conseguenze del SI (almeno i meno informati).

La semplicità della legge elettorale proposta dal M5S insieme alla Lega nel 2018 nonché del quesito referendario, coadiuvata dalla propaganda dei principali leader di maggioranza e opposizione verso il SI sembra aver avuto la meglio. Gli elettori hanno apprezzato e recepito la comunicazione dei rappresentanti, bisogna vedere se la riforma adottata sarà altrettanto efficace per il nostro sistema.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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