Siamo il penultimo Paese in Europa per numero di laureati nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni. Subiamo da anni tagli alla spesa pubblica per l’istruzione. Assistiamo a un numero crescente di chiusure delle biblioteche e in generale dei “luoghi del sapere”. Il sistema scolastico in Italia è in piena crisi. Sia per gli studenti, che si sentono messi sotto pressione da questo modello scolastico, sia per il corpo docente, che si vede privato delle proprie risorse. I problemi sono molti e complessi quando si parla della “cosa pubblica” ma, per la scuola e l’università, è diverso. Inutile sottolineare l’aspetto funzionale della formazione, meno scontato, e forse più drammatico, il suo aspetto costitutivo. Questo è sia personale, in quanto segna emotivamente la persona nella sua età più “malleabile”, sia collettivo. Viene infatti poco evidenziato il fatto che in futuro, stando al trend dei dati, una buona parte della popolazione sarà scarsamente formata.

L’importanza dell’istruzione

Viviamo in una democrazia che, per definizione,è un sistema di allocazione del potere, elaborato, in Italia, meno di un secolo fa. Per ora ci sembra questo il modo più giusto di organizzare la società. Questo sistema però funziona grazie ad una popolazione istruita e conscia dei suoi diritti e dei suoi doveri. Avendo in mente la portata del problema, nelle prossime righe, riporteremo un’intervista fatta a due studenti. Chiaramente non è possibile trovare soluzioni attraverso l’esperienza di soli due studenti, ma cercheremo di cogliere nelle loro risposte alcuni punti critici che spesso caratterizzano l’esperienza scolastica.

Parola a Flavio

Flavio è uno studente della Sapienza presso la facoltà di comunicazione e, precedentemente, si è diplomato al liceo scientifico. Chiedendogli cosa gli fosse rimasto della scuola primaria e secondaria ha sottolineato come, per lui, non ci siano “ricordi positivi” di quella esperienza. Il suo è un giudizio completamente negativo quando aggiunge che il liceo con lui “ha fallito”. Data la sua risposta, gli ho domandato cosa avrebbe cambiato, a posteriori, per evitare questo suo disagio. “Leverei certe materie, in primis il latino” è stata la sua risposta. Successivamente ha specificato come, nei diversi indirizzi, ci siano materie “completamente inutili”. Qui troviamo già un primo grande scarto. Le materie che insegniamo ai ragazzi sono quelle “giuste” ? Lo studio di certe materie, oltre al loro contenuto, ha la funzione di sviluppare nello studente il “famoso” metodo di studio. Per fare ciò, l’insegnamento deve incontrare gli interessi dei ragazzi, altrimenti, come testimoniato da Flavio, non si sviluppa alcun metodo. Altro punto toccato da Flavio, è quello relavito ai voti, quando ha aggiunto “i voti devono essere oggettivi”. Ha osservato nella sua esperienza che, troppo spesso, la valutazione dello studente è risultata essere “soggettiva”. Di conseguenza, in un’età cosi delicata, dove il giudizio può pesare sostanzialmente sui ragazzi, bisognerebbe evitare una valutazione “secondo gli umori” dei professori. Passando al periodo universitario, dice di essersi trovato “piacevolmente sorpreso” dell’ ambiente universitario. Anche nel sistema di valutazione universitario, riscontra la mancanza di una “garanzia” di obiettività ma riconosce “un’oggettività maggiore” rispetto al liceo. Lamenta, invece, la “sola teoria” all’interno dei corsi che ha seguito, e di conseguenza, l’assenza di uno sviluppo pratico delle conoscenze apprese. Infine ho voluto sapere il suo punto di vista su uno dei temi più dibattuti, ovvero, quello sulla meritocrazia. Flavio ha esordito dicendo che “non c’è meritocrazia”, ma soprattutto, servirebbe “meno punizione”. Quest’ultima espressione mi riferisce essere una conseguenza della “pressione” data dai voti e dai giudizi che hanno reso complicata la sua esperienza scolastica.

Parola a Francesco

Francesco si è diplomato al liceo classico e ora frequenta la facoltà di filosofia presso “La Sapienza”. Per quanto riguarda la sua esperienza al liceo, dice di aver avuto delle relazioni complesse con i suoi compagni. Francesco specifica che nel periodo della quarantena, dovuta al Covid-19, non ha sentito “la mancanza della classe”. Per quanto riguarda l’insegnamento al liceo classico, dice di trovare “superficiale” lo studio della grammatica latina e greca, preferendo ad esse, una maggiore attenzione ai testi di natura letteraria. Nuovamente riscontriamo questa divergenza tra gli interessi degli studenti e le materie effettivamente insegnate. Proprio il suo professore di filosofia del liceo, che doveva dargli le basi per approcciare all’università, è stato da lui percepito come “una figura totalmente assente, superficiale che non amava quello che insegnava”. Sul piano del sistema di valutazione trova sbagliato l’uso del voto che spesso “disincentiva” i ragazzi e li può portare ad “abbandonare il percorso di studi”. Mentre per quanto riguarda l’università, osserva un grande problema legato al caro affitti e alla poca tutela offerta agli studenti in questo ambito. A proposito, Francesco ricorda la protesta degli studenti che si sono “accampati” in varie università italiane per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema caro affitti. In conclusione ho voluto sapere il suo punto di vista sul dibattito legato alla meritocrazia. Inizialmente ha evidenziato come, in questo senso, c’è stato da parte dell’attuale governo un chiaro segno di rimettere il merito al centro dell’attenzione, modificando il nome del dicastero preposto, in “Ministero dell’Istruzione e del Merito”. Francesco ha poi espresso di essere rimasto scioccato quando il Ministro Valditara ha in un suo discorso parlato di “umiliazione” necessaria per la crescita dello studente. Infine lo studente ha aggiunto che “il merito non per forza si crea con le proprie mani”, mettendo in evidenza come, prima di parlare di merito, bisognerebbe parlare di “uguaglianza delle partenze”.

E’ il momento del merito?

In conclusione, possiamo cogliere da queste due testimonianze qualche punto in comune che ci aiuta ad individuare alcuni punti critici. In primis, il senso della scuola. Questo risiede, come abbiamo visto, nel crescere generazioni pronte ad affrontare il mondo con spirito critico. Il vero motore del sistema è l’interesse degli studenti, che deve essere catturato da un insegnamento fatto a misura dei ragazzi, senza incaponirsi con vecchie formule che non migliorano l’esperienza scolastica. Infine l’aspetto della valutazione. Gli studenti, soprattutto nei primi anni, sentono forte la pressione di raggiungere un certo standard. Questa pressione deve essere scaricata dalle spalle dei ragazzi che dovrebbero pensare solo a entrare in contatto con la conoscenza nel modo più libero possibile. Sarà quindi necessario ripensare la scuola partendo dai suoi protagonisti principali, gli studenti e la conoscenza, lasciando loro la piena possibilità di incontrarsi e di rinnovarsi.

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