Considerato da molti uno dei casi più emblematici del degrado e dell’abbandono tipici della periferia romana, lo stabile ospitante l’ex fabbrica di cucine “Linda”, situato in via Nomentana 611 ed attivo fino alla metà degli anni 70’, nasconde in realtà ancora oggi un potenziale non indifferente… Lotta al degrado: la possibile riconversione dell’ ex fabbrica “Linda” a Roma Direttore Claudio Palazzi
La situazione
A quasi 50 anni dall’ultimo giorno di attività, il complesso di edifici ospitante l’ex fabbrica “Linda” sembra ormai essere abbandonato a sé stesso: sterpaglie, immondizia e più in generale abbandono e degrado, sono tra gli elementi che più caratterizzano quello che un tempo si prestava in termini industriali come uno dei maggiori fiori all’occhiello del IV (ormai III) municipio.

Situata in una zona di spiccato interesse naturale, in virtù della prossimità alla Riserva naturale della Valle dell’Aniene così come al Ponte Tazio ed al Ponte Nomentano, la fabbrica è stata più volte considerata tra i diversi siti meritevoli di una potenziale riqualificazione. L’area fu infatti già individuata in passato come una delle possibili candidate per il progetto TUTUREU (Temporary Use as a Tool for Urban Regeneration) per la città di Roma, un progetto pilota finanziato dall’Unione Europea tra il 2013 ed il 2015 per il riutilizzo temporaneo di spazi pubblici e strutture dismesse, come strumento di rigenerazione urbana.

Nonostante la mappatura e la candidatura però, a più di 5 anni dal termine del progetto, della riqualificazione non si è vista nemmeno l’ombra: citata nel corso degli anni anche in numerosi programmi elettorali per la presidenza del municipio, l’area purtroppo sembra ormai essere fuori dall’attenzione dei radar istituzionali locali nonostante appelli e richieste di numerosi residenti e abitanti, che non mancano di dimostrare una certa disillusione e frustrazione a riguardo. “Una continua presa in giro” sostiene Luca, uno dei tanti esercenti della zona: “Sono anni che cerchiamo di sollecitare un qualche tipo di intervento, l’edificio rischia di cadere a pezzi se non si agisce il prima possibile, e la zona ha già abbastanza disagi per quanto mi riguarda”. Non molto diversamente la pensa anche Stefania, madre di due figli e da sempre residente nel quartiere: “Già diversi anni fa la fabbrica fu colpita da un incendio, onestamente se non si è agito a quel tempo, difficilmente penso possano farlo ora”.    Fabrizio, uno dei tanti pensionati che abitano il rione ci dice: “Un vero peccato, ricordo benissimo il via vai di persone e merci quando la fabbrica era ancora in funzione, oggi non posso pensare che uno spazio tanto grande non possa essere riconvertito in qualche maniera, ma d’altronde siamo a Roma, va quasi sempre a finire così, anche se non capisco se sia una questione di fondi o di volontà”.

La possibile riconversione
Nonostante lo stato di semi abbandono, il complesso sembra ancora offrire qualche speranza di riqualificazione: sebbene i primi segni di cedimento sui muri siano piuttosto evidenti, nulla in realtà esclude ancora un futuro intervento di “messa in sicurezza”, specialmente perché stiamo parlando di un’area di circa 720m2, su cui sicuramente è possibile progettare un’innovativa riconversione.

Lo stabile presenta un cancello d’ingresso che affaccia su una corte interna piuttosto spaziosa; il corpo centrale, che insiste direttamente sul parco, è quello più grande: si compone di 3 piani e misura circa 500 m2 di superficie. A sinistra e a destra della corte insistono poi altri due immobili, con una superficie pari a circa 200 m2: questi sono più piccoli, si innalzano su due livelli e pare siano disabitati. Insieme alla vastità dell’area su cui si innesta, il complesso appare poi dotato anche di elementi “facilitatori” per futuri progetti: sono presenti infatti un impianto idrico ed elettrico, un accesso per coloro che soffrono di disabilità così come uno spazio più che sufficiente per il carico-scarico merci. Non bisogna poi sottovalutare la stessa posizione strategica del complesso, insieme alla grande frequentazione abituale della zona e più in particolare della via, caratterizzata da diversi locali, una riserva naturale, un parco per bambini ed un’area cani: il potenziale è sicuramente notevole, data la capacità di attirare contemporaneamente sia i più giovani che i più anziani.

Sulla base di queste premesse, un possibile progetto di recupero non sembra poi essere un qualcosa di tanto utopico come spesso si è portati a pensare: esattamente come già avvenuto per molti edifici ed aree abbandonate sia in Italia che soprattutto in Europa, l’ex fabbrica può rientrare a tutti gli effetti in un’ ottica di spazio d’interazione, condivisione e sperimentazione a servizio dei cittadini, a maggior ragione se posta in un’area tanto popolosa come quella presa in considerazione. Le strade da esplorare sono sicuramente molteplici, ma quella di una “socialità alternativa” appare probabilmente come la migliore in un quartiere dove la presenza di musei, associazioni culturali così come di arte e spettacolo è minima se non addirittura assente.

Si potrebbe pensare ad esempio alla realizzazione di un centro polifunzionale dedicato alla cultura e all’aggregazione, uno spazio aperto alla città che coinvolga in particolare i giovani sia nelle vesti di fruitori che in quelle di produttori di contenuti culturali e artistici, fondato sulla partecipazione attiva e sul confronto, come già accaduto ad esempio nella città di Milano con l’ex sede della Carminati & Toselli.                            Con un occhio maggiormente rivolto ad un’ottica “green” invece, si potrebbe integrare il complesso dismesso con la riserva naturale limitrofa e le attrazioni circostanti, quasi come ci si trovasse all’interno di un unico “parco urbano”, dove l’ex fabbrica potrebbe fungere da museo o più semplicemente da centro espositivo, incentrato sulla storia del quartiere e del suo rapporto più generale con l’intera città.
Considerando poi la numerosa presenza di scuole elementari e medie, ma anche di istituti superiori all’interno del municipio, così come in generale di studenti di tutte le età, si potrebbe sfruttare la suddivisione in 3 blocchi dell’intero complesso per realizzare una piccola biblioteca di quartiere con annesse aule studio, così da riuscire ad attirare una platea tanto differenziata quanto integrata: tale suddivisione limiterebbe infatti eventuali problemi di organizzazione, permettendo così una molteplice frequentazione ed evitando al contempo che lo stesso complesso venga associato principalmente a qualche categoria o fascia d’età, risultando invece in un punto di riferimento generale per l’intero quartiere.
Spostandoci su un piano più etico, il complesso potrebbe essere riammodernato sulla base di un nuovo “luogo d’incontro” capace di promuovere una cittadinanza attiva, prestandosi ad esempio come la potenziale sede in cui residenti ed abitanti della zona si confrontano, discutono e avanzano proposte apolitiche per ovviare a problemi e disagi più comuni ai molti.

A prescindere dalle possibilità esplorate, il recupero di aree dismesse e semi abbandonate come quella dell’ex fabbrica “Linda” rappresenta una delle sfide più cruciali a cui la Capitale dovrà prestarsi da qui ai prossimi decenni, con un imperativo comune: ripartire dalle esigenze della cittadinanza.

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