IL DIRITTO A MANIFESTARE AI TEMPI DELLA FASE 2

Tra gli aspetti più controversi di questo ritorno alla normalità in salsa Covid c’è sicuramente la possibilità di esercitare uno dei diritti più importanti sanciti dalla nostra Costituzione. Parliamo del combinato disposto degli articoli 17, 18 e 21 che possiamo riassumere nel concetto di “diritto a manifestare”.

Da quando è stato possibile tornare alla nostra quotidianità, armati però di mascherina e presidi vari, ci si è chiesti come affrontare il problema degli assembramenti. Questi rimangono infatti vietati secondo quanto affermato dal Decreto Legge n.33 del 16 Maggio. Il parallelo e contestuale DPCM (strumento di natura amministrativa, va ricordato) offre però una tutela per uno dei diritti più importanti nell’esercizio del potere democratico. All’articolo 1, lettera i) si afferma infatti che le manifestazioni sono consentite in forma statica e nel rispetto delle distanze di sicurezza.

Insomma, lo Stato ha cercato per quanto possibile di non “soffocare” la possibilità degli italiani di scendere in piazza, ricorrendo anche in questo caso alla responsabilizzazione della comunità. Ciò tenendo anche conto delle ondate di movimentazione che arrivano dagli USA.

Anche in Italia sono infatti state avvertite le istanze di protesta della società statunitense per la morte di George Floyd, concretizzatesi in manifestazioni di solidarietà (non violente) al grido di “I can’t breathe” e “black Lives Matter”. Possiamo prendere queste manifestazioni come esempio parzialmente virtuoso di esercizio di un diritto che appare nonostante tutto fortemente limitato. In tutta Italia, specialmente ragazzi, si sono riuniti nelle piazze di Torino e Bologna (sabato 6) e Roma e Milano (domenica 7).

Sarebbe lontano dalla verità dei fatti però descrivere una realtà fatta di una rigida applicazione delle misure di contrasto alla diffusione del virus. Se l’utilizzo di mascherine è stato in queste occasioni una (buona) pratica comune a quasi tutti i partecipanti, spesso utilizzate anche per veicolare messaggi, non è stato altrettanto facile garantire il rispetto delle distanze di sicurezza, anche se non sono mancati gli sforzi in tal senso. A tal proposito la natura statica delle manifestazioni (che sono state convocate come “flash mob”) ha rappresentato un vincolo ma allo stesso tempo uno strumento di controllo per gli organizzatori e i partecipanti stessi.

Ben altro spettacolo ci danno le manifestazioni del 2 e 6 Giugno a Roma. La prima è stata organizzata dalle forze politiche di opposizione: Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno manifestato il proprio dissenso contro il governo “giallorosso”, reo di aver promesso tanto a parole e aver realizzato nulla nei fatti. Nelle intenzioni degli organizzatori sarebbe dovuta essere una “protesta silenziosa”, fatta di cartelli ma senza bandiere di partito e soprattutto nel rigoroso rispetto delle misure di prevenzione. L’elemento cardine sarebbe dovuto essere un enorme tricolore da far sventolare a piazza del Popolo e, contemporaneamente, nelle altre piazze d’Italia.

Ciò che è successo va profondamente contro quanto stabilito, anche per diretta responsabilità dei tre leader Salvini, Meloni e Tajani. Nel giro di pochi minuti dall’inizio della manifestazione è stato subito evidente come questa non potesse essere un flash mob, tant’è vero che si è preferito cambiare programma e avviare una marcia lungo via del Corso, srotolando un lunghissimo tricolore da portare a mano. La conseguenza è stata l’evidente necessità di stipare le persone ai lati della bandiera nella via già di per sé stretta.

A questo si aggiunge la mancanza di ogni scrupolo nel mantenimento delle distanze, e soprattutto la mancata presenza di mascherine o, nel migliore dei casi, un loro utilizzo in maniera del tutto errata. Paradossale pensare poi che è stato lo stesso leader della Lega Salvini ad introdurre, con il decreto sicurezza Bis  nel Giugno 2019, una misura che aggrava le pene per chi,durante le manifestazioni, crea disordini con il volto coperto o parzialmente non identificabile. diritto a m

Ancora diverso è il contesto di quanto successo il 6 Giugno a Circo Massimo. Annunciata e convocata da un’associazione, i “Ragazzi d’Italia” (di cui peraltro sono spariti i contatti social subito dopo gli incidenti), nata proprio per preparare la manifestazione, è stata più volte ricondotta al mondo dell’estrema destra e genericamente al mondo “ultras” dalla stampa nazionale. Di cosa voglia dire essere ultras e del rapporto di questa sottocultura con la politica ne avevamo già parlato.

Alla luce di quanto detto (cioè che è molto difficile inquadrare un ultras in una militanza politica attiva e costante)  appare quindi sbagliato quanto hanno detto tutti i principali quotidiani che hanno considerato questa manifestazione una “scesa in campo” unita dell’estrema destra e del mondo del tifo organizzato. In primis perché molte delle tifoserie organizzate (Atalanta, Roma, Napoli, Milan, Inter) hanno esplicitamente espresso il disinteresse e la non partecipazione verso quanto era in via di preparazione. E non perché il mondo ultras non sia in grado di gestire posizioni comuni e trasversali, come accaduto nelle rimostranze contro la tessera del tifoso.

Non si può in ogni caso dire che tra le circa 2000 anime che si sono presentate non ci fossero dei gruppi, anche storici. Tra le varie città rappresentate possiamo contare Brescia, Verona, Padova, nonché la presenza di gruppi della curva nord della Lazio. Di sicuro c’era chi covava sentimenti di protesta e di malessere per la situazione e ha sentito la necessità di scendere in piazza. Ma è altrettanto certo che la presenza di vertici e militanti di Forza Nuova sia una spia importante di cosa si è voluto fare. Cavalcare la frustrazione per tre mesi di difficoltà attraverso la naturale carica antagonista e conflittuale propria del mondo ultras per far sembrare l’ambiente dell’estrema destra quello più vicino al popolo (i molteplici riferimenti al tricolore non sono un caso). E così se da un lato nell’opinione pubblica si rafforza l’idea di ultras come elemento deviato della società che causa scontri e da fuoco al circo massimo, dall’altro aumentano le possibilità per queste forze politiche di fare propaganda nel mondo delle curve, proprio a causa della loro crescente emarginazione da parte di istituzioni e società. diritto a manifestare

Alla linea tragicomica delle manifestazioni in fase 2 ci ha poi pensato l’intramontabile generale Pappalardo, già leader del movimento dei forconi (tra le avventure più memorabili ricordiamo “l’arresto” del deputato PD Rosato a nome del popolo italiano). Anche in questo caso le misure di prevenzione non sono state rispettate, anzi quella dei “gilet arancioni” è stata una manifestazione contro le misure stesse. Non sarebbe tuttavia dignitoso per chi legge (né per chi scrive) soffermarsi sui contenuti del dibattito tenutosi (basti pensare all’affermazione “Conte ci inietta il mercurio nelle vene collegate ai 5G [sic]). Possiamo quindi considerare anche questa manifestazione come esempio di “irresponsabilità pubblica” degli organizzatori. diritto a manifestare

Insomma, a livello scientifico non possiamo mancare di sottolineare come ogni assembramento (e quindi anche quello mosso dai più nobili ideali) rappresenti un danno per la salute pubblica nonché un rischio per eventuali ricadute in lockdown. Dobbiamo altresì affermare che una gestione razionale di manifestazioni statiche (così come definito dalle linee guida governative) può rappresentare un punto di forza a favore dei manifestanti. Punto di partenza deve essere però quel senso di responsabilità, la cui mancanza ha accomunato, almeno per un weekend, opposizione parlamentare, estrema destra e gilet arancioni.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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