Come previsto, la seconda ondata è arrivata. Le autorità ci esortano a stare a casa il più possibile, uscire solo per lo stretto necessario, cercare di evitare contatti diretti con persone fuori dal nucleo familiare. Angoscia e frustrazione dilagano, alimentati dalle notizie dei media, dalle scelte governative, dall’incapacità di vedere un futuro sereno. Eppure, non tutti hanno il privilegio di potersi lasciare trascinare dalla paura. Infermieri nel 2020: una testimonianza dal fronte Direttore responsabile: Claudio Palazzi
All’ordine del giorno nel loro lavoro, le emergenze non sono una novità per gli operatori sanitari pubblici in prima linea. «Noi lavoriamo sempre con le urgenze, non è questa la prima» ci racconta Federica Rossi, infermiera da 30 anni. «Certo un’urgenza così importante non ce l’abbiamo mai avuta, però noi, come infermieri, siamo sempre stati a contatto con patologie infettive», «perché il paziente che arriva al pronto soccorso è un paziente particolare, potrebbe avere tante situazioni collaterali».

Specializzata in Area Critica, per 15 anni in rianimazione all’ospedale CTO Garbatella, poi al Pronto Soccorso del Sandro Pertini, Federica Rossi, da operatore in prima linea descrive lucidamente la situazione in cui oggi si trova a condurre il lavoro di una vita, senza però mascherare le difficoltà e la criticità del momento. Come ci ricorda, ad oggi, ottobre 2020, «i casi di covid sono aumentati in maniera drastica, e quindi stiamo cercando di prestare assistenza a tutti quanti i pazienti, covid o non covid». Con queste parole Federica ci introduce nella organizzazione del Pronto Soccorso dell’ospedale Pertini, spiegando come, dal momento stesso in cui è nata l’emergenza, è stato tutto completamente «diviso», con percorsi differenziati e isolati per i diversi tipi di paziente, in base alla sintomatologia accusata. Il paziente che lamenta febbre, affaticamento, dispnea, tosse viene subito isolato.

Questo, condotto in primo luogo nel “pre-triage”, viene poi, se valutato potenzialmente infetto, portato nella “sala rossa covid” e sottoposto ad un primo tampone per verificarne l’infettività o meno, al quale seguirà poi un altro. Gli infermieri del Pronto Soccorso, circa 10 per turno, operano «distribuiti tra le varie sale di primo soccorso, che sono sala rossa, sala rossa covid, boarding area, box visita e box ortopedico». Nella “sala rossa covid” si alternano suddivisi in equipe, provvisti di «tuta coprente dalla testa ai piedi, gli occhiali, la visiera, una cuffietta, e doppio guanto, con la mascherina adeguata cioè l’FP3». «Noi cerchiamo di coprirci al massimo e da questo punto di vista assolutamente non ci mancano i presidi», tuttavia Federica riporta un aumento dei contagi tra i suoi colleghi in misura maggiore rispetto al primo periodo dell’emergenza. «Il contatto noi ce l’abbiamo sempre in maniera diretta» e inevitabilmente aumentando l’esposizione, aumenta il contagio. «Proprio perché i pazienti sono aumentati in maniera esponenziale, la mole di lavoro è tanta» e nonostante «sia stato garantito il numero» degli operatori in servizio, viene spesso richiesto un incremento dell’orario lavorativo, arrivando anche a 12 ore di servizio, dovuto per di più alla crescita dell’assenza degli infermieri contagiati. Naturalmente, sempre con l’obiettivo di assicurare il funzionamento e il servizio completo del percorso di prima assistenza, perché, Federica spiega, «l’infermiere non può lasciare la sala, o qualsiasi reparto, a meno che non abbia il cambio a vista», «il paziente non può essere mai lasciato incustodito». La tutela del paziente è la priorità ed in questa direzione si pone, accanto al servizio e alla cura del paziente contagiato, la necessità di proteggere il paziente non infetto, con altre patologie e già debilitato, come può essere «il paziente oncologico, che è delicatissimo, già immunodepresso, non può assolutamente rischiare di essere contagiato». Emerge quindi una situazione di costante allerta, ben oltre la regolare diligenza, alla quale sono sottoposti gli operatori in prima linea, che devono svolgere il loro lavoro sotto una pressione inimmaginabile.

Esposti quotidianamente in maniera diretta al virus, oltre alla tutela della propria persona, sono responsabili per la possibilità di essere loro stessi portatori del virus sia nei confronti dei pazienti non contagiati, sia nei confronti delle persone con cui vivono, con cui stanno a contatto giornalmente fuori dall’ambiente lavorativo. «Questo è il punto un po’ dolente» ammette Federica, che però aggiunge, nonostante la preoccupazione, che «nessun collega si è tirato indietro, sin dalla prima ondata», «c’è stata sempre una massima assistenza e massima presenza all’interno dei reparti» anche se «oggettivamente la paura c’è, non solo per noi stessi ma per le persone intorno a noi» specialmente in questo periodo di ripresa critica dei contagi. Proprio per la drammaticità di questo momento, rimanere a casa il più possibile «è l’unico sistema per cercare di rallentare questa situazione», oltre alla messa in pratica dei comportamenti di prevenzione necessari, come l’utilizzo della mascherina. Anche la somministrazione del vaccino antinfluenzale è estremamente utile per «escludere da una determinata patologia», per essere sicuri che «quando vai in ospedale e hai determinati sintomi non può essere influenza perché hai fatto il vaccino», contribuendo significatamene al decongestionamento del sistema di assistenza ospedaliera. Gli stessi infermieri dell’ospedale Pertini, come ci spiega l’intervistata, sono attivi nella somministrazione dei vaccini antinfluenzali. È importante dunque cercare di sostenere, nelle modalità che ci competono, l’attività degli operatori sanitari che lavorano per la nostra stessa sicurezza, adesso più che mai. Come già affermato, gli infermieri sono abituati ad affrontare situazioni di urgenza, costituendo questa la base stessa del loro lavoro.

«La delicatezza della situazione attuale» tuttavia, ha richiesto sicuramente un cambiamento profondo tanto pratico quanto mentale della gestione del mestiere, della cura del paziente. Federica racconta come spesse volte gli infermieri prestano i propri mezzi telefonici per permettere ai pazienti ricoverati, nei casi assai frequenti di pazienti anziani, di avere un contatto quanto più diretto con i propri cari, essendo vietato a questi ultimi di venire a far visita. Questo dettaglio esprime da una parte la drammaticità di quanto vivono coloro che si trovano nelle strutture di ricovero oggi e, dall’altra parte, racchiude l’importanza di quanto da sempre è stato fatto dagli infermieri, cioè della rilevanza che assume, oltre che l’assistenza in primis di tipo medico e sanitario, la cura umana del paziente, la tutela della propria serenità. Proprio per la delicatezza e per lo straordinario valore del ruolo svolto dagli infermieri, oggi più che mai impegnati al massimo in una situazione che non ha precedenti, appare necessario riconoscerne, celebrarne e ricompensarne nel modo più adeguato la loro attività, perché anche se «veniamo e siamo stati riscoperti solo per questa situazione», ammette Federica, tuttavia, aggiunge, «noi lavoriamo così da quando è nata la nostra professione», «l’abbiamo sempre fatto».

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