Cosa significa vivere in periferia?
Complesso R8
Periferia romana: Tor Bella Monaca
Me lo sono chiesta più volte. La parola periferia rimanda alla zona marginale di un’area geograficamente determinata. Chi risiede in periferia, come la sottoscritta, è dunque chi abita zone di una città disposte ai margini dell’agglomerato urbano principale. Questa sono io, l’abitante di una zona decentrata. Non faccio parte della gioventù bruciata nè sono una santa, perchè la parola periferia non porta con se alcuna connotazione di tipo valutativo: periferia non è nè bene nè male; è semplicemente uno spazio. Eppure sono pochi i quartieri della periferia romana a godere di questa neutralità. Mi guardo intorno e mi rendo conto di vivere in un ghetto, di essere circondata da ghetti. La differenza non è assolutamente trascurabile. Il ghetto è, storicamente, il luogo in cui vivono in gruppo persone di un determinato retroterra etnico, culturale o religioso. Forzatamente o volontariamente, convivono in un regime di reclusione più o meno stretto. Vivere in un ghetto significa avere un’etichetta addosso, spesso poi, di tipo qualitativo; ma soprattutto significa vivere in una comunità chiusa, ripiegata su se stessa, che non conosce altro all’infuori di sè. Periferia: fuori dall’isolamento Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Guardo al quartiere mio vicino, Tor Bella Monaca, che meglio di ogni altro può ergersi a emblema di tutto questo. Sembra essere un quartiere popolare come tanti; una periferia di trenta mila abitanti dove, tuttavia, i fatti di cronaca legati alla delinquenza non sono rari. Negli anni, le storie più difficili di disagio sociale sono state ammassate ai margini della città. Messe da parte. In questi palazzoni grigi.

Il degrado che lì si trova non mi sorprende. Abbiamo vissuto sulla nostra pelle il dramma dell’isolamento a causa della pandemia da Covid-19. Un quartiere per lo più ripiegato su se stesso a quali realtà credevamo potesse dar luogo? L’isolamento produce mostri; la mancanza di confronto e di socializzazione ha effetti devastanti sulle persone e i loro stili di vita. E allora bisogna aprirsi all’esterno. La (ri)scoperta della socialità e l’incontro con il nuovo e diverso diventano le armi più potenti contro la lotta all’isolamento, alla ghettizzazione. E di questa chiamata alle armi si è fatto portavoce Mario Cecchetti, responsabile del centro sociale di largo Mengaroni. Il nome non è nuovo nell’ambito dei progetti per la riqualificazione del quartiere. Nel 2018 aveva creato “Coloronda”, un progetto d’arte che coinvolgeva scuole e diverse realtà del quartiere nella realizzazione di murales che avrebbero restituito messaggi di speranza. E proprio nell’ambito del progetto “Coloronda” si situa la nuova straordinaria iniziativa, curata dalla fondazione 999 Contemporary.  A partire dal 20 dicembre 2020 i writers della città hanno potuto dare libero sfogo alla propria fantasia lungo i muri di una delle porte di ingresso al quartiere. Non è stato fissato alcun termine per la fine dei lavori.
Mosa One- Per andare oltre
Mosa One- Per andare oltre
La chiamata alle armi, anzi, alle arti, ha riscosso un notevole successo. In breve tempo, su una delle facciate delle palazzine Ater del comprensorio R8 è comparso il primo disegno a firma Diamond, noto street artist già impegnato in altri lavori tra le strade del quartiere in tempi passati. Un’intera parete rossa fa da sfondo al bellissimo profilo di una donna di colore nero. L’opera si intitola “No Surrender” ed esorta tutti noi a reagire alle minacce della vita; minacce rappresentate dal coltello puntato alla gola della giovane.
Diamond-No Surrender
Diamond-No Surrender
A seguire è apparsa la realizzazione di Solo, lo street artist romano famoso per le sue interpretazioni dei super eroi. Al centro della facciata-opera compare Miwa Uzuki, assistene e collaboratrice del professor Shiba, padre di Hiroshi, il giovane che si trasforma in Jeeg il Robot d’Acciaio.
Il terzo murale è opera di Mosa One, grande realizzazione del giovane artista di origini egiziane. L’opera s’intitola “Per andare oltre” e raffigura un bambino intento a scavalcare un muro grigio. Al di là di questo lo attende un mondo meraviglioso, colorato e pieno di vita, reso nella forma di un arabesco, chiaro rimando alle origini dell’artista.
Solo-Jeeg Robot (con Miwa)
Solo-Jeeg Robot (con Miwa)
A Tor Bella Monaca la rigenerazione urbana passa anche per graffiti e murales, nelle scuole come sulle facciate delle palazzine popolari; una bellezza latente che piano piano sta emergendo. E’ l’arte a puntarle contro il riflettore. L’arte che diventa salvagente, voce attraverso la quale esprimere sentimenti, preoccupazione e fiducia verso il futuro. Ma anche la voce più forte prima o poi si affievolisce. Il progetto di rigenerazione non porterà davvero a compimento la sua opera se non si agirà attivamente per pubblicizzare la (ri)trovata bellezza. Il mondo meraviglioso di Mosa One resterà rinchiuso tra le grigia mura che solo apparentemente ci sembra di superare. Tor Bella Monaca ha bisogno più che mai di trasformarsi in un museo d’arte contemporanea, di avere una eco tra gli altri quartieri e potersi finalmente aprire, mescolare, confrontare.
Tra le palazzine del comprensorio R8 ci sono ancora alcune facciate libere. E’ nella loro realizzazione che pongo le mie speranze.

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