Sardegna: terra di valori e tradizioni, non solo di belle spiagge

Un lembo di terra ancora umido di una freschezza verginale” scriveva Nino Savarese in merito alla Sardegna, ma è ancora così? Per i meri turisti forse no perché ciò che apprezzano è semplicemente la spiaggia corredata poi di un buon cibo e di bei locali notturni. Durante l’anno la Sardegna viene dimenticata salvo poi diventare meta preferita di tutti i vacanzieri, ma solo d’estate. Solo il mare fa gola, mentre tutto il resto che di bello, folkloristico e naïve offre questa terra viene ignorato e obliato dai più. Chi conosce davvero le tradizioni, la cultura millenaria e le leggende di questa isola meravigliosa?

Madre terra

Montèras donant a su mare, s’olòre de sa murta in frore” questa frase presa dalla canzone Cuore e vento dei Tazenda con i Modà, restituisce tutta l’essenza magica della Sardegna. Chi ama veramente questa terra, può chiudere gli occhi e immaginare con limpidità di dettagli una “montagna che regala il mare” (traducendo la canzone sopracitata), ma soprattutto può sentire nitidamente “l’odore dei suoi mirti in fiore”. L’aria della Sardegna è diversa da quella del resto dell’Italia, la sua selvaggia distesa vegetativa che si lega alla brezza marina sprigiona un profumo intenso di genuinità e libertà. Chi non ha conosciuto almeno in parte il forte temperamento dei sardi e i paesaggi montagnosi della Barbagia, ingentiliti dai fiori, grazie ai racconti di Grazia Deledda? Come lei stessa scriveva in una sua poesia dal titolo Noi siamo i sardi:

“Noi siamo spagnoli, africani, fenici, cartaginesi,
romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi.

Siamo le ginestre d’oro giallo che spiovono
sui sentieri rocciosi come grandi lampade accese.
Siamo la solitudine selvaggia, il silenzio immenso e profondo,
lo splendore del cielo, il bianco fiore del cisto.

Siamo il regno ininterrotto del lentisco,
delle onde che ruscellano i graniti antichi,
della rosa canina,
del vento, dell’immensità del mare.

Siamo una terra antica di lunghi silenzi,
di orizzonti ampi e puri, di piante fosche,
di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta.

Noi siamo sardi”.

La vegetazione viene descritta dalla scrittrice in modo magistrale, inoltre i nomi e gli odori delle piante sono così specifici ed evocativi che talvolta sembra di sfogliare un erbario. Ma ciò che emerge con potenza suggestiva dalle sue pagine è l’indole genuina di uomini e donne, con dei valori e degli usi aurorali. Le dame Pintor protagoniste del celebre romanzo Canne al vento hanno lo stesso orgoglio e la stessa fermezza di pensiero che si può ritrovare in quasi tutte le donne sarde. Forti personalità che hanno reso la Sardegna una terra matriarcale, in cui le decisioni delle donne hanno un’eco influente. Donne che troviamo spesso raffigurate con il costume antico, ognuno diverso a seconda della zona dell’isola. Questo è costituito da una gonna solitamente colorata e sgargiante, sormontata da un bustino e un coprispalle ricamati per poi terminare con un foulard o un velo che copre il capo. Tutto ciò è solitamente impreziosito dai gioielli tipici sardi che sono lavorati con la tecnica della filigrana, la quale genera veri e propri lavori di cucito e traforo con fili metallici e preziosi, come l’oro e l’argento. Oggi questi costumi si possono apprezzare nelle danze di chi ancora si dedica al ballo sardo oppure nelle grandi sagre.

Folklore

Non vi è centro, grande o piccolo, della Sardegna che non celebri la sua festività. Si tratta prevalentemente di manifestazioni solenni, che pur avendo una matrice locale esercitano una risonanza anche all’estero per l’importanza dell’evento storico che rievocano e per la suggestione tradizionale che esprimono. In altre occasioni invece si hanno manifestazioni che riguardano quasi sempre un santo protettore. È questo il caso della Corsa degli scalzi di Cabras (Oristano). Una rievocazione storico – religiosa della difesa della statua del Santo (San Salvatore) nel 1619 da parte degli “Scalzi” contro un’invasione dei Mori. La statua del Santo, poggiata su una portantina, viene trasportata a spalla da centinaia di corridori scalzi, vestiti con il tradizionale saio bianco. I portatori corrono scalzi per circa 7 km, attraversando i sentieri sterrati del Sinis, sopportano la fatica, l’asfalto bollente e lo sterrato sentiero per gettarsi tra le braccia della fede. Una delle festività tradizionali più famose è sicuramente la Sagra di Sant’Efisio che ha luogo a Cagliari ogni anno durante i primi giorni di maggio. Il rituale ha origine da un voto fatto dai cagliaritani a Sant’Efisio per aver salvato la città da una terribile epidemia di peste ed è basata su una lunga processione che porta la statua del santo da Cagliari fino al piccolo paese di Pula a 30 km di distanza.

La processione è composta da suonatori di launeddas (uno strumento di origini antichissime in grado di produrre polifonia che è suonato con la tecnica della respirazione circolare ed è costruito utilizzando diversi tipi di canne), carri trainati da buoi, uomini e donne vestiti con il costume tipico del loro paese. L’atmosfera è talmente gioviale che non si può non rimanerne affascinati, inoltre l’amalgama di persone, strumenti, animali e voci crea un senso di aggregazione che forse si può definire “casa”.

Non c’è solo l’estate

La Sardegna non è solo un posto da vivere d’estate con il mare, i tramonti, il vermentino fresco e un piatto di spaghetti alla bottarga. La Sardegna è anche e soprattutto un luogo autunnale, accogliente e genuino come si evince dalla manifestazione più rilevante della Barbagia chiamata Cortes apertas (cortili aperti). Questo grande evento che si inserisce nel calendario dell’Autunno in Barbagia e si svolge nei fine settimana che vanno da settembre a dicembre di ogni anno. Ogni settimana, in un diverso comune, le case storiche del paese aprono i loro cortili e tra questi si può intraprendere un percorso enogastronomico e artistico. All’interno dei diversi cortili vengono rappresentati i mestieri tradizionali, quali la lavorazione della lana, la trebbiatura, la pulizia e la raccolta del grano, mentre nelle piazze del paese vengono allestiti spettacoli folkloristici di balli e canti popolari. Sempre in Barbagia, durante il periodo invernale, c’è un’altra manifestazione molto antica e cara ai sardi che sarebbe il Carnevale di Mamoiada, di cui sono tipiche le maschere dei Mamuthones. I Mamuthones sono degli uomini col viso ricoperto da una maschera nera dai rozzi lineamenti, vestiti con pellicce scure e con campanacci appesi alla schiena che sfilano durante il corteo carnevalesco. Il loro passo cadenzato è una danza che ha valore apotropaico poiché risveglia la natura e allontana il male.

Terra di cavalli

Non tutti sanno che la Sardegna è anche la terra dei cavalli e dei cavalieri, questo binomio è così radicato da rappresentare una parte fondamentale delle tradizioni sarde. Alcune delle feste incentrate attorno al nobile animale sono La Cavalcata sarda di Sassari e la Sartiglia di Oristano. Quest’ultima è una sagra che ha le caratteristiche di una grande giostra antica, la quale si svolge tra l’entusiasmo dei presenti, affascinati dalla bravura dei cavalieri partecipanti. I cavalieri, che hanno il volto coperto da una maschera tipicamente inespressiva, si lanciano al galoppo spericolato e tentano di infilzare con la spada una stella d’argento appesa a mezz’aria. Per varietà di colori, per magnificenza di costumi e maschere, per fervore competitivo, la Sartiglia è da molti paragonata al Palio di Siena.

L’esperienza di De André

Il cantautore genovese Fabrizio De André si innamorò di quest’isola tanto da dedicarle alcune canzoni in lingua come Monti di Mola e Zirichiltaggia. Quando arrivò in Gallura, dove aveva acquistato la casa, rimase affascinato dalla bellezza dell’aspra natura, dai suoi colori sconfinati, dalle leggende millenarie e dall’ospitalità dei sardi. Inoltre affermava che “la vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattro mila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso”. Dopo essere stato vittima di un sequestro da parte dei banditi dell’Anonima sequestri, il cantautore si strinse ulteriormente alla sua Sardegna e riuscì a perdonare i suoi rapitori, sostenendo che lo avevano sempre trattato con umanità. Questa triste esperienza è stata poi sublimata dall’autore con un brano intitolato Hotel Supramonte, il quale racconta in maniera dolcemente poetica la prigionia che si svolse proprio nei nascondigli della catena montuosa del Supramonte.

L’arte in Sardegna

Arroccato sul Supramonte si trova Orgosolo, un paese in cui è possibile ammirare, oltre alla natura incontaminata, una forma di arredo urbano: i murales. Essi raccontano la storia di un vivo fermento intellettuale, di un territorio culturalmente fervido, ribelle e politicamente attivo. Centinaia di murales colorano le vie di Orgosolo e descrivono con dovizia di particolari la vita contadina e le lotte di potere, alternando tematiche sociopolitiche alla rappresentazione di icone tipiche della quotidianità: donne al lavoro, uomini a cavallo e pastori. La tradizione muralistica della Sardegna si fa risalire a Pinuccio Sciola, un artista sardo che è riuscito a fondere l’arte con il mondo naturale che da sempre lo circondava. Oltre ai dipinti sui muri Sciola è famoso in Sardegna per aver creato le pietre sonore. Si tratta di grandi sculture che somigliano ad arcaici menhir, monoliti neolitici, le quali accarezzate dalle mani o da una piccola pietra raccontano attraverso suoni e vibrazioni la loro storia ancestrale. I suoni generati sono strutturati e diversi a seconda della densità della pietra o dell’incisione. È un’immersione totale in un mondo magico che genera meraviglia ma contribuisce anche ad accrescere il rispetto verso l’ambiente e tutti gli elementi naturali.

Alcuni resti di civiltà antiche

Rimanendo sul tema della natura e dell’arte primitiva, non si possono non conoscere i nuraghes sardi. I nuraghi sono delle megalitiche costruzioni, al contempo espressione di concezioni abitative e di una grande maestria edificatoria. Questi sono la testimonianza di una remota civiltà detta appunto “nuragica” di cui fu protagonista una gente dalla provenienza misteriosa ma dall’animo forte, dedita al lavoro e pronta al sacrifico. I nuraghi meglio conservati sono il Losa ad Abbasanta e il complesso gigantesco di Barumini, detto Su Nuraxi. Sempre risalenti all’epoca nuragica sono molto importanti anche le Tombe dei Giganti, dei monumenti sepolcrali di pietra che sono dislocati in tutta la Sardegna. Mentre le Domus de janas sono tombe preistoriche scavate nella roccia tipiche della Sardegna prenuragica. In italiano si chiamano “case delle fate”, fate dette Janas appunto che sono creature immaginarie della tradizione popolare sarda; donne minute dall’indole lunatica, un po’ streghe e un po’ fate. La loro piccola taglia permetteva loro di vivere nelle Domus che sarebbero piccoli alloggi.  Si tratta di una leggenda sarda che combina elementi magici con le costruzioni millenarie in pietra presenti su tutta l’isola da Cagliari a Santa Teresa di Gallura. Infine, risalenti al periodo della dominazione romana invece, si possono visitare le terme di Fordongianus. Dette anche Forum Traiani, sono un importante sito archeologico della Sardegna, situato sulla riva sinistra del fiume Tirso, nell’alto Oristanese. Vi sono ancora presenti sorgenti dalle quali sgorgano acque che, attraversato il sottostante banco vulcanico, raggiungono la temperatura di 54°.

S’accabadora: leggenda popolare

Tipiche del folklore sardo sono le leggende tramandate oralmente tra le persone, racconti di vita uniti a credenze religiose e mistiche, ma anche legati a paure recondite e ad insegnamenti. Una delle più famose è la leggenda dell’accabadora, una donna misteriosa, vestita di nero che aveva il compito di porre fine alle sofferenze dei moribondi o dei malati terminali. Il termine deriva dal verbo spagnolo acabar, che significa “finire/terminare”, ma potrebbe anche avere a che fare con il sardo accabaddare, un vocabolo dai diversi significati come “incrociare le mani ad un morto”, oppure “mettere a cavallo”, cioè far partire. La femina accabadora, una figura tra mito e realtà, non veniva considerata un’assassina, ma veniva chiamata proprio dai parenti dell’ammalato. Il suo compito era quello di procurare una morte rapida e indolore e per questo non doveva ricevere alcuna ricompensa in denaro, ma solo prodotti della terra.  Gli antropologi ritengono che l’accabadora non sia mai esistita, ma che invece ci siano state figure che portavano sostegno e conforto alle famiglie dove c’era un moribondo, accompagnandolo fino all’ultimo istante di vita.

 

Sortilegio (dalla raccolta “Mal di Sardegna”), Marcello Serra (1982)

Quando ti staccherai per ripartire
dall’Isola dei Sardi
con la memoria densa
di favolosi incontri, di paesaggi
senza tempo e di antiche creature
pazienti, allora il cuore,
fratello d’oltremare,
ti peserà come un frutto maturo.
I tuoi occhi e i pensieri stenteranno
in quel commiato a sciogliersi
dalla terra, che quanto più dirada
tremula all’orizzonte,
sommessa più nell’anima s’addentra
con il suo sortilegio. Con un filtro
che ha il profumo del timo del Limbara
e del vino di Oliena,
l’alito dei lentischi,
delle macchie di cisto,
il fiato delle umide scogliere,
il sapore del miele di Barbagia,
la dolcezza dei lidi e dei tramonti
lungo il Golfo degli Angeli,
il colore d’Alghero stemperato
con le sue torri bionde e le sue guglie
tra rive di corallo,
la forza millenaria
dei tòneri d’Ogliastra
e dei graniti azzurri di Gallura.
Questo filtro spremuto alle brughiere
e dal seno dei boschi,
dai vertici dei monti e dal respiro
degli abissi marini
ti correrà le vene in un languor
dolce ed amaro di malinconia
che forse chiamerai mal di Sardegna.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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