Seattle: il romantico contrasto tra natura selvaggia ed eccezionale progresso urbano, simboli nativo americani, asiatici e occidentali in un mix unico. Una bellezza incastonata tra le coste frastagliate del Puget Sound, l’incontro di strutture high-tech d’avanguardia e progetti eco-sostenibili. L’eroica storia dei pionieri, la struggente vicenda della popolazione nativa, il misticismo di un’arte autoctona sentita come missione spirituale. Seattle: simboli dal Pacific Northwest Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Seattle, questo il campo di ricerca che ho scelto per la mia tesi di Laurea magistrale in Storia dell’arte. Al liceo avevo già scritto una tesina sul sogno americano, perché ero incuriosita da questa società all’avanguardia e democratica. Quantomeno mettendo tra parentesi gli spiacevoli eventi degli ultimi anni.
In ogni caso sono sempre stata affascinata dalle scintillanti e al contempo decadenti metropoli americane e attratta dai grattacieli, baluardi che sfidano i limiti gravitazionali.
Ho quindi intrapreso un viaggio che mi ha letteralmente catapultata all’altro capo del mondo. Un’attività di ricerca a circa 5900 miglia di distanza dall’Italia per tre mesi. (Ottobre-Dicembre 2019)
Una città conosciuta ma sulla quale mancano studi approfonditi che mi offriva ad ogni sguardo più attento nuovi stimoli. Una ricerca che mi permetteva di portare sul campo gli strumenti acquisiti dopo anni di studio.
Ne le “Città invisibili” Calvino scriveva “D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere”. Seattle è stata per me una sfida, un’occasione per mettermi alla prova, un’esperienza formativa e il luogo che mi ha aperto gli occhi sulla strada che voglio intraprendere.
SITUAZIONE ATTUALE
La città contemporanea è il risultato dell’esplosione sul territorio della città tradizionale; una città che crea nei suoi abitanti nuovi stili di vita, all’insegna di una mobilità continua. Caratterizzata da inediti squilibri territoriali e rilevanti effetti di congestione, essa è interessata da un processo di terziarizzazione crescente.
La città è un costrutto sociale e culturale unico nel suo genere. Un insieme di valori e modelli che scaturiscono dal rapporto tra la popolazione e i luoghi (il locus della memoria collettiva).
Gli sviluppi attuali, però, evidenziano come “la città non è più portatrice di valori ma di notizie, di informazioni velocissime. Non una costruzione socio-storica, ma un sistema di messaggi e di operazioni, a causa delle tecnologie dei media, strutturalmente sempre più integrate nelle nostre metropoli”. (Andreina Daolio 1997)
Con grande lucidità, a proposito dei tempi che stiamo vivendo, il sociologo polacco Bauman (1999) ha parlato di un “interregno”. Un periodo di transizione in cui è evidente l’inefficacia dei vecchi modelli ma anche la mancanza di nuovi per la contemporaneità.
L’antropologia ci insegna che la cultura, nella sua accezione di prodotto umano, non è impermeabile al cambiamento. Tuttavia oggigiorno è in atto un minaccioso meccanismo di livellamento culturale la cui ineluttabilità deve essere contrastata.
A tal proposito, dovremmo definire un insieme di modelli pragmatici e simbolici, restaurando gli elementi della tradizione piuttosto che reinventando un sistema di valori. Questo per guardare al futuro intervenendo consapevolmente e in modo sostenibile sul territorio.
SEATTLE: SPLENDORE ED ELEMENTI CRITICI
Seattle, the Emerald City, risiede lungo le coste del Puget Sound, vegliata dalle cime innevate del famoso Monte Rainier.
La città è uno dei molti porti lungo la frastagliata costa del Salish Sea, un ricco ecosistema marino di corsi d’acqua e di isole. Queste si estendono dal Desolation Sound a Nord, nella Columbia Britannica, fino all’estremità meridionale del Puget Sound.
A lungo considerata uno dei luoghi più belli in cui vivere negli USA, la città è protagonista di uno sviluppo inarrestabile. Già all’inizio del 2021 si è piazzata nella top ten delle più sviluppate economie statunitensi. In questi ultimi 15 anni la Greater Seattle area ha visto, infatti, la sua popolazione crescere esponenzialmente, in coincidenza con il boom economico.
Ovviamente uno sviluppo di tal sorta porta con sé sfaccettature meno splendenti. Da una decina di anni è aumentato il numero dei senzatetto e l’inarrestabile sviluppo tecnologico necessita di attenzioni ravvicinate per orientarne gli sviluppi senza cancellare il “volto storico” della città.
Il goal che avevo in mente quando ho scelto l’argomento della mia tesi era una lettura storico-culturale del territorio con attenzione a come i suoi elementi artistici e architettonici diventino simboli (nel senso di meccanismi di appartenenza e di identità) rappresentativi dell’intera città e vengano utilizzati per connotarne il carattere.
Svariate letture, infatti, hanno focalizzato la loro attenzione solo sull’occidentalizzazione di un avamposto nativo-americano piuttosto che sull’analisi dei caratteri che rendono tale metropoli, e l’annessa regione del Pacific Northwest, peculiare rispetto al resto degli Stati Uniti.
THE CITY AS A STATE OF MIND
Robert Park scrive che una città non è solo un meccanismo fisico e una costruzione artificiale. È invece interessata dai processi vitali delle persone che vi abitano.
L’incontro delle tre culture, occidentale, nativo-americana e asiatica, e la condivisione del territorio, seppur costellata da scontri, ha dato vita al carattere unico dell’urbe.
Da una parte Seattle era una città nata nella mente di alcuni pionieri dell’Illinois. Essi, solo in seguito ad una serie di eventi fortuiti, trovarono il luogo in cui fondarla. Provenendo dalla East Coast il loro modello di riferimento non poteva che essere Manhattan e infatti il nuovo villaggio fu inizialmente chiamato “New York Alki”. Alki è una parola Chinook, la lingua dei nativi, e vuol dire “by and by”, intendendo che passo dopo passo, il piccolo avamposto portuale avrebbe eguagliato quel modello.
D’altra parte la visione del capo delle tribù locali, Chief Sealth, influenzò lo sviluppo del piccolo villaggio. Egli, nel rapporto con i pionieri, immaginò una città interrazziale e multiculturale. Da allora, abbandonato il modello Manhattan, i pionieri decisero di rinominare l’insediamento “Seattle”, attraverso un’anglicizzazione del suo nome.
Infine la presenza della popolazione asiatica, ancora oggi il primo gruppo etnico della città. Nella seconda metà dell’Ottocento essi arrivarono in massa alla ricerca di una nuova casa e di un lavoro. La loro presenza ha influenzato lo sviluppo della metropoli non solo economicamente ma anche dal punto di vista culturale. L’International District, dove sono stanziati in prevalenza, è un must nella visita della città se si vuole assaporare una tipica atmosfera asiatica.
MODERNISM IN THE PACIFIC NORTHWEST: THE MYTHIC AND THE MYSTICAL
Tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento Mark Tobey, Morris Graves, Kenneth Callahan e Guy Anderson diedero vita alla Northwest School of Modern Art. Essi hanno condensato l’apporto delle tre anime della in città in uno stile unico e riconoscibile. Nel 2014 il Seattle Art Museum ha dedicato loro un’importante retrospettiva dal titolo “Modernism in the Pacific Northwest: the Mythic and the Mystical”.
Il gruppo considerava l’arte come una forma di ricerca spirituale e fu influenzato dal mix di tradizioni del Nordovest degli Stati Uniti. Essi combinarono elementi caratteristici dell’area del Puget Sound ed elementi dell’estetica tradizionale asiatica con l’obiettivo di creare un distintivo stile regionale.
Tobey, Callahan, Graves and Anderson erano completamente immersi e influenzati dall’atmosfera del Pacific Northwest. Ancora oggi questa regione è considerata atipica rispetto al resto degli Stati Uniti per motivi geografici, sociali, economici ma soprattutto culturali.
Lo stile della Northwest School è caratterizzato dall’uso di simboli legati alla natura rigogliosa e selvaggia di questa regione. Ma anche dalla caratteristica luce diffusa dell’area della Valle di Skagit. L’illuminazione e la scelta di una gomma di colori morbidi e legati alla terra sono, infatti, due delle sue più importanti qualità.
THE WORLD OF STRANGERS AND THE PUBLIC REALM
Molti sociologi hanno definito la città come “un mondo di stranieri” e hanno sottolineato l’importanza critica del “regno pubblico” come la “quintessenza del territorio sociale”. Lofland (The Public Realm, 1998), ha definito lo spazio pubblico quello dove si articola una speciale forma di vita sociale e che dà alla città il suo speciale carattere. Tuttavia il regno pubblico di una metropoli non è solo popolato da persone che non si sono mai incontrate ma che non condividono lo stesso universo simbolico (sempre nell’accezione di meccanismi di appartenenza e identità).
A Seattle è in corso di realizzazione un progetto che sostituirà il precedente Alaskan Way Viaduct (un ecomostro degli anni ’50) con un nuovo Waterfront. Un intervento a carattere artistico-architettonico pensato in termini ecosostenibili e sociali. Un piano che riavvicina i cittadini al nucleo originario della città di Seattle, la sua baia, spiazza così un modello che favoriva la massima circolazione e congestione urbana.
L’Art plan prevede un insieme di opere d’arte ambientale e site specific, astratte e figurative. Esse ripropongono alcuni simboli condivisi dalla comunità che sono collegati alla sua storia e alla sua cultura. Tali interventi sono stati affidati quasi totalmente ad artisti nativo-americani o ad artisti che vivono in città.
In conclusione, questo è stato, in breve, il lavoro che ho svolto a Seattle. (Per una lettura integrale la tesi è attualmente in fase di pubblicazione). Mettere insieme i pezzi di un puzzle, o riferimenti culturali, collocati nel tessuto urbano, che ne ricostruivano la storia e ne restituivano l’essenza. Un’essenza che le è propria, che spiega come le persone che vi hanno abitato e vi abitano abbiano forgiato il suo carattere in rapporto attivo con il territorio. Questo lavoro permette di restituirne un’immagine valida oltre le etichette che le si possono superficialmente attribuire.
Un percorso di studi in Storia dell’arte non insegna semplicemente come indagare e comprendere le manifestazioni artistiche delle epoche umane. Permette di effettuare letture storico-critiche di opere, edifici e contesti urbani. Ma più di tutto forgia una peculiare sensibilità umanistica. Ci mostra come utilizzare il “filtro cultura” per controbilanciare e aprire nuovi orizzonti possibili rispetto a un tipo di conoscenza prettamente scientifico.
Mettendo tra parentesi la situazione di estrema crisi su più livelli causata dalla pandemia di coronavirus, quella che stiamo vivendo è un’epoca complessa, di grandi rivolgimenti sociali ed economici, di grandi premesse e potenzialità.
L’avvento dell’era dell’informazione, inoltre, necessita di un intervento mirato da parte degli storici dell’arte e degli umanisti in genere. Questo per orientarne gli sviluppi senza cancellare la nostra eredità nel processo. Dobbiamo cioè lavorare con l’obiettivo si raggiungere il punto di equilibrio tra i quelli che Strauss ha definito il “pensiero scientifico” e il “pensiero mitico”, i due grandi poli entro cui si inscrive il cammino dell’umanità.